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UNA DISCIPLINA UMILE*

Si continua a discutere di crisi e di economisti, anche in Francia o in Inghilterra. E qualcuno mette in dubbio l’utilità di una categoria che non ha saputo prevedere gli ultimi eventi. Sotto accusa anche la formazione, troppo concentrata sulla matematica. Ma il mestiere dell’economista non è fare previsioni. Così come sarebbe disastroso abbandonare un percorso di formazione rigoroso per sostituirlo con un disordinato miscuglio multidisciplinare. L’economia è una disciplina intellettuale che deve essere umile, che cerca di essere utile nella comprensione di un mondo reale estremamente complesso.

La crisi attuale ha aperto un dibattito sulla formazione e sull’utilità degli economisti. Alcuni sostengono che gli economisti sono inutili perché non hanno saputo prevedere le crisi. Altri affermano che la loro preparazione è inadeguata perché fa largo affidamento sulla matematica applicata a scapito di una visione più ampia di come funziona l’economia, fondata su psicologia, sociologia e scienza della politica.

LETTERE ALLA REGINA

Per questo motivo, dieci economisti “istituzionalisti” del Regno Unito hanno scritto una lettera alla regina in risposta a quella di Tim Besley e Peter Hennessy, dove affermano che l’economia “si è virtualmente trasformata in una branca della matematica applicata e si è del tutto estraniata dal mondo reale e dalle sue istituzioni”.
“La conseguenza è che oggi nella maggior parte dei più prestigiosi dipartimenti di economia di tutto il mondo, e in particolare del Regno Unito, è predominante un pensiero che si concentra su un ristretto numero di tecniche formali. La lettera di Besley e Hennessy non prende in considerazione come l’aver dato più spazio alle tecniche matematiche rispetto alla realtà fattuale abbia distolto l’attenzione di molti economisti dalla analisi dei problemi nel loro insieme. Non riflette sulla abituale assenza della psicologia, filosofia o storia economica nell’attuale percorso di studi dell’economista in prestigiose istituzioni. Non cita né l’assai discutibile fiducia nella razionalità universale né le ipotesi di efficienza dei mercati – entrambe largamente incoraggiate dagli economisti tradizionali. Non prende in esame perché gli economisti sono rimasti affascinati dal mercato né come si siano dimostrate semplicistiche e avventate le soluzioni di mercato da molti proposte. Quello che è mancato è una saggezza professionale fondata su una profonda conoscenza della psicologia, delle strutture istituzionali e dei precedenti storici”.
Una discussione simile va avanti da anni in Francia, tra gli economisti tradizionali esperti di micro e macroeconomia e di econometria e una molteplicità di critici che in genere accusano l’economia di essere immorale, troppo matematica, non sufficientemente pluridisciplinare o, qualche volta, troppo di destra.
L’economia è certamente una disciplina “arida”, ma sono fermamente convinto che sarebbe disastroso sostituire l’attuale percorso di formazione degli economisti con un qualche miscuglio multidisciplinare.

NON E’ UN LAVORO PER ECONOMISTI

Prevedere le crisi non rientra nel lavoro degli economisti: l’affermazione sorprenderà molti, ma è così. Gli economisti lavorano in vari posti, comprese le università, le istituzioni, la pubblica amministrazione e le imprese. Se sono accademici, il loro compito è far avanzare la frontiera della ricerca attraverso nuove teorie, metodologie e risultati empirici. Se lavorano per la pubblica amministrazione, spesso valuteranno le scelte di politica economica. Fanno talvolta anche previsioni, ma quelle previsioni sono da intendere come proiezioni di routine, per lo più utilizzate per avere un’idea dell’evoluzione probabile del deficit di bilancio. Infine, gli economisti che lavorano nelle imprese sono spesso impegnati a produrre argomenti nei processi antitrust o per violazione delle regole di concorrenza. Quelli che fanno previsioni in istituzioni come Goldman Sachs forniscono una guida agli intermediari sulle prospettive del debito pubblico brasiliano o sull’evoluzione del prezzo delle materie prime, tanto per fare due esempi. La Goldman avrebbe fatto parecchi soldi se fosse stata capace di prevedere correttamente la crisi, ma gli economisti del mercato sono impegnati in attività di routine e non nell’elaborazione di modelli sui rari eventi di sistema.
Si potrebbe pensare che, se non prevedono le crisi, gli economisti sono inutili, ma sarebbe altrettanto ridicolo quanto affermare che i medici sono inutili perché non hanno previsto l’Aids o la sindrome della mucca pazza. Inoltre, anche se le normali previsioni sono di qualche utilità, non credo che sia l’attività per la quale gli economisti sono più utili: la valutazione delle scelte di politica economica e la discussione sulla base di principi delle cause di fenomeni osservati sono dal mio punto di vista ben più importanti.

(…)

I LIMITI DEL RICERCARE UN QUADRO PIÙ AMPIO

A parte tutto, pare strano che ci si lamenti della inadeguatezza delle previsioni e, allo stesso tempo, dell’uso della matematica. Mentre avere una “ampia visione” può aiutare a comprendere il quadro istituzionale o il ruolo della natura umana, la previsione è un esercizio quantitativo preciso, che deve essere formulato in twermini matematici e dele esare tecniche matematiche. E’ proprio nell’area delle previsioni economiche che si usano le tecniche matematiche più sofisticate (dall’analisi spettrale alla cointegrazione, ecc.)
“Guardare al quadro più ampio” non implica una comprensione dimostrabile del funzionamento dell’economia.
Non mancano gli economisti che adottano un punto di vista più ampio e offrono la loro opinione su ciò che accadrà e su ciò che andrebbe fatto. In realtà, gli economisti sono più ansiosi che mai di adottare un punto di vista più ampio sui giornali, nei comitati o sulle riviste rivolte a un pubblico più vasto. Alcuni sono tradizionali economisti ortodossi, che sanno bene la matematica e hanno seguito quel percorso di studi “ottuso” di cui si lamentano gli estensori della lettera alla regina, ma sanno altrettanto bene che la matematica deve integrarsi con riflessioni di carattere economico legate alla realtà e dedicano perciò una parte consistente del loro tempo a discutere questioni ampie e problemi di policy. Altri hanno invece un approccio più discorsivo.
Il problema con l’idea del “quadro più ampio”, al di là della qualità intellettuale dei contributi, è che per lo più si basa su affermazioni e meccanismi non dimostrati. E in molti casi, si limita a speculare che questo o quello potrebbe accadere senza mai offrire una dettagliata catena causale di eventi in grado di convincere il lettore che si tratta di una possibilità reale. Credo che sia impossibile evitare questa “sciatteria” se si cerca di prendere una posizione netta ed esercitare il proprio giudizio, ma ciò non significa che questo atteggiamento dovrebbe essere entrare a far parte del lavoro professionale degli economisti o tanto meno del loro percorso di formazione.
Capire il funzionamento dell’economia nel suo insieme è estremamente difficile. È ingenuo credere che se solo gli economisti avessero una mente più aperta, se facessero buone letture e fossero in sintonia con altre discipline, sarebbero anche capaci di sviluppare una comprensione operativa di come funziona la macroeconomia. L’economia è un sistema estremamente complesso: comprenderlo appieno è oggi al di là delle nostre capacità intellettuali personali e collettive. Per il ruolo che vi hanno i principi in cui si crede, le istituzioni e altro ancora, il sistema è certamente più complesso di quanto lo sia descrivere l’evoluzione e la distribuzione della materia nell’universo, per esempio. E tuttavia i fisici hanno difficoltà a produrre un modello soddisfacente se hanno dovuto introdurre una “materia oscura” non osservata per rendere i dati compatibili con le loro teorie. E questo nonostante agisca una sola forza, la gravitazione. Non stupisce che noi economisti siamo dieci volte più “all’oscuro” dei fisici quando cerchiamo di capire le interazioni tra le molte forze che guidano l’economia.
Per concludere, l’economia è una disciplina intellettuale “umile”, che spera di essere utile nella comprensione del mondo reale. Se a volte nel dibattito pubblico sembriamo arroganti, è perché tendiamo a credere che avendo dedicato la nostra intera vita professionale a riflettere su quegli argomenti siamo in una posizione migliore di altri per discuterne. Questa presupposizione può rivelarsi falsa, ma a mia conoscenza coloro che propongono approcci alternativi non sono ancora stati capaci di darci una cornice operativa con un potere predittivo più forte.

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UN’AMNISTIA DI FATTO DIETRO LO SCUDO FISCALE

27 commenti

  1. Lucandrea Massaro

    La necessità del rigore per una disciplina non è solo un vezzo, è una esigenza imprescindibile. Detto questo – in effetti – l’appunto sull’eccessiva "dipendenza" dalla matematica non è sbagliato. L’economia è una scienza sociale, il denaro, le scelte economiche, non vengono fatte tutte solo razionalmente e anche se lo fossero tale logica (essendo umana) è fallibile e comunque sempre soggetta a valutazioni di tipo emotivo. Una maggiore capacità di tener presente questa variabilità incomprimibile di ciò che l’economia osserva (cioè un aspetto del comportamento sociale) non può che far bene. Ogni tanto le discipline devono ripensare se stesse ed accogliere le istanze che arrivano dai campi a loro più vicini: sociologia, antropologia culturale, storia, psicologia sociale. E’ così assurdo pensare a questo tipo di ibridazioni culturali?

  2. Paolo Quattrone

    Puo’ anche essere vero: l’economia non si occupa di pevedere le crisi. Il problema e’ che a volte le causa. Molta della socioogy of accounting and finance (che essendo un ‘miscuglio’ tra sociologia, finanza e contabilita’, verra’ tacciata dal Nostro come non rigorosa e quindi da ignorare) si occupa di dimostrare come la modellizazione ha costruito una realta’ fittizia che ha finito per essere presa seriamente dagli operatori economici (si veda il libro di Donald Mackenzie An Engine not a camera – princeton University Press, mica il Giornale dei Piccoli). Ora queste cose inizano a essere prese seriamente dovunque, tranne in Italia dove il ‘rigore’ nella ricerca sociale sembra essere garantito solo dalla statistica e/o dalla modellizazione. Anche questo puo’ essere vero: rigore e’ certamente sinonimo di Scienza, ma mi chiedo se questo rigore sia utile quando si dipingono ‘attori’ che ‘recitano’ un ruolo (al massimo due!) forzatamente semplificato e quindi cosi’ lontano dalla realta’ da essere fuorviante. Forse la vera fiction sta in alcune teorie economiche, non in televisione.

  3. andrea

    La particolarità delle previsioni economiche, è che vengono fatte su basi matematiche di formule semiempiriche, il che significa che sono valide con ottima approssimazione nel range di dati con i quali tali leggi sono state formulate. In altre parole è tutto valido nella "normalità" dei casi, ma perdono molto valore come ci si approssima a casi estremi, o comunque al di fuori degli ambiti verificati. Se per un certo tratto posso approssimare una curva ad una retta, ma so già che non potrà mai attraversare gli assi, tale curva la devo usare solo per quel tratto, e non estrapolare i dati al di fuori di essa. E questo perchè ogni evento "eccezionale" è unico, forse più o meno simile ad uno già accaduto, ma mai uguale, e quindi non può rientrare nelle leggi usate. Ci si ricordasse di questo particolare, forse, si commetterebbero meno errori.

  4. mauro

    Io penso che George Soros abbia dato un contributo notevole in tale ambito. La matematica insieme a tutte le altre complesse teorie economiche basate su ipotesi non verificabili nella realtà hanno creato un mondo per così dire parallelo, "non reale", trascurando gli impulsi e gli aspetti psicologici che spingono un individuo ad agire o meno. La teoria della riflessività di George Soros ci può aiutare a capire l’attuale crisi finanziaria e se sviluppata nel modo corretto anche ad ottenere una migliore comprensione del mondo in cui viviamo. Ad ogni modo a mio avviso l’economia non può essere paragonata ad una materia scientifica, troppe sono le differenze e per questo in economia non potranno mai valere leggi universali; per me gli economisti dovrebbero cominciare a prestare più attenzione all’uomo in quanto tale avvicinandosi di più alla psicologia che alla matematica.

  5. Fulvio Volpe

    Milton Friedman si rivolterebbe nella tomba leggendo questa pagina; lui, quello che nei suoi saggi di metodologia disse che la "bontà" di un modello economico sta proprio nella sua capacità predittiva, e non nel realismo delle ipotesi che ne stanno alla base. Saint-Paul contraddice le radici stesse dell’economia moderna. Se gli economisti non hanno saputo prevedere la crisi, significa che la disciplina si è immessa su canali sbagliati. A che serve un vulcanologo che non sa prevedere se ci sarà un’esplosione? L’esempio dei medici è fuorviante, perché il compito dei medici è curare le malattie una volta manifeste, e non prevedere come i virus si modificheranno geneticamente. La realtà è che ormai l’obiettivo degli economisti non è né capire né spiegare la realtà, ma stare chiusi in ufficio a trovare il modo di pubblicare qualche intelligente giochino matematico nelle riviste ad alto fattore di impatto, perché il loro reddito dipende ormai dagli indicatori bibliometrici. In altre parole, si tratta sempre più di una disciplina fine a se stessa e autoreferenziale, incapace di comunicare con altre discipline.

  6. Donato Berardi

    E bravo Gilles Saint-Paul. Sostenere che "L’economia è un sistema estremamente complesso" e che "comprenderlo appieno è oggi al di là delle nostre capacità intellettuali personali e collettive" è come dire che è il mondo ad essere complesso e che non è possibile comprenderlo appieno. Neppure Lapalisse avrebbe espresso una simile ovvietà. “Comprendere appieno” qualcosa che abbia che fare col mondo reale è un “piccolo” problema che da Aristotele in poi ha richiesto il lavorio di non poche menti e intelletti. L’economia dovrebbe forse essere una “scienza umile”, sono gli economisti che hanno perso ogni riferimento con quelli che furono i fondamenti della loro scienza che era definita economia politica perché aveva, e altro non poteva essere, fondamenti civili e morali. In quanto “all’essere all’oscuro” degli economisti più di quanto lo siano i fisici, forse non sarebbe male frequentare un po’ di più il mondo reale rispetto a quello delle equazioni differenziali. Visto che è del primo, e non del secondo, che hanno – in genere – la presunzione (e non l’umiltà) di parlare. Ps: a scanso di equivoci sono un economista.

  7. Gabriele Andreella

    Pur dando per buona la tesi che il lavoro degli economisti non è quello di prevedere alcunché (sebbene argomentata con un esempio – quello dei medici – per nulla calzante), non ci si può esimere dall’osservare che tale atteggiamento implica, in mancanza di ulteriori riflessioni, un affidamento cieco a dei meccanismi non molto diverso dallo stesso affidamento cieco che da tempo gli scienziati hanno operato nei confronti della tecnica. Solo che, in quel campo, esiste la filosofia della scienza, che tratta questi problemi (sebbene ad oggi non riesca minimamente ad incidervi). Sarebbe il caso che esistesse, parimenti, una filosofia dell’economia atta a bacchettare i miopi esecutori dell’economia. Cercasi Max Weber disperatamente.

  8. Davide

    Il problema dell’economica è che data la sua rilevanza in ambito politico "vuole essere usata" dalle parti politiche per i propri scopi e quindi la scienza economica diventa teleologica tradendo proprio il carattere scientifico. Poniamo ad esempio il problema della validità del libero mercato in quanto teoria economica. Essa ha presupposti, dimostrazioni ed effetti del tutto particoalri ed individuabili, ma da un punto di vista politico è stata utilizzata negli anni ’80 quando le "lobby" economiche avevano bisogno di meno vincoli normativi e sindacali, così come sta per essere abbandonata proprio adesso perchè i poteri economici hanno paura del libero mercato (Zingales insegna). Insomma si crea un principio di indeterminatezza (come quello di Heisenberg): lo stato di salute di un sistema economico è solo probabilistico e per di più non misurabile….

  9. GIANCARLO MAZZONE

    Vivere significa muoversi nell’incertezza e nel rischio. Ogni atto o fenomeno viene valutato nel momento nel quale lo si considera, anche se i suoi effetti si conoscono dopo un certo periodo di tempo. Ho imparato che in economia, ma non solo in questa disciplina, quando un fenomeno presenta forti squilibri, le forze che lo hanno originato tenderanno a riportarlo verso condizioni più sostenibili, di maggiore equilibrio. Gli economisti devono individuare la presenza di forti squilibri perchè essi saranno generatori prima o poi di problemi. L’utilizzo di modelli matematici applicati e idonei ha il grande vantaggio di segnalare una dimensione del rischio, ancorchè approssimata. Non è vero che nessuno ha capito che gli Stati Uniti erano portatori di instabilità finanziaria, gli economisti ne hanno parlato forse poco e sottovoce. Un Paese con un forte e un continuo squilibrio nella bilancia commerciale, indebitato fortemente a livello di famiglie e verso il resto del mondo non poteva, nonostante la sua forza militare, non essere portatore di una crisi finanziaria della dimensione sofferta. Certo era difficile prevedere il quando, ma non che sarebbe arrivato il "redde rationem"

  10. stefano marini

    Non è vero che la crisi non è stata prevista da nessun economista. Alcuni economisti hanno previsto e annunciato la crisi (ma la politica non li ha ascoltati) , altri hanno scommesso sulla crisi e sul ribasso delle borse e hanno incassato milioni di dollari. Altri hanno sbagliato. Niente di strano. è successo e succederà quando si ripresenterà l’occasione dato che l’economia è fatta di cicli. Chi è più bravo e anche magari più fortunato ha vinto, non si può condannare un’intera classe. E poi non è vero che l’economia è solo matematica, nelle università si studiano anche etica, sociologia e scienze politiche. In conclusione per me i problemi non sussistono.

  11. mirco

    OIKOS NOMOS= BUONA AMMINISTRAZIONE DELLA CASA mi sembra che l’unica matematica che serve in economia sia quella per non far fallire la propria famiglia ovvero le aziende e gli stati. Il resto sono chiacchere. più umili di così….si muore. Giusto il riferimento di chi sostiene che nei corsi universitari di economia debbano essere inseriti obbligatoriamente storia economica storia delle dottrine economiche psicologia ecc.

  12. PAOLO MARITI

    La matematica è un metodo, non una scienza. Come metodo è indubbiamente rigoroso, ma il suo uso non rende di per sé rigorosa la scienza alla quale è applicato. Dimostrare matematicamente una proposizione economica non rende quella proposizione "più" vera o "più"realistica", semplicemente rigorosamente dedotta. L’economia deve avere i suoi propri criteri di giudizio. Forse bisognerebbe riapprendere ad usare la matematica in economia come facevano alcuni economisti del passato, che non la usavano di per sè, ma per giungere a delle spiegazioni controintuitive di fenomeni anche non necessariamente complessi (penso ad uno Stigler, ad un Tinbergen, al nostro Bresciani-Turroni…

  13. Lia Toller

    Siamo proprio sicuri che la maggioranza degli economisti rifletta a fondo sui sistemi che studia e sulle cause e implicazioni di determinati fenomeni e comportamenti? Io penso piuttosto che le sintesi, prevalentemente neoliberiste, che ci hanno servito per anni siano il frutto di una visione del mondo che ha usato i modelli matematici per dimostrare ciò che aveva interesse a dimostrare e non ciò che realmente accadeva o sarebbe accaduto. L’economia non è una scienza naturale, che poggia su basi sufficientemente neutrali e oggettive; nelle scienze sociali la soggettività degli attori e di chi li studia entra in gioco insieme alle attese,alle convinzioni, alle ideologie.Questo, e non la complessità dell’economia, altera il grado di predittività di un sistema teorico.E’ un caso che i pochi economisti "predittivi" siano stati negli ultimi anni proprio quelli più critici riguardo al paradigma del mercato e all’abuso dei modelli matematici? Quindi ben venga l’interdisciplinarietà, e si cominci finalmente a fare un po’ di "economia" sul fronte dei sistemi formali.

  14. giuseppe faricella

    Per capire a pieno l’economia bisognerebbe analizzare il comportamento di 6 miliardi di individui, ognuno dei quali in condizioni diverse, in interdipendenza con parti più o meno ampie del resto del sistema e messo, ogni secondo, davanti a qualche scelta di allocazione di risorse. Ora, è ovvio che un sistema di 6 miliardi di esseri pensanti non può giovarsi delle stesse semplificazioni usate per descrivere un sistema di 6 miliardi di molecole di idrogeno: e questo perché, a sua volta, la "mente" di ogni essere umano è il frutto dell’attività combinata di miliardi di neuroni (e non solo). E’ proprio questo il limite dei modelli economici attuali: pretendono di applicare la matematica in maniera pedissequa rispetto a quanto fanno i fisici che invece hanno a che fare con sistemi meno complessi, o comunque più sinteticamente descrivibili! Detto questo, secondo me, è palese che il miglioramento futuro dell’economia teorica passerà da: 1) una molto maggiore capacità di calcolo (evoluzione dell’informatica dei prossimi decenni e secoli) 2) emersione e applicazione di modelli matematici relativi al "funzionamento della mente". Siamo solo all’inizio.

  15. alessandro marzocchi

    Col buon senso dell’uomo della strada – ha un valore? – l’economia "appare" tutt’altro che una disciplina umile. Superfluo indicare quanto grande considerazione ricevano le opinioni degli economisti. Se gli economisti affermano che le basi matematiche della loro disciplina sono importanti, dobbiamo fidarci e l’affermazione sembra ragionevole anche per il buon senso comune. E’ però importante che l’economia dia maggiore attenzione alle persone, alle ragioni che motivano le loro scelte al di là della matematica. Da uomo della strada credo che molti economisti condividano questa opinione, nonostante alcuni riconoscimenti importanti il loro numero ed il loro peso è stato finora marginale nel pensiero economico contemporaneo: abbandonare la matematica sarebbe follia, ma occorre restituirle l’importanza di mezzo di analisi da usare insieme ad altri, più tipicamente "psicologici".

  16. Marcello Battini

    Non mi pare che anche i critici più severi verso gli economisti, anche se interessati, abbiano affermato che l’Economia non è una disciplina scientifica, il rigore scientifico è necessariamente seguito da tutti gli scienziati che se ne occupano e la matematica è l’unico linguaggio scientifco che l’uomo, in 3000 anni di storia, è riuscito a creare. Una disciplina che non utilizza la matematica per affrontare scientificamente i problemi, probabilmente, non può vantarsi d’essere una vera e propria scienza. E’ ovvio che ogni rappresentazione della realtà sociale non può che essere approssimata, per l’impossibilità di tener conto di ogni variabile esistente, pertanto è di fondamentale importanza sapere leggere ed interpretare una formula matematica, ma se molti, anche studiosi di fama sono quasi orgogliosi della loro scarsa preparazione matematica, come è possibile dare credito a questi soggetti ?

  17. Luca

    Premetto che sono un non addetto ai lavori, un ingegnere elettronico che si occupa anche di psicofisiologia. Quello che non capisco è "Tutti gli economisti usano solo modelli matematici e nessuno si intende di sociologia, psicologia, …? Quegli economisti che ora si dicono contro ai modelli matematici, probabilmente lo erano anche prima della crisi. Allora perché non l’hanno prevista loro (con date certe, non prima o poi…) ?" Quello che vedo nel mio ambito è che psicofisiologi vecchio stile si sono visti "sottrarre" alcuni ambiti della disciplina da ingegneri, fisici, matematici e non l’hanno presa bene. Non sarà avvenuto lo stesso nel campo dell’economia ed ora gli economisti vecchio stampo sfruttano il fatto della crisi per screditare gli econumisti-matematici, riprendersi il terreno perso e portando avanti una piccola vendetta personale?

  18. Andy

    A furia di scimmiottare gli americani e le varie scuole di Chicago e Minnesota, l’economia è divenuta una disciplina a compartimenti stagni, completamente isolata dalle altre branche dell’economia e del sapere. L’attenzione maniacale al rigore matematico ed al rispetto di ipotesi assolutamente irrealistiche, ma ormai largamente accettate, ha portato gli economisti a scivere articoli completamente fini a se’ stessi. Quando si invia un lavoro ad una rivista di settore, tra un articolo contenente una buona intuizione su un argomento rilevante ma "imperfetto" dal punto di vista metologico ed un altro con una metodologia rigorosa ed un’intuizione ridicola, sara’ sempre il secondo a vincere. Col risultato che ora conferenze e riviste sono piene di lavori incredibilmente complicati, inutili ed irrealistici, ma tecnicamente rigorosi.

  19. Acocella Salvatore

    Sono un ingegenere minerario pensionato si "diletta" di economia, pertc. ambientale. Quel che ha fatto Milton Friedman con "limpostura alivello mondiale" del "libero mercato vantaggioso per tutti" è sotto gli occhi di tutti: ultra arricchimento di pochi oligarchi e impoverimento o rovina di moltisimi e dll’ambiente. Ha convinto tutti noi poveri ingenui, sotto la pressione dei "Reagan mondiali" per fare i propri commodi. Era un impostore (o un ingenuo: il che è ipossibile credere!). Se la società può convivere in libertà, giustizia ed equità senza "regole" cioè in "anarchia", allora può esserci un "mercato senza regole". Informatemi dove si trova: mi ci precipiterò!….

  20. Stefano Cornia

    Insensato paragonare la mancata previsione della crisi da parte degli economisti con l’analoga impossibilità di un medico di prevedere l’AIDS. Il virus HIV-1 è uno e unico, nasce e si diffonde e compito del medico è quello di capirne le cause per cercare di arrivare alla di esso neutralizzazione; la crisi economica si scatena a causa di errate pratiche umane in ambito economico (che nel corso della storia spesso si ripetono) quindi deve in un qualche modo, anche alla lontana, essere prevista. Cercare di togliersi (da parte degli economisti) qualsiasi responsabilità in merito mi sembra un atteggiamento quantomeno irresponsabile.

  21. Antonio Aghilar

    Francamente trovo sconcertante la tesi secondo cui, siccome oggi è emersa una verità schiacciante (ma vera da sempre!) e cioè che i Mercati sono tutt’altro che efficienti, l’economia non sia una scienza. Credo sia proprio il caso in cui dire "mi permetto di dissentire". Mi permetto di dissentire, ma non si può accusare un’intera categoria (quindi anche i keynesiani!) del disastro annunciato. Non è che, siccome il "pensiero dominante" fosse quello dei monetaristi, oggi che le teorie (astruse dalla realtà, storica ed empirica) di quella scuola di pensiero si sono dimostrate in tutta la loro infondatezza, sia legittimo dire che l’economia è lontana dalla realtà. Molti economisti, da tempo, vanno denunciando gli squlibri del sistema.Quanto poi al rapporto tra matematica ed economia, trovo anche io abbastanza inutile sprecare tante energie per elevare a tesi ipotesi false (come quella che i mercati sono efficienti) ma non ho dubbi sul fatto che, se è vero come è vero che i mercati vanno ora riformati, sia con la Teoria dei Giochi e la Market Microstructure Theory che si possono scrivere regole in grado di renderli efficienti davvero, cioè…in grado di non sprecare risorse!

  22. Roberto Peruffo

    Credo che disquisire sulla validità o meno dell’applicazione rigorosa della matematica all’economia sia semplicemente sterile. In realtà i modelli che gli economisti elaborano traggono lo spunto da precedenti esperienze le quali una volta consolidate vengono applicate a modelli matematici per cercarne le ragioni e le motiìvazioni del loro divenire. L’economia è quindi una scienza imperfetta come tutte le scienze umane e addossare la colpa a chi cerca di studiare e capire i meccanismi è quanto meno curioso.

  23. francesco scacciati

    Il libero mercato si basa sulla “competition”. In una competizione c’è chi vince (pochi) e chi perde (molti). Nello sport può essere divertente, nella vita delle persone no. Per 30 anni hanno spadroneggiato, sia nell’accademia sia come “consiglieri del principe” i talebani del liberismo integralista (se non eri dei loro non pubblicavi nelle riviste importanti e dunque non facevi carriera: dunque il sistema era self enforcing). La competizione ha fatto vincere, e guadagnare soldi a palate, pochi e perdere (potere d’acquisto) molti. Ma i ricchi hanno una propensione al consumo più bassa dei poveri e dunque si è verificata un’insufficienza della domanda aggregata, mentre i maggiori risparmi non avevano ragione di tramutarsi in maggiori investimenti (loro sbocco naturale e giustificazione dell’etica del profitto). Dunque, hanno cercato remunerazione nel mercato finanziario il cui boom era totalmente privo di basi reali (chi si arricchisce grazie all’aumento dei titoli posseduti partecipa alla suddivisione del prodotto nazionale, ma non alla sua creazione). Ma le bolle scoppiano, prima o poi. Certo, il giorno preciso non era facile prevederlo, il resto sì.

  24. giovannitalleri

    Ne hanno studiato, scritto e dibattuto infinite teste di ottimi pensatori. Gli elementi che la determinano trovano la loro sede nell’animo umano, diciamo, nel suo essere inizialmente istinto. Quell’ innato egoismo nell’umano, lungo un tempo infinito di gioie e dolori, si è gradualmente modificato secondo le necessità della propria esistenza, rimanendo però nell’essenza quel grumo di istinti, di egoismo che era all’inizio. Lo abbiamo costatato, in questi due ultimi secoli di vita, con il sistema liberista che manteneva in schiavitù la massa degli umani meno furbi, meno forti, meno cattivi, a beneficio dei pochi più furbi, più forti e sempre più ricchi. Lo abbiamo costatato con il rivoluzionario sistema comunista, in cui c’è stata una semplice, sebbene sanguinosa, sostituzione dei furbi, ma la massa è rimasta, sia pure con la certezza della sopravvivenza, poverissima e privata di ogni libertà. Ed ora, dopo il ritorno al liberismo, ci accorgiamo che per grandi linee la storia si ripete: ci sono i deboli e ci sono i forti, i molti che subiscono e i pochi che ne approfittano…

  25. giovanni talleri

    Ne hanno studiato, scritto e dibattuto infinite teste di ottimi pensatori. Gli elementi che la determinano trovano la loro sede nell’animo umano, diciamo, nel suo essere inizialmente istinto. Quell’innato egoismo nell’umano, lungo un tempo infinito di gioie e dolori, si è gradualmente modificato secondo le necessità della propria esistenza, rimanendo però nell’essenza quel grumo di istinti, di egoismo che era all’inizio. Lo abbiamo constatato, in questi due ultimi secoli di vita, con il sistema liberista che manteneva in schiavitù la massa degli umani meno furbi, meno forti, meno cattivi, a beneficio dei pochi più furbi, più forti e sempre più ricchi. Lo abbiamo constatato con il rivoluzionario sistema comunista, in cui c’è stata una semplice, sebbene sanguinosa, sostituzione dei furbi, ma la massa è rimasta, sia pure con la certezza della sopravvivenza, poverissima e privata di ogni libertà. Ed ora, dopo il ritorno al liberismo, ci accorgiamo che per grandi linee la storia si ripete: ci sono i deboli e ci sono i forti, i molti che subiscono e i pochi che ne approfittano. Insomma ci sono sempre i poveri e ci sono sempre i ricchissimi.

  26. Giuseppe Caffo

    Nel 1776 un docente di filosofia morale, Adam Smith, pubblicava "La ricchezza delle nazioni", fondamento della moderna scienza economica. Applicando un rigoroso metodo analitico, l’autore fu in grado di formulare straordinarie intuizioni e previsioni sulla nascente società capitalista, ancor oggi di grande attualità. Come quando raccomanda dall’evitare che imprenditori assumano cariche politiche, o consiglia di esaminare con la più scrupolosa e sospettosa attenzione qualsiasi proposta di legge che provenga da associazioni di commercio o manufatturiere, o prescrive come antidoto all’alienazione che deriva dalla divisione del lavoro, indispensabile per aumentare la produttività, l’istruzione e la diffusione della cultura tra i lavoratori, o quando descrive le nefaste conseguenze dei dazi commerciali. Non sono sicuro che tutti quelli che parlano di economia abbiano letto attentamente questo testo. Per cui invito tutti a farlo. Sono certo che trarrebbero fondamentali lezioni di merito e di metodo. E conoscerebbero l’essenza profonda del pensiero liberale-liberista, unica alternativa a una concezione lobbistico-feudale dell’economia, sinora mai applicato compiutamente, ma solo sventolato per meri interessi di parte. Scoprendo che l’economia è una nobile disciplina.

  27. giuseppe russo

    Riservandomi di approfondire quest’argomento nell’ambito di un articolo specifico mi limito ad osservare in questa sede che la mancanza assoluta di un dibattito italiano sulla contestazione nata nel 2000 in una facoltà economica parigina, propagatasi prima in Inghilterra ad Oxford e poi negli stessi USA, addirittura ad Harvard,ovvero la post-autistics economy, che oggi dispone anche di una propria rivista, ci fa riproporre con ritardo ed un pizzico di provincialismo una delle esigenze principali di quel movimento: abbandonare il monopolio della modellistica matematica sulla scorta del parere vuoi di grandi economisti che di celebri matematici.

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