Nella settimana passata è emerso. in tutta la sua evidenza, lattrito tra il Ministro dellEconomia e alcune banche, quali Intesa SanPaolo e Unicredit, relativamente ai Tremonti Bonds. I T-bonds sono strumenti finanziari predisposti nei giorni più caldi della crisi finanziaria dal Ministero dellEconomia per far fronte alla mancanza di adeguata capitalizzazione delle banche italiane. Avere banche con una solida capitalizzazione è importante non solo per la stabilità del sistema bancario stesso, ma anche perché dal livello di capitalizzazione dipende la capacità delle banche di fornire credito a imprese e famiglie. È per tale ragione che anche in altri Paesi si sono predisposti strumenti finanziari simili ai T-bonds. Il costo di sottoscrizione dei T-bonds è dell8.5%, con maggiorazioni in caso di rimborso ritardato. La gestazione dei T-bonds è stata piuttosto lunga e oggi, passata lemergenza le banche italiane hanno scoperto che è possibile, data la nuova situazione di mercato, ricapitalizzarsi con altri strumenti meno onerosi dei T-bonds. Per tale ragione molte banche, incluse le due principali, Unicredit e Intesa, hanno deciso di non sottoscrivere i Tremonti bonds. Il Ministro si è molto risentito, ribattendo che tali strumenti non erano stati pensati per le banche, ma per le imprese, affinché esse non si trovassero nellimpossibilità di ottenere finanziamenti dal sistema bancario. Le banche hanno replicato che già adesso non vi è alcuna restrizione al credito per le imprese sane. Viene da domandarsi se sia compito del Ministro dellEconomia dire quale sia il livello ottimale di credito nelleconomia italiana, ma lasciamo da parte questa questione per il momento. Ha ragione il Ministro o hanno ragione le banche? Cè o non cè un significativo razionamento del credito a famiglie e imprese?
Nel decreto che istituiva i Tremonti bonds, il Ministro affidava ai prefetti il monitoraggio delle condizioni del credito verso famiglie e imprese. I prefetti dovevano essere delle cassette postali nelle quali imprenditori e cittadini potevano riversare le loro lamentele in caso di comportamenti opportunistici delle banche.
Chi meglio di loro può allora dirimere oggi la controversia tra banche e Ministro? Le cassette postali dei prefetti sono piene, quasi piene o desolatamente vuote? Oggi che le loro parole potrebbero portare chiarezza, dei prefetti (e dai prefetti) non si sa niente. Non pretendiamo la parola che squadri da ogni lato. Ci basterebbe solo qualche storta sillaba. Almeno per dissipare il dubbio che loperazione prefetti fosse in realtà solo un dispetto verso la Banca dItalia.
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lucio
Questa volta sono d’accordo con Bersani, se il governo vuole aiutare le imprese lo può fare in modo molto più semplice costringendo le amministrazioni pubbliche a pagare immediatamente i 60.000 miliardi di euro di debito e a effettuare tutti i pagamenti entro 30 giorni. In aggiunta, per invogliare le banche a concedere più prestiti alle aziende sane (le banche dovrebbero re-imparare a valutare le imprese), potrebbe finanziare in misura opportuna i consorzi che prestano fideiussioni aggiuntive per i finanziamenti alle imprese. Con i T-bond non si otterrebbe alcun risultato perché avendo un costo del 8,5% le banche dovrebbero dare prestiti alle aziende a tassi proibitivi del 12-13%. I prefetti facciano bene il loro mestire se ci riescono e lascino invece perdere cose che altri sanno fare molto meglio di loro.
luigi zoppoli
Intendo come sarcastico, giustamente sarcastico il senso dell’articolo. Forse, rimanendo intatto il ruolo assai appropriato riservato ai prefetti, il prossimo passo sarà quello di sostituirsi agli azionisti ed ai consigli di amministrazione delle banche per controllare il credito alle imprese. Banco di Sicilia e Banco di Napoli sono il giusto benchmark. E prefetto non so come si dica, ma benchmmark è parola inglese.
MD
Mi sono domandato perché un policy maker che licenzia delle misure per far fronte ad un’emergenza si dovesse rammaricare a emergenza finita che esse non servissero più. In particolare mi sono chiesto se i motivi del rammarico potessero dipendere da tre circostanze: 1) Perché la mancata sottoscrizione dei T-Bs comporta l’impossibilità per il Tesoro di lucrare sullo spread tra costi della raccolta, attualmente bassissimi, e rendimento del prestito alle banche richiedenti? 2) Perché viene meno la possibilità di esercitare un controllo da parte dello Stato attraverso le clausole di sottoscrizione (peraltro da più parte auspicato durante la fase acuta della crisi e ora già dimenticato)? 3) Perché mina la credibilità politica dell’autore delle misure, di cui portano il nome? Ad oggi ho trovato una risposta unicamente al secondo quesito, contenuta nell’articolo di ieri sei ottobre del Prof Spaventa, pubblicato su "la repubblica", secondo cui "La motivazione dell`irritazione del ministro può dunque rinvenirsi solo nella circostanza che l`alternativa privata impedisce l`esercizio di una facoltà di controllo sui flussi di credito che i TB avrebbero consentito."
Corrado
Ho letto alcune dichiarazioni di banchieri i quali sostanzialmente affermano che non esiste alcuna stretta creditizia e che, al contrario, non c’è nessuno che gli chiede di finanziare i propri investimenti. Nonostante abbia una certa prevenzione verso la sincerità dei banchieri, penso che in questo caso dicano la verità visto che è universalmente riconosciuto che esiste un problema di sovraproduzione dovuto al crollo della domanda e che quindi in questo momento non ci sia nessuno che debba investire per produrre e anzi tutti abbiano il problema opposto. Mi sembra quindi che continuare a pompare liquidità verso le banche serva esclusivamente a permettere a queste ultime di compiere operazioni prettamente finanziarie (es.finanziare il debito pubblico o compiere scalate) che non ha alcuna ricaduta sull’economia reale in mancanza di riforme che permettano una migliore redistribuzione del reddito. E’ del tutto evidente, infatti, che fino a che la maggioranza degli occupati deve campare con 1000 euro al mese la domanda non può che rimanere depressa. Come la crisi in corso ha insegnato, infine, cercare di risolvere il problema invitando le persone ad indebitarsi lo aggrava solamente.