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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Innanzitutto grazie a tutti per i commenti e le osservazioni inviate. Vorrei cercare di riprendere brevemente alcune delle questioni sollevate.

 E CHI LA FAMIGLIA NON LA HA?

Giustamente molti hanno sottolineato uno dei maggiori limiti dell’approccio familistico: il modello non è adeguato a proteggere chi non ha una famiglia (intesa qui come unità composta da più generazioni), o chi vive lontano dalla propria famiglia. È fuori di dubbio che, nel medio-lungo termine, processi quali l’aumento della mobilità geografica delle famiglie, la crescita del numero di separazioni e divorzi (con il relativo indebolimento delle solidarietà intergenerazionali), o l’aumento della quota di coppie senza figli, rendono di difficile attuazione un modello di solidarietà quale quello ipotizzato nel documento “Italia 2020”. Di fronte a questo sarebbe preferibile sviluppare un modello che non parta dall’assunto che tutte le persone anziane avranno una famiglia vicina e disponibile a prendersi cura di loro. Personalmente mi ritrovo con chi dice di avere una preferenza per modelli di tipo scandinavo: fortemente centrati sull’offerta pubblica (non privata) di servizi (non trasferimenti). Ma credo che occorra anche essere realisti e democratici: al momento una tale soluzione sembra non godere dell’appoggio della maggioranza dei cittadini italiani, né dell’appoggio di alcun schieramento politico. Preso atto di questo, una soluzione intermedia potrebbe essere quella offerta dal modello tedesco dove gli utenti possono liberamente optare per i trasferimenti (poi gestiti dalla famiglia per acquistare cure sul mercato) o per i servizi offerti da enti pubblici o in convenzione.

FAMILISMO ESPLICITO E PARTECIPAZIONE DELLE DONNE AL MERCATO DEL LAVORO

Come fa notare il lettore Luca Neri gli effetti del familismo esplicito sull’occupazione femminile non sono affatto scontati. Ad esempio aumentando i trasferimenti alle famiglie potremmo ottenere un forte effetto di disincentivazione delle donne alla partecipazione al mercato del lavoro. Le donne con contratti scarsamente protetti, o con salari bassi, sarebbero ancora più incentivate ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei propri anziani tenendo per sé i trasferimenti pubblici. Anche in questo caso, a mio avviso, la soluzione migliore sarebbe quella di un sistema pubblico di servizi. Tuttavia è assolutamente legittima anche la posizione di chi preferisce lasciare libere le famiglie di decidere se prendersi cura direttamente dei propri cari, ricevendo aiuti dallo stato, piuttosto che demandarne la cura ad altri. Di nuovo una soluzione intermedia potrebbe essere quella di chiedere che, come avviene ad esempio in Francia, vi sia un controllo formale da parte delle istituzioni pubbliche sul come vengono spesi i soldi dei trasferimenti. Quanto meno, in questo modo, i servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato regolare e si eviterebbe l’ipocrisia di incentivare da un lato l’occupazione irregolare di migliaia di badanti e, dall’altro, di fare la faccia cattiva contro l’immigrazione irregolare. 

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E CHI PAGA?

In realtà credo che tutti, persino i nostri parlamentari, sarebbero d’accordo sull’aumentare i servizi e gli aiuti per le famiglie che si occupano dei propri anziani. Ma il punto è: dove prendere i soldi per finanziare tale sistema? La maggioranza dei paesi dell’Europa continentale ha messo in campo, negli anni Novanta, schemi di tipo assicurativo. Seguire questa strada, però, ha alcune possibili conseguenze negative, mi preme sottolinearne due: (i) aumenterebbe il costo del lavoro, con possibili ripercussioni sui livelli occupazionali nei settori esposti alla concorrenza internazionale; (ii) il sistema di welfare Italiano, già fortemente sbilanciato a favore della generazione attualmente anziana o  in procinto di pensione, diventerebbe ancor più generoso verso questa coorte di età a spese delle generazioni più giovani.
Il “nodo” del finanziamento, quindi, sembrerebbe essere il primo da sciogliere. Non esiste una soluzione facile o univocamente migliore, tuttavia non fare nulla è probabilmente la peggiore delle soluzioni.

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QUANTO COSTA NON RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

  1. Michele Citarella

    E’ diventata la piaga sociale le separazioni coniugali, anno dopo anno, sale numero delle separazioni di coppia, con gravi conseguenze verso i minori. La coppia scoppia e sembra che nessunno ci faccia caso. Lo Stato non previene questo fenomeno, ma lo analizza senza azioni propositive. Una separazione è come una calamità che arriva portando via con sè l’ultima speranza, speriamo che passerà. Quando arriva, è devastante, un vero uragano per coloro che subiscono una separazione di coppia, ma per certi versi può essere positiva solo per un numero esiguo di persone di coloro che si separano. La stragande maggioranza delle coppie con figli subiscono un serio danno psicofisico e materiale che colpisce il nucleo monogenitoriale ed i suoi figli, la carenza di alimenti, e la precarietà del monogenitore che deve. la calamità, non trova un idoneo riscontro da parte delle istituzioni per i sogetti colpiti. Secondo me, penso che le famiglie monogenitoriali che versano in condizioni precarie, devono avere titolo di chiedere alle istituzioni lo stato di calamità, così, come avviene per l’imprenditoria, in quanto. La Famiglia è una azienda unica, che produce ricambio generazionale per il Paese!

  2. Giudrago

    Qual è la situazione famigliare oggi da quando è stato istituito nel ’70 il diritto di famiglia. Peggio di prima, perché vediamo gli effetti delle denunzie crescere quasi in maniera esponenziale e, a torto o a ragione, quella parte chiamata dalla legge coniuge debole, punta caso è sempre la donna. Sarebbe stato meglio dire moglie e marito perché di quello è di cui si tratta. Se vediamo i risultati, molti padri sono ridotti in mezzo a una strada e non così è con altrettante madri. Certamente sono fiducioso che una giusta legge potrebbe essere messa in atto, ma chi la fa e chi la vota dovrebbe essere imparziale. C’è anche un’altra cosa da dire, che questa generazione è corrotta, i nostri animi sono egoisti e ognuno si sente giudice di se stesso. Ma perché? L’uomo vede tanta ingiustizia e le istituzioni sono lontane dai problemi della famiglia, non c’è nessuna organizzazione efficiente che possa prevenire la lite o mediare in loro aiuto. Quando succede il peggio è già troppo tardi. Con progettazioni complesse e studi psicologici non si fa altro che inasprire i rapporti e si apre la via a nuove pretese, e non si finisce mai. Invece, i punti cardini dovrebbero essere pochi e semplici.

  3. Giuseppe Drago

    Come garantire i figli a entrambi i genitori: condizioni semplificative: togliere la dicitura nella legge che parla del coniuge più debole, che debole non è, e incominciare a chiamare marito e moglie e padre e madre, perché il giudice spesso nasconde il favor rei nell’anonimato del coniuge più debole. Fattore patrimoniale: anche se vi è una sola casa, essa si deve vendere. Tutto a 50% , o tutti dentro o tutti fuori. Questo fa riflettere se proseguire con un divorzio oppure accettare la condizione di vita matrimoniale, perché spesso il favor legis spinge a distruggere un matrimonio. Spese per i figli: tutto al 50%, dalla retta della scuola, vestiti, mantenimento, asilo ecc. fino alla matura età. Dopo il figlio maturo decide con chi andare, allora il genitore se ne prende cura totale. Diritto di visita: i due genitori si devono adeguare ad ospitare i propri figli ogni volta che i figli decidono con chi stare. Il periodo fino alla matura età, un mese per ciascuno. Tempo necessario di amalgamare i caratteri tra figli e genitori. Procedura giudiziale gratis per tutti Compenso avvocati lo stipendio di un mese di un genitore.

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