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ANCORA RITARDI PER IL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE

Tra i pochi interventi varati negli ultimi anni a sostegno delle famiglie che lavorano e hanno figli piccoli, figura la legge 53/2000. Prevede contributi a fondo perduto alle imprese che presentano progetti per facilitare la conciliazione lavoro-famiglia dei dipendenti. A pochi anni dalla sua entrata in vigore però si è già arenata tra ritardi e sospensioni. Si preclude così l’opportunità di costruire una convergenza di interessi tra le aziende e i lavoratori, tra interessi sociali ed economici. Adattare la misura alle piccole e medie imprese.

Tra i pochi interventi varati negli ultimi anni a sostegno delle famiglie che lavorano e hanno figli piccoli, figura la legge 53/2000, che ha rappresentato un importante passo avanti. (1) Purtroppo, però, a pochi anni dalla sua entrata in vigore si è già arenata tra ritardi e sospensioni.
 
I CONTRIBUTI DELL’ARTICOLO 9
 

L’articolo 9 della legge 53 del 2000 (modificata dalla Legge finanziaria per il 2007 e dalla legge 69/2009) prevede contributi a fondo perduto per imprese che, per facilitare la conciliazione lavoro-famiglia dei dipendenti con carichi familiari, presentino progetti per l’introduzione di forme di flessibilità della prestazione lavorativa, come telelavoro, lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile, orario concentrato, flessibilità dei turni, piani formativi e infine servizi salva-tempo o di supporto alla conciliazione quali voucher baby sitter o convenzioni con strutture di accudimento per figli minori o anziani non autosufficienti.
Nel periodo 2003-2008 sono state attivate sperimentazioni locali. È in questa fase che diverse amministrazioni pubbliche hanno investito risorse per diffondere le opportunità offerte dall’articolo 9 presso le imprese. Nello stesso periodo sono anche stati realizzati numerosi progetti a valere sui fondi europei che hanno consentito la diffusione dello strumento. Dal 2000 in avanti i finanziamenti erogati hanno subito un incremento costante (vedi tabella). Anche il numero di progetti approvati è costantemente aumentato, così come il tasso di successo, che ha registrato un significativo miglioramento grazie al rafforzamento delle attività di supporto alla progettazione fornite dalla struttura di assistenza tecnica presso il dipartimento Politiche per la famiglia.

Annualità Totale progetti
presentati
Totale progetti
approvati
% successo progetti Finanziamento
concesso
2001 34 13 38,24% € 432.613,80
2002 86 39 45,35% € 4.360.627,23
2003 94 47 50,00% € 3.216.700,21
2004 128 67 52,34% € 2.272.724,57
2005 157 52 33,12% € 3.962.459,41
2006 205 99 48,29% € 6.288.549,44
2007 232 142 61,21% € 8.702.702,27
2008 287 224 78,39% € 13.617.839,79
Totale 1223 683 50,80% € 42.854.216,72

Nonostante l’aumento costante, uno studio condotto dall’Isfol mostra come il numero totale dei progetti finanziati sia ancora piuttosto esiguo: meno di 700 in otto anni, inclusi i progetti con finalità di formazione e facilitazione al rientro post-maternità, anche perché le somme stanziate sono limitate e i tempi che intercorrono tra presentazione del progetto e approvazione sono piuttosto lunghi (si è arrivati a un anno di attesa). (2)
Non solo, un’analisi della distribuzione regionale mostra come Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto e Toscana abbiano assorbito la quasi totalità dei progetti, con un exploit della provincia di Mantova che su un territorio con soli 400mila abitanti ha saputo proporre quasi una trentina di progetti in poco più di due anni portando alle aziende mantovane circa 2 milioni di euro.

LA REVISIONE CHEBLOCCA I BANDI

Come spesso accade per le policy messe in atto nel nostro paese, non disponiamo di adeguati indicatori di efficacia e risultato che ne rendano visibili e misurabili gli effetti, nonostante l’esperienza particolare di alcuni territori ne restituisca un quadro confortante dal punto di vista qualitativo

Eppure nel febbraio 2009 i bandi sono stati sospesi, in attesa dell’approvazione della riformulazione dell’articolo 9. A tutt’oggi i nuovi bandi non sono stati ripubblicati: è terminato infatti l’iter di approvazione del nuovo articolo 9, ma i documenti applicativi non sono ancora stati licenziati dalla conferenza Stato-Regioni. Si preclude così l’opportunità di costruire una convergenza di interessi tra le aziende e i lavoratori, tra interessi sociali ed economici e quindi, ove ben applicato, di alimentare una sorta di economia del work-family o “sistema di convenienze” la cui importanza viene sottolineata dallo stesso piano Italia 2020. (3)
L’articolo 9, nel suo impianto essenziale, costituisce uno strumento di incentivo e sostegno al cambiamento e alla diffusione di una economia sostenibile e responsabile all’interno delle aziende. Così come sono stati stanziati fondi per la riduzione dell’impatto ambientale o per il sostegno alla ricerca industriale, allo stesso modo l’articolo 9 deve essere concepito come un fondo incentivante per le aziende che investono nel capitale umano e in particolare nella innovazione organizzativa in favore della conciliazione famiglia-lavoro. È quindi necessario stanziare risorse per le aziende italiane che promuovono progetti sperimentali, ma anche per l’unità di assistenza tecnica che dovrebbe occuparsi della promozione dello strumento, della individuazione dei criteri applicativi, della definizione delle linee guida per la realizzazione e rendicontazione, del monitoraggio e valutazione dei progetti. Alcuni premono affinché l’articolo 9 venga declinato su base regionale così come già accade per le politiche dei tempi della città, e perché siano quindi le Regioni a gestirlo direttamente, a valutare i progetti, a stanziarne le risorse in aggiunta a quelle messe a disposizione dal governo. La decentralizzazione a livello regionale ne renderebbe forse più efficace l’applicazione e più diretto il contatto con le aziende e gli enti locali, ma sta di fatto che una correzione e revisione dello strumento non dovrebbe inibirne l’utilizzo, come accade da un anno a questa parte.
Se è vero che l’economia del nostro paese si regge su piccole e medie imprese spesso a gestione famigliare che hanno difficoltà di accesso alle soluzioni migliori, a realizzare economie di scala, a costruire reti e filiere, a conoscere norme, leggi e burocrazie, allora dobbiamo rendere lo strumento efficace e adeguato a questa tipologia di utente e utilizzatore tipico. Dobbiamo rendere la norma semplice e farla conoscere. Ma soprattutto non possiamo permetterci quei continui ritardi e inefficienze che disilludono gli operatori economici e che alla fine si ripercuotono sui lavoratori e lavoratrici e sulle loro aspettative e speranze. Alcune leggi a sostegno della conciliazione famiglia-lavoro ci sono. Dobbiamo farle funzionare.

(1) D. Del Boca e A. Rosina “Famiglie sole” il Mulino 2009.
(2) D. Gobbi (2009), Conciliare famiglia e lavoro: un aiuto dai fondi Articolo 9 della Legge 53/2000, Focus ISFOL Tema Coesione Sociale, n. 2009/2 dicembre.
(3) Italia 2020 ministero Pari opportunità.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Claudio Lando Paoletti

    Da decenni, da parte dei nostri "politici" si odono solo promesse. Di tanto in tanto, taluno dei politici, per ergersi a paladino della Famiglia, cita questa istituzione basilare della nostra società e promette attenzioni e cure. Dal punto di vista fiscale, la famiglia, è la meno "individuata". Mi correggo: fiscalmente è tartassata, ignorata, penalizzata. Se osiamo fare un raffronto, ad esempio, con i nostri "cugini" d’Oltralpe, impallidiamo! E non solo: siamo all’ultimo posto della classifica delle "agevolazioni" per quanto riguarda i principali partner storici dell’Unione Europea. Che dire: meno male che siamo stati sempre governati da partiti che si richiamano al sociale, ai valori cristiani della famiglia. Forse sarebbe stato meglio il contrario.

  2. Claudia Villante

    Per due anni (2005-2007) ho fatto parte della Task force del Ministero del Lavoro per l’attuazione dell’art.9 ed effettivamente la presenza di un supporto competente per promuovere, accompagnare, monitorare e valutare le azioni finanziate ha accresciuto l’interesse verso questo dispositivo (si veda in A.Signorelli, Lavoro e politiche di genere, Franco Angeli, 2008). Alla buona volontà del datore di lavoro nel promuovere azioni a favore della conciliazione si oppone la complessità della procedura di presentazione delle domande (tarata per le aziende medio grandi). In questo modo proprio le imprese piccole e micro, dove il bisogno rimane tuttora scoperto, rinunciano (per mancanza di tempo e di competenza in materia). Non è mai troppo tardi per intervenire, magari capitalizzando l’esperienza. Una proposta: differenziare il fondo (la cui spesa è ben al di sotto delle potenzialità) per premiare le aziende "virtuose" (con un sistema di rimborso), accompagnando le "sensibilizzate" (con una azione di assistenza tecnica) e spronando le "pigre" (coinvolgendo i territori e gli enti locali). In ultimo investire in una massiccia opera di divulgazione sugli effetti benefici della conciliazione.

  3. Mimmo Borriello

    Senz’altro concreto l’intervento previsto dall’art.9/L.53. Tuttavia, reputo che le iniziative non più rinviabili per assicurare la pace sociale e la convergenza interessi aziende-lavoratori siano: redistribuzione del reddito e creazione/salvaguardia posti di lavoro. E’ necessario limitare il processo di accumulazione tuttora dominante a favore dei salari e delle pensioni, affinchè il rilancio dei consumi possa generare un circolo economico virtuoso.

  4. mario carboni

    Sono un pensionato con 1.200 euro al mese. Col mio lavoro e tanti sacrifici, ho acquistato un piccolo appartamento, aderendo a una cooperativa edilizia operaia formata da oltre 200 soci. Appena sono riuscito a liberarmi del mutuo, è stata introtta l’ICI che, nella mia città, Genova (di centrosinistra) ha un tasso più alto di quello per le villette in Riviera! Ho pagato sempre questa odiosa tassa fino a che Berlusconi, che non ho mai votato, non me l’ha tolta. E oggi mi tocca sentire che è stata tolta "ai ricchi". Ma quanti sono i ricchi che ne hanno beneficiato? Forse una piccola parte che, sicuramente, pagheranno per le altre che posseggono. Numerosissimi sono invece quelli che, come me, ricchi non sono. Dunque finiamola con questa polemica demagogica che, finora, ha dato scarsi risultati politici a quei partiti che avevano introdotta la tassa e che ora contestano chi l’ha tolta del tutto.. Quei partiti rissosi che, allo stato delle cose, hanno più volte fallito nel loro scopo di cacciare Berlusconi.

  5. Paola Artioli

    Come imprenditrice e avendo incarichi in ambito confindustriale mi sono occupata a fondo e da vicino della riforma dell’art. 9 della legge 53, portando le proposte delle imprese. Mi trovo molto d’accordo con Claudia nella sua analisi. Noi registriamo un senso di frustrazione di tante piccole e medie imprese che non possono (e per me non potranno neanche nella nuova formulazione della norma) accedere ai (pochi) benefici che vengono stanziati. Viene abolita la quota riservata alle PMI e le semplificazioni introdotte non saranno sufficienti per renderla ampiamente applicabile. In ogni caso questa norma non è assolutamente sufficiente a creare le condizioni per una vera spinta verso i parametri europei dell’occupazione femminile. Mi chiedo se dopo tanti convegni e dopo che questo tema è diventato assai di moda, come sottolinea Anna Zavaritt oggi nel suo blog, non sia venuta l’ora di mettersi in rete e sottoscrivere insieme una petizione al governo e agli amministratori locali perché le promesse e le parole si trasformino in azioni. Penso che basterebbe una pagina con 8-10 punti e provvedimenti chiave per dare una svolta. Perché voi de l voce.info non ve ne fate promotori?

  6. MAGGIORI WALTER

    Dov’è finito il "quoziente familiare" tanto sbandierato in campagna elettorale dalla destra? Il discorso è che quando c’è una misura a favore dei lavoratori dipendenti o pensionati la scusa che si accampa è che costa troppo, non ci sono i fondi, ecc.. Chissà perchè i soldi dei rimborsi elettorali li trovano come pure quelli per il ponte di Messina (inutile) e anche l’aumento dei lauti stipendi dei parlamentari. Ma non hanno vergogna a percepire un importo mensile pari a quello di un operaio di tutto un anno di lavoro, ripeto LAVORO. Perchè non provano anche loro a "lavorare" quaranta ore la settimana per 12 mesi all’anno e per 40 anni in fonderia o a fare il muratore. Di sicuro non proporrebbero più l’allungamento della vita lavorativa. E magari fossero presenti in parlamento sempre, poi dopo 3 anni prendono la pensione di parlamentare. Laidi ed infami personaggi. Svegliamoci italiani.

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