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FUORI DAL PANTANO DELL’IRAP

L’Irap è un’imposta sostanzialmente corretta sotto il profilo economico, ma profondamente odiata dai contribuenti. Va dunque migliorata. E forse in parte sostituita. Se possibile all’interno di una più vasta riforma del sistema tributario italiano. Ma certo senza abbandonarsi a improvvisazioni e studiando seriamente gli effetti dei diversi possibili provvedimenti. Se l’obiettivo è invece sostenere l’economia, sono possibili altri interventi congiunturali di maggiore efficacia.

Il dibattito sull’abolizione dell’Irap continua, tra frenate e accelerazioni su eventuali interventi immediati. Anche lavoce.info ha già dedicato al tema diversi interventi.

PERCHÉ ABOLIRE L’IRAP?

Dal dibattito emerge che le ragioni per intervenire sull’Irap sembrano siano recentemente mutate. Dalle critiche usuali (“una tassa sulle imprese per finanziare la sanità”), l’accento si è spostato sulla necessità di dare, tramite la sua abolizione e la conseguente riduzione dei costi, un forte stimolo alla competitività delle imprese, anche alla luce dei provvedimenti di riduzione delle imposte annunciati all’estero. L’argomento sembra essere che la crisi è molto più forte del previsto; la domanda nazionale e internazionale di beni italiani continua a ridursi, e se non interveniamo con urgenza, si rischia che se e quando ci sarà la ripresa, non ci saranno più le imprese.
Difficile dire quanto quest’argomento sia fondato. Ma anche se lo fosse, bisogna domandarsi se è sul sistema tributario in generale, e sull’Irap in particolare, che bisogna agire per affrontarlo. Se la logica è quella dell’emergenza, sono disponibili strumenti congiunturali alternativi – rifinanziamento dei confidi, rimborso anticipato dei crediti di imposta, posticipo del pagamento delle imposte, comprese l’Irap, per le imprese in difficoltà e così via -, con effetti immediati probabilmente maggiori e forse maggiormente prevedibili.
Il sistema tributario è complesso: quando s’interviene, bisogna capire dove si finisce. E invece, al di là dalle chiacchiere, sugli effetti degli interventi sull’Irap non si sa in realtà molto. Per esempio, già il governo Prodi nel 2007 è intervenuto tramite una manovra sull’Irap sul costo del lavoro, con una riduzione a regime dell’ordine di circa 4,5 miliardi di euro, ma nessuno sa se la diminuzione dell’aliquota e la perdita di gettito abbiano poi pagato, e quanto, in termini di crescita, occupazione e salari.
Se l’argomento è invece più strutturale, di crescita complessiva della produttività del sistema, ci sono parecchie riforme, anche a costo zero come per esempio la liberalizzazione dei servizi locali, che avrebbero effetti ben più duraturi della semplice abolizione dell’Irap. E tuttavia, è innegabile che tra gli interventi strutturali necessari ci sia anche una riforma del sistema tributario, visto che in questo paese ci ostiniamo a tassare molto i fattori impegnati nella produzione e ben poco tutto il resto. In linea di massima, sarebbe necessario spostare il più possibile il carico tributario dal capitale e dal lavoro, tagliando Ires e Irpef, al patrimonio, ai redditi finanziari, ai consumi. Una riforma di questo tipo dovrebbe agire anche sull’Irap, ma non solo e probabilmente non prioritariamente, su questo tributo. Con onestà, va tuttavia anche riconosciuto che l’opinione pubblica italiana sembra refrattaria a ogni ipotesi di razionalizzazione del sistema tributario in questo senso e appoggia invece ogni intervento che ne magnifica le distorsioni, come mostra tutta la vicenda dell’Ici.

COME FINANZIARE L’ABOLIZIONE DELL’IRAP?

Le preoccupazioni per la crisi sembrano avere in qualche modo ridotto l’importanza di quest’aspetto. È vero che la strategia del governo, o meglio del ministro del Tesoro, tesa al controllo occhiuto della spesa e a interventi marginali per affrontare la crisi, dimostra sempre più di avere le gambe corte. Il problema della sostenibilità del debito sta diventando un problema del denominatore, il Pil, più che del numeratore, il debito. Se continua l’attuale stagnazione economica, si rischia che non ci sia alcun intervento sulla spesa che possa mettere in sicurezza le finanze pubbliche, a meno di misure tanto drastiche da essere politicamente inimmaginabili. Ma 36 miliardi di gettito non si improvvisano; qualche intervento compensativo sulla spesa o sulle altre entrate deve essere ipotizzato.
Una proposta interessante è stata avanzata da Guido Tabellini: l’abolizione dell’Irap potrebbe essere finanziata, in parte, con un incremento dell’Iva. Ci sono vari problemi: l’Iva è un’imposta europea, le cui aliquote possono essere scelte solo all’interno di intervalli predeterminati; l’Iva è più facilmente evasa dell’Irap, per esempio. Ma la domanda davvero interessante è quali effetti la modifica avrebbe sui prezzi e sui comportamenti delle imprese. Effetti che a loro volta dipendono dalla sovrapposizione effettiva tra le basi imponibili dei due tributi, che tassano definizioni diverse di valore aggiunto, e dagli effetti di traslazione relativi. L’eliminazione dell’Irap ridurrebbe i costi per le imprese, così aumentandone la competitività, ma se l’incremento compensativo dell’Iva si scaricasse sui prezzi, ne deriverebbe anche una riduzione della domanda interna. Ne guadagnerebbero senz’altro le imprese esportatrici, mentre l’effetto sarebbe più incerto per quelle che producono per il mercato interno. Ci sarebbero anche importanti effetti distributivi, che dipendono dalla misura in cui la riduzione dell’Irap fosse traslata in più alti salari. Chiaramente, si tratta di una proposta che meriterebbe un serio approfondimento.

UNA CATTIVA IMPOSTA REGIONALE?

Gli economisti considerano l’Irap come un’imposta sul complesso dei redditi, in cui le imprese agiscono solo come collettori; le imprese considerano invece l’Irap come un’imposta su di esse. Nel primo caso, è del tutto ovvio che possa trattarsi di una buona imposta per finanziare la spesa regionale, per l’80 per cento dedicata alla sanità, un servizio universale. Nel secondo, appare un’assurdità, e sarebbe meglio usare un’altra imposta generale sui redditi personali, come ad esempio l’Irpef. Non provo nemmeno a sventolare la bandiera degli economisti; mi limito solo ad alcune osservazioni. Primo, la critica, anche se fosse fondata, non è all’imposta come tale, ma ai servizi che finanzia. Nulla vieterebbe, in conformità a questa critica, di mantenere l’Irap come imposta erariale, assegnando invece altri tributi alle Regioni. (1) Secondo, l’Irpef, per i noti problemi di erosione/evasione/elusione, tassa in modo sproporzionato i redditi da lavoro, e in particolare i redditi da lavoro dipendente. Costruire soltanto su questa imposta l’autonomia regionale, scaricherebbe in modo eccessivo solo su alcuni il finanziamento del servizio. Terzo, nonostante tutto, l’Irap ha funzionato in realtà piuttosto bene come strumento di controllo della spesa regionale, perché le imprese hanno una “voice” molto più forte e immediata dei cittadini sui governi regionali e sanno farsi ascoltare. Il problema vero dell’Irap come imposta regionale è la sua sperequazione sul territorio, maggiore di altri potenziali tributi assegnabili alle regioni. Qualunque intervento di riforma della fiscalità locale deve muoversi nella direzione di attribuire alle regioni, in alternativa o assieme all’Irap, altri tributi propri più omogenei sul territorio.

GLI INTERVENTI POSSIBILI

Al di là dall’abolizione tout court, sono stati suggeriti diversi altri possibili interventi. E in realtà, l’imposta soffre di cattiva stampa per una serie di questioni che potrebbero essere affrontate, se si volesse, abbastanza facilmente. Se il problema è l’indeducibilità, l’Irap può essere resa deducibile da Irpef e Ires (è già stato fatto, per il 10 per cento), aumentandone l’aliquota media e compensando i vari governi. Naturalmente, l’intervento non servirebbe a nulla sul piano congiunturale (se le imprese sono in perdita, non hanno nulla da cui scaricare l’Irap versata nell’immediato), ma potrebbe nel lungo periodo renderla più accettabile. Non c’è dubbio, infatti, che anche le imposte devono godere di un certo consenso da parte di chi le paga, e con l’Irap si è oramai superato il livello di guardia. È paradossale che l’attuale presidente del Consiglio vinca le elezioni da dieci anni promettendo l’abolizione dell’Irap, che poi non realizza mai.
Se il problema è la visibilità, l’Irap può essere “spacchettata” nei suoi vari elementi, lavoro e capitale, e tassata in modo separato. In una versione estrema, perché comporta nei fatti l’abolizione dell’imposta, è la proposta di Innocenzo Cipolletta, anche se non è chiaro che fine farebbero, nella sua ipotesi, gli interessi passivi che costituiscono parte della base imponibile dell’Irap. (2)

 

(1) E in effetti questa era la proposta avanzata nel 2005 dall’Alta Commissione sul federalismo fiscale.
(2) Un altro problema con la proposta di Cipolletta è che l’Irpef è un’imposta progressiva e dunque l’incremento nei salari indotto dall’abolizione dell’Irap sarebbe tassato ad un’aliquota marginale diversa (dipendente dalle condizioni personali del contribuente) da quella dell’Irap.

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19 commenti

  1. Graziano Camanzi

    La discussione sull’Irap è un tragico inganno. Così come lo è quella sulla crisi che sta arrivando, crescendo o passando. E noi dovremmo sottrarci all’inganno.L’inganno è portato avanti dai politici. Da qualcuno, furbo e strumentale, in modo conscio e da qualcun altro, per ignoranza, in modo inconscio. La vera discussione dovrebbe essere incentrata sui veri motivi della crisi attuale. Che non è contingente, anche se qualcosa di contingente c’è sempre, ovvio, bensì strutturale. Dovuta, principalmente, all’arrivo di forza lavoro (persone e paesi) che, costando meno, abbassano prezzi, e quindi margini, degli attori del mercato così come li abbiamo conosciuti fino a momenti recenti. E chi, tra le aziende, non riesce a resistere, e in alcuni settori, se non delocalizzi, è quasi impossibile resistere, è, prima o poi, costretto a chiudere. Con tutto ciò che ne consegue. Questa è, ripeto, una condizione strutturale. E i governi dovrebbero farsene carico per ipotizzare, con il consenso delle parti sociali, risposte strutturali. Invece continuano, tragicamente, a pensare al loro unico interesse: perpetuare i propri vantaggi e quelli dei propri amici. Ma, così, si muore.

  2. Giorgio Trenti

    1 Il D. Lgs. 446 / 1997 non prevede esenzioni d’imposta. Esso colpisce tutti i redditi di lavoro. Essi sono prodotti da: – imprese, professionisti, società, enti – dipendenti privati (paga il datore di lavoro) – dipendenti pubblici (paga l’ente) – lavoratori occasionali (paga il committente). Chi ha un’organizzazione autonoma paga in proprio, chi invece dipende da un’organizzazione esterna non paga, ma sarà il committente a pagare, sull’importo dei compensi corrisposti, con il meccanismo dei costi indeducibili. Tale meccanismo è utilizzato nell’art. 11, ove non si ammettono in deduzione i costi relativi alle attività che sicuramente non prevedono un’autonoma organizzazione (ad esempio il lavoro dipendente). 2 L’art. 3 è esplicito nel dichiarare soggetti passivi, sia gli esercenti attività commerciali ex art. 51 TUIR, sia gli esercenti arti e professioni ex art. 49 TUIR.

  3. Giuseppe Savarino

    L’IRAP è un’imposta assurda e mi sembra che l’articolo non sottolinei il vero perché di questa assurdità. Meglio ricorrere ad un esempio teorico: azienda con 3 milioni di costo dipendenti (all’incirca 60-70 dipendenti) e risultato in forte perdita. Nonostante la perdita deve pagare un’IRAP di circa 10-12k. La soluzione mi sembra evidente: diminuire il costo del personale (ore di lavoro o licenziare): mi chiedo dove sta la razionalità e la correttezza "sotto il profilo economico" dell’imposta.

  4. Ezio Maestri

    Il dibattito sull’abolizione/superamento/manutenzione dell’IRAP è intrappolato nella visione short-sighted dell’alberello che trascura il bosco (architettura generale del sistema fiscale). Trovo povero intellettualmente interrogarsi intorno alla neutralità dell’imposta. E’ necessario elevare il livello del dibattito e interrogarsi su come rifondare l’impianto generale incentrandolo sull’unica alternativa moralmente difendibile: la fiscalità di scopo! Il finanziamento del SSN non deve essere affidato a soluzioni "esternalizzanti" ma a imposte in capo ai beneficiari (assicurati). E’ necessario de-opacizzare la catena "chi paga cosa e perché" per puntare a un nuovo modello che abbia l’efficienza allocativa del sistema dei prezzi. Solo tentanto di interrompere la tirannia del presente si può uscire dalla sterilità del dibattito. Insomma, solo guardando il bosco si può trovare una risposta razionale alle confuse e contraddittorie domande congiunturali su IRAP sì o IRAP no. L’IRAP va "semplicemente" abolita perché contraria al principio che ispira la filosofia della fiscalità di scopo e sostituita con una esplicita imposta di scopo finalizzata al finanziamento del SSN.

  5. Luigi D. Sandon

    L’Italia soffre già di prezzi spesso molto al di sopra della media europea (in particolare per i diversi generi alimentari, farmaci, e combustibili da riscaldamento, tanto per fare alcuni esempi) prezzi sui quali gravano già aliquote IVA alte. Ritoccarle verso l’alto pare assai difficile, forse possibile per quelle più basse e "nascoste", ma portare l’aliquota massima oltre il 20% non parrebbe una mossa popolare e felice, e c’è comunque il rischio di danneggiare ulteriormente i redditi medio-bassi, specie se si ritoccassero le aliquote sui beni necessari e di largo consumo. Al posto di "ritocchi" occorrebbe invece una seria razionalizzazione fiscale e della spesa, ma purtroppo occorrerebbero governanti di profilo ben più alto di quelli a disposizione – da una parte e dall’altra.

  6. Luigi Bernardi

    Grazie a Massimo Bordignon, studioso di scienza delle finanze e non semplice economista generalista, per questo contributo non più solo ragionieristico e che considera la complessità degli effetti delle imposte e delle proposte di sostituzione di tributi a bilancio in preggio. Nella letteratura recente mi sembra perda appeal l’ipotesi un tempo prevalente della sostituzione di imposte formalmente sui fattori (ma non proprio mai traslate?) con l’Iva, che entra almeno in parte nel cuneo reddito lordo-consumo e che, come nota Bordignon, sarebbe forse regressiva, dati i vincolo europei sulle aliquote. Il pensiero va allora necessariamente alla buona teoria di Musgrave e, in Italia, di Cosciani e di Steve, che proposero l’imposta patrimoniale generale, poco distorsiva, poco evitabile, legata alla capacità contributiva, ma che anche potrebbe applicare il principio del beneficio a livello locale. Ma, come osserva lo stesso Bordignon, i contribuenti italiani sarebbero contenti? E’ un fatto che le imposte sul patrimonio, e soprattutto sulla ricchezza totale, sono in declino un po’ in tutta Europa (Eurostat, Tax trends in Europe, 2008). Luigi Bernardi Università di Pavia

  7. carlo bianchi

    L’Irap non è un’imposta corretta in quanto per qualsiasi impresa non è detraibile, perciò io su di 100 ipotetico di utile pago allo stato (regioni) 20 di irap poi calcolo le tasse non su 80 ma sui 100 che non ho più e quindi mi alza ancora artificiosamente l’aliquota già alta, basterebbe renderla detraibile com’era all’origine (ilor ecc.) per dare sollievo e una sensazione di maggior giustizia alle imprese. P. S. visto che serve soprattutto alla sanità perché non inserirla in busta paga?

  8. valeria bortolussi

    A me sembra che tutto questo can can sull’abolizione/riduzione/possibilità di ripensamento dull’Irap sia in linea con la già effettuata abolizione dell’Ici. Federalismo o non federalismo? Volete il federalismo e abolite un’imposta regionale il cui gettito ricade su un servizio tangibile come la sanità? Di certo andrebbe ristrutturata, ma è sul sistema tributario nel suo complesso che bisognerebbe agire. Nell’immediato vedrei in buona luce anch’io un posticipo del pagamento delle imposte. Anche se, se la partita non la vedi al pomeriggio, la vedi dopo cena. Quindi prima o poi quelle imposte andranno pagate. Almeno il governo avrebbe così più tempo per studiarsene un’altra per rimediare all’inerzia fin qui accumulata.

  9. giuseppe faricella

    Sono perfettamente d’accordo col prof. Bordignon sulla necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro (in primis) e dal capitale (produttivo) a rendite e patrimonio. Sul fatto, poi, che l’opinione pubblica gioisca per le riduzione dei tributi sul patrimonio – beh – non è un caso che l’Italia sia il Paese – credo – più "patrimonializzato" dell’Occidente. Diciamo così: l’italiano, più che un lavoratore, si sente un accumulatore. D’altro canto, però, la classe dirigente e di governo dovrebbe essere un elemento di razionalità del Sistema complessivo; ma con la razionalità non si prendono voti e, in Italia, purtroppo va a votare quasi l’85% dell’elettorato (è questo secondo me il vero problema della politica italiana: l’assoluta mancanza di autoselezione degli elettori attivi). In pratica nel nostro Paese va a votare anche chi avrebbe dei dubbi a dire se è la Terra che gira intorno al Sole o viceversa. La tv fa il resto…

  10. C.R.

    L’IRAP, nell’ambito dell’imposizione generale, ha uno scopo ben preciso raccogliere fondi volti a finanziare le necessità pubbliche. Intervenire sulla base di calcolo delle imposte, sulle aliquote, sulle modulazioni etc… porta inevitabilmente ad una sperequazione tra i diversi destinatari delle stesse. Migliorare l’applicazione delle imposte e ridurne la distorsione è un provvedimento sacrosanto e giusto ma il vero nodo è l’obbiettivo finale: la dimensione della spesa pubblica. Modificare l’applicazione delle imposte, a parità di gettito, cambia per lo più la pressione fiscale in capo ai contribuenti ma lascia inalterata la spesa dove, al contrario, è necessario intervenire per ridurre l’imposizione generale. La riduzione degli sprechi pubblici e l’incremento dell’efficienza (ridurre le province?) è un obbiettivo diffuso ma quando si tratta di intervenire la realtà è ben diversa. Ridurre la spesa porta ad una migliore sostenibilità dei conti pubblici ed anche ad una migliore accettazione del carico fiscale; questo spesso si mal concilia con le necessità elettorali.

  11. Giorgio Cavallari

    Penso che se una tassa è locale essa deve restare tassa locale e non deve succedere un pasticcio come con l’abolizione dell’ICI. Secondo l’Associazione dei contribuenti l’evasione fiscale è in aumento e molte società di capitale mostrano bilanci in passivo. Mi si dice che è facile fare un bilancio che mostra un passivo, dunque non pagare tasse. O lo stato riesce a tassare correttamente persone morali e persone fisiche, o è meglio avere delle tasse inevadibili. In ogni caso il lavoro dipendente è tassato.

  12. martion

    Il sistema fiscale italiano appare a chi come me non è un tecnico, decisamente complesso. Pur avendo io, come professionista, una contabilità teoricamente elementare, la compilazione delle dichiarazione dei redditi non riesco a farla da solo (così come quella previdenziale). L’elevato numero di tasse ed imposte del cui pagamento – previa laboriosa liquidazione – sono gravato ivi inclusa la attività relativa alla posizione previdenziale strettamente legata a quella fiscale (ed altrettanto complessa) stride profondamente con il mio bisogno elementare di giustizia fiscale che significa in primo luogo semplicità. Perché tanti "titoli fiscali" diversi? Da dove sorge questa necessità? Un sistema semplice, con una sola imposta per tipologia di attività svolta (anche se qui mi pare che in italia regni l’ipocrisia: moltissimi studi professionali non sono altro che aziende e i migliaia di liberi professionisti sono in realtà meri "dipendenti", si dovrebbe riconoscere questa realtà e non ricamarci sopra) non aiuterebbe anche l’attività di controllo dell’evasione?

  13. Rino

    Se il servizio sanitario deve essere universale allora al suo finanziamento devono concorrere tutti anche se non stanno producendo utili. Io credo che debba essere universale e la pensa così anche Obama, allora non si può lasciare il suo fimanziamento alla possibilità di evadere. Detto questo penso che lo schema su cui si basa l’IRAP sia il più corretto, caso mai si possono rivedere i parametri rendendoli più aderenti alla realtà odierna ad esempio la parte sull’indebitamento trasferirla al patrimonio mentre ha ancora senso la non deducibilità perchè non è logico trasferire allo stato una politica tipicamente regionale.

  14. vincenzo rinaldi

    Ha ragione l’ex ministro Visco quando afferma che l’IRAP è un’imposta che colpisce i singoli fattori della produzione, non mi pare condivisibile configurare gli imprenditori come esattori per conto del fisco. In vero, la sua indeducibilità e la impossibilità di traslarla pro quota ai singoli percettori del reddito derivante dall’impiego dei fattori stessi la fa gravare interamente sull’impresa. Forse sarebbe più giusto affermare che l’IRAP colpisce l’organizzazione dei mezzi di produzione ovvero la potenzialità produttiva che ne deriva. Certo se l’assunto fosse giusto diventerebbe concreto il rischio che, in caso di perdite, quest’imposta possa infrangere il principio dell’intangibilità fiscale delle fonti di produzione ovvero dell’intassabilità del limite minimo di reddito al di sotto del quale si configurerebbe il vulnus al dettato costituzionale che si concretizzerebbe nell’eccesso di valutazione della capacità contributiva. In effetto sono giunto alla conclusione che l’IRAP colpisce l’attitudine, di una coordinazione economica a remunerare i fattori della produzione; pertanto potrebbe dedursi che la la natura dell’imposta sta nella composizione della sua base imponibile.

  15. dvd

    Come tante altre cose italiane che si basano troppo sullo spirito della norma o sui principi etici e morali e così via si finisce poi nel concreto a certificare la sconfitta vuoi della giustizia per la sua lentezza (troppi gradi di giudizio e troppe tutele e garanzie per tutte le parti in causa) che del fisco, oggettivamente iniquo (pagano molto in % i lavoratori a reddito fisso quando la legislazione sulle imprese è una delle meno permissive del mondo). Forse il problema stà appunto proprio nell’ecceso di dogmi e di filosofia che risiede dietro le norme a discapito di un approccio alle norme più pratico e mono filosofico. Come si fà a dare torto a Visco per quello che anche qui scrive (tassa la produzione, il valore aggiunto e non si presta a facili raggiri) !? Non si può, ma non mi pare che si possa neppure negare che nei fatti l’imposta si rileva iniqua.

  16. Flavio Favilli

    L’Irap ha posto, sin dall’anno successivo alla sua introduzione, un problema di comprensione e di percezione da parte degli imprenditori. Per esempio quello che non viene compreso è la sua onerosità rispetto all’utile civilistico realizzato: sarebbe sufficiente leggere le lettere degli imprenditori che sempre più vengono ospitate sulla stampa quotidiana in cui lamentano il fatto, p.e., che” L’Irap poi arriva quasi ad ammontare a tre volte l’utile.”(cfr. Monica Galvanin sul Sole 24 ore del 18 ottobre 2009). L’incomprensione cioè diventa palese quando l’utile risulta essere di entità inferiore all’ammontare dell’imposta irap dovuta sui salari e sugli interessi al punto da azzerare l’utile stesso facendo affermare da parte di qualcuno che l’irap sia dovuta anche in caso di perdita. L’affermazione è infondata, ma deriva da una non chiara rappresentazione contabile della situazione economica dell’andamento dell’impresa. L’ipotesi emendativa avanzata idal sottosegretario Vegas di sottrarre dall’imponibile Irap le perdite al di là dell’indubbio vantaggio recato a qualche società di capitali in perdita va in controtendenza rispetto alla necessità di fare chiarezza. L’ipotesi emendativa avanzata dal sottosegretario Vegas di sottrarre dall’imponibile Irap le perdite al di là dell’indubbio vantaggio recato a qualche società di capitali in perdita va in controtendenza rispetto alla necessità di fare chiarezza ed incrementerà ulteriormente la confusione nella percezione, nella visibiltà di tale imposta riducendo la sua natura di un’imposta a prova di elusione(cfr.Vincenzo Visco) Con tale emendamento inoltre, l’ipotesi di avanzata da Massimo Bordignon di uno “spacchettamento” nei suoi vari elementi, lavoro e capitale, applicandola in modo separato diverrebbe ovviamente impraticabile ed inquinerebbe ulteriormente la base imponibile anche sotto il profilo della sua percezione e della sua visibilità salvo sempre il beneficio per i pochi (?) interessati.

  17. Flavio Favilli

    L’ipotesi emendativa avanzata dal sottosegretario Vegas di sottrarre dall’imponibile Irap le perdite al di là dell’indubbio vantaggio recato a qualche società di capitali in perdita va in controtendenza rispetto alla necessità di fare chiarezza ed incrementerà ulteriormente la confusione nella percezione, nella visibiltà di tale imposta riducendo la sua natura di un’imposta a prova di elusione(cfr.Vincenzo Visco) Con tale emendamento inoltre, l’ipotesi di avanzata da Massimo Bordignon di uno “spacchettamento” nei suoi vari elementi, lavoro e capitale, applicandola in modo separato diverrebbe ovviamente impraticabile ed inquinerebbe ulteriormente la base imponibile anche sotto il profilo della sua percezione e della sua visibilità salvo sempre il beneficio per i pochi (?) interessati.

  18. pazzaglia giuseppe

    Allora, la corte costituzionale, com’è noto, si è pronunciata per la costituzionalità dell’imposta, sull’assunto che lo Stato può nei suoi poteri illimitati imporre tributi alla collettività purchè ragionevoli. E l’Irap, secondo questi Signori sarebbe appunto ragionevole. Invece vi è la prova che l’Irap è assolutamente irrazionale. Io lo definisco un balzello frutto di odio sociale. E mi spiego. Il magistrato della Corte Costituzionale, difensore dell’imposta, quelli della corte d’appello o di cassazione, quelli del consiglio di stato, i dirigenti che prosperano al quirinale, quelli di banca ecc… percepiscono stipendi di centinaia di euro annui e non pagano l’Irap, perchè, si dice, non hanno una organizzazione, pur avendo la macchina di stato, l’autista o gli autisti di stato, il portaborse, il computer, il telefono, ecc. Un disraziato di professionista che magari esercita la sua attività nella casa di abitazione, magari in cucina mentre la moglie fa il battuto e taglia la cipolla deve pagare l’Irap. Si dirà: ma questi casi sono al limite; ma non così rari. Verificare sul campo per credere.

  19. giuseppe pazzaglia

    Per continuare a parlare di paradossi, secondo questi maestri del diritto il piccolo professionista che racimola 30.000 o 40.000 euro in un anno deve pagare l’Irap perchè avrebbe maggiore capacità contributiva di un consigliere di cassazione o di un consigliere di stato o del segretario del quirinale. Sorge allora spontanea la domanda. Ma che significa capacità contributiva? E che sigifica che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva? Mistero: chi ha un reddito di 30.000 euro paga l’IRAP che ha un reddito di 3.000.000 di euro non la paga. La ragione? Ce la possono dire i consiglieri della Corte costituzionale zenza sollevarci il dubbio della loro terzietà? Io credo fermamente di no.

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