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QUELLE POLITICHE CHE NON AIUTANO LA LOTTA ALLA MAFIA

Se sul Sud e sulla sua economia grava il peso della criminalità organizzata, il governo risponde con politiche per la giustizia efficaci nella lotta contro la mafia? Non sembra. Per esempio, le norme relative alla prescrizione breve avrebbero effetti devastanti nella moltiplicazione di modelli finalizzati a catturare erogazioni indebite dei fondi pubblici. E la pervasività della presenza mafiosa dovrebbe far riconsiderare il sistema di incentivazione e di spesa pubblica per l’economia del Mezzogiorno.

Nella relazione introduttiva al recente convegno della Banca d’Italia sul Mezzogiorno e le politiche regionali, il governatore Mario Draghi ha messo in particolare rilievo quanto gravi su ampie parti del Sud il peso della criminalità organizzata. “Essa – sostiene Draghi a pagina 5 – infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia tra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile”.

LA PIRAMIDE MAFIOSA

Il richiamo del governatore si inserisce in un filone di denunzia alimentato da relazioni istituzionali, ricerche, inchieste. Dalle quali emerge, e si consolida, una sorta di piramide mafiosa che inquina l’economia. Alla base, gli “artigiani della mafia”, gli estortori. Al secondo gradino della gerarchia, piccole e medie imprese (la cosiddetta mafia imprenditrice) che operano nell’edilizia e nei comparti collegati (movimento terra, inerti, calcestruzzo). Al terzo, grandi imprese – talune a partecipazione mafiosa, altre semplicemente in rapporti d’affari con la mafia – sempre più attive anche nei settori di alta tecnologia, come ad esempio la strumentazione sanitaria, lo smaltimento dei rifiuti, l’energia verde. Oppure, nei settori della grande distribuzione (catene di ipermercati, forniture, filiere agro-alimentari). Con una significativa novità ancora poco esplorata dalla letteratura: la formazione di “sistemi criminali”, una versione più evoluta dei vecchi “tavolini” e “comitati d’affari”. Organismi, per intenderci, in cui confluiscono i rappresentanti di mondi professionali non stabilmente, almeno all’apparenza, collegati tra loro. Amministratori, politici, imprenditori, liberi professionisti che intrattengono semplicemente, senza necessaria continuità nel tempo, rapporti economici illegali. Non esistono, perché non più necessarie, affiliazioni o vincoli indissolubili. I “sistemi criminali” intercettano l’allocazione delle risorse pubbliche negando razionalità e ottimizzazione. (1)

DATI SULL’ECONOMIA DEI SISTEMI CRIMINALI

Qualche dato sull’economia dei sistemi criminali. Intanto, le opere pubbliche in Sicilia, secondo una nostra ricerca in corso, vengono realizzate con un ribasso medio dell’8 per cento contro il ribasso medio pari al 15 per cento della Lombardia. Anche se questo confronto potrebbe essere viziato perché basato su prezziari di capitolato differenti (ma perché, viene da chiedersi, sono differenti?).
Secondo un “report” del Censis del 2009 dedicato all’analisi del condizionamento delle mafie sull’economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno, il 77,2 per cento del totale dei residenti in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, 17 milioni di persone all’incirca, vive in comuni in cui si registra almeno un indicatore della presenza di organizzazioni mafiose: corrisponde a un italiano su quattro. Gli indicatori in questione sono costituiti della presenza di sodalizi criminali ovvero dallo scioglimento del consiglio comunale, negli ultimi tre anni, per infiltrazione mafiosa, o dell’avvenuta confisca di beni localizzati nel territorio del comune stesso.
Secondo un Rapporto sugli abusi nei finanziamenti pubblici redatto dalla Guardia di finanza e relativo al periodo 2007-2009, si concentra nel Mezzogiorno il 90 per cento di tutte le risorse “catturate” da aziende truffaldine, quasi sempre “partecipate” o collegate con la mafia, pari a 2,2 miliardi di euro.
Più in generale, esiste un impatto-criminalità organizzata sul sistema pubblica amministrazione di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia? La Relazione al parlamento del Servizio anticorruzione e trasparenza (ottobre 2008-ottobre 2009) rileva un “peso” costante negli anni di queste quattro regioni sul totale nazionale dei reati contro la Pa. Ma sostiene che il dato non appare sufficiente a suffragare alcuna ipotesi su un particolare effetto-mafia nel funzionamento della pubblica amministrazione meridionale. Soprattutto per quanto riguarda una ricorrente affermazione circa la gestione da parte della criminalità organizzata anche del “mercato della corruzione”. Verrebbe subito però da osservare che nei “sistemi criminali” dei quali abbiamo parlato diminuisce, per definizione, la necessità di processi di intimidazione a fini di corruzione e concussione.

QUALI AZIONI CONTRO LA MAFIA?

Una più attenta riflessione sul modello di infiltrazione mafiosa sull’economia ci permette di chiarire due punti:
L’attuale attività legislativa del governo sul tema della giustizia (prescrizione breve, vendita all’asta dei beni mafiosi, abolizione del reato di “concorso esterno” ad associazioni criminali così come definito dalla giurisprudenza, scudo fiscale) non sembra favorire un’efficace azione contro la mafia. Giusto per esemplificare: l’introduzione di norme come quelle relative alla “prescrizione breve” avrebbe effetti devastanti nella moltiplicazione di modelli finalizzati a catturare erogazioni indebite dei fondi pubblici perché vi ricadrebbero i reati relativi, come la truffa ai danni dello Stato. Non solo. Una serie di reati compresi nella prescrizione breve, ad esempio la corruzione, si configurano spesso come reati-mezzo per individuare altri reati-scopo, come quelli della mafia che sono invece esclusi dalla prescrizione breve.
La pervasività della presenza mafiosa porta a riconsiderare il sistema di incentivazione e di spesa pubblica per l’economia del Mezzogiorno. Oggi cosa risulterebbe più efficiente nel contrasto alla mafia: la costruzione di un strada, un contributo a fondo perduto, entrambi a rischio mafia, o la corresponsione di salari differenziati a docenti che insegnano a Scampia o allo Zen, sedi disagiate, secondo il termine usato per i magistrati?

(1) G. Sarcina, intervista a Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto coordinatore del Dipartimento “Mafia ed economia” del Tribunale di Palermo,Corriere della Sera, 26 novembre 2007.

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  1. Febo83

    Caro Prof., come sempre i suoi studi contribuiscono a chiarire realtà che tutti crediamo di conoscere ma pochi sanno descrivere ed analizzare. Essendo un suo ex allievo, ricordo che seguivo con interesse le sue lezioni e convegni sulla contraffazione o sulla “tassa occulta” del pizzo che disincentiva qualsiasi volontà di investimento nel meridione. Leggendo l’articolo, mi chiedo se non fosse il caso di: 1- premiare quei Comuni, sopratutto piccoli, che di fronte al bollettino nero delle statistiche non sono mai state coinvolte in situazioni legate allo scioglimento, commissariamento o reati di natura economica/amministrativa mafiosa rimodulando finanziamenti pubblici annuali sulla base di azioni che premino i virtuosi e penalizzino i “collusi”. 2- Auspicare un ruolo più attivo e presente (garantendo ovviamente più risorse) delle Procure in aree maggiormente a rischio con un’ attenzione particolare ai bandi per appalti pubblici. (Provengo dal territorio nebroideo e tutti conoscono il potere di alcune famiglie operanti nel settore edilizio nel barcellonese e nell’entroterra tortoriciano). Un saluto a tutto lo staff de LaVoce che col suo impegno mi fornisce un prezioso aiuto!

    • La redazione

      Sono pienamente d’accordo con le sue proposte. Grazie per il bel ricordo.

  2. maria di falco

    Gentile Autore, molto spesso dalle indagini giudiziarie condotte dalla magistratura in Calabria e in Sicilia ed anche in Campania si sente parlare di “spezzoni di massoneria” o addirittura di “massoneria deviata”. Della massoneria deviata si sente parlare dagli anni ’80, quando si scoprì l’esistenza della loggia P2 ! Sono passati quasi vent’anni ed ancora parliamo di massoneria deviata. Allora, se esiste una massoneria non deviata, cioè ufficiale si può sapere cosa pensa di questi “spezzoni deviati”? Perchè la cosiddetta massoneria ufficiale, ammesso che esista, non agisce e soprattutto non prende posizione contro gli “spezzoni deviati”? Se non lo fa, allora, si potrebbe sospettare una certa complicità, se non del tutto materiale, perlomeno a livello di consenso morale ed etico. Secondo, ma la massoneria ufficiale, ammesso che esista, cosa fa ? qual’è il suo programma ? Chi sono i suoi iscritti ? perchè non dice pubblicamente tramite congressi o convegni cosa vuole? Infine, ma le associazioni segrete, come sembra atteggiarsi la massoneria, anche quella ufficiale, non sono vietate dalla Costituzione?

    • La redazione

      Sono pienamente d’accordo che la Massoneria ufficiale dovrebbe contribuire, attraverso politiche di trasparenza, ad individuare la Massoneria deviata. E’ un tema deciso per la legalità ma non è inserito nell’agenda politica nè oggetto delle pur dovute riflessioni.

  3. franco SICILIA

    Da 200 anni a questa parte molti destinatari di benefici pubblici (al meridione) sentono la necessità di dare soluzioni a problemi secolari con tesi di corto respiro così tutto rimane immobile per altri secoli.

  4. Federico Leidi

    Gentile professore, per vendere all’asta i beni mafiosi, prima bisogna sequestrarglieli. E a quel che mi risulta, questo governo è più bravo degli altri al riguardo. La proposta di una corresponsione di salari differenziati a docenti che insegnano a Scampia o allo Zen è una provocazione? E’ una battuta satirica? Per quanto riguarda L’attuale attività legislativa del governo sul tema della giustizia, sarebbe stato interessante ricevere da Lei delle proposte al riguardo. Gliene dico due io. A gratis.Iniziative legislative per combattere la criminalità organizzata. 1) legalizzazione della prostituzione 2) legalizzazione differenziata delle droghe Cordialmente, Federico

  5. Condello Giuseppe

    Riconoscere senza mezzi termini la lotta alla criminalità organizzata è importante e significativo e si pensava che dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio fosse ormai patrimonio acquisito, ma le misure che si vogliono prendere dimostrano la fragilità politica e la mancanza di autorevolezza dello Stato. I dati sono allarmanti, ma processo breve, vendita all’asta dei beni confiscati alla mafia, intento di abolire il reato di associazione esterna di stampo mafioso ed altro ancora, dimostrano la problematica della coerenza e dell’efficacia delle politiche rispetto alla gravità del problema criminale. Non ci vuole la retorica delle parate e degli annunci e la superficialità dei mezzi di informazione, ma un piano serio, organico e di impronta decisiva nella lotta alla criminalità organizzata. Si pensi alla diversa incentivazione delle attività educative quale effetto positivo avrebbe e con misure adeguate per la lotta istituzionale alle mafie. Ma purtroppo in Italia si decide in modo contrario rispetto alla natura e alla gravità dei problemi.

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