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GIOCOLIERI CON LE CIFRE

In tempo di crisi, capita spesso che i numeri sull’andamento dell’economia non piacciano ai governi. In Italia si cerca di oscurare i dati più importanti con una marea di indicatori parziali, non poche volte irrilevanti o costruiti in modo tale da essere del tutto fuorvianti. E si rifiuta il sistema con cui l’Istat mette insieme tutte le informazioni in indicatori aggregati. Noi continuiamo a difendere le fonti statistiche ufficiali e a pensare che i dati sui redditi medi offrano un’idea più precisa del benessere degli italiani di quelli sulle esportazioni.

Al convegno di Confindustria di Parma, il nostro presidente del Consiglio ha contestato le cifre fornite nella relazione introduttiva di Luca Paolazzi che documentavano, dati Istat alla mano, il declino economico del nostro Paese: un calo del 4,1 per cento del reddito pro-capite degli italiani dal 2000 al 2009.
Silvio Berlusconi ha snocciolato una serie di numeri prodotti dalla Fondazione Edison, che pare abbia deciso di assumere tra le sue funzioni quella di elaborare statistiche da contrapporre ai dati Istat sull’andamento del prodotto interno lordo. I numeri riguardano principalmente le esportazioni manifatturiere dell’Italia nel periodo 2005-8. Si tratta di dati da utilizzare con cautela perchè i) parziali, ii) potenzialmente fuorvianti e iii) poco rilevanti, se non del tutto irrilevanti. Vediamo perché.

SONO DATI PARZIALI

Il presidente del Consiglio ha sottolineato il grande numero di prodotti per i quali le imprese italiane sarebbero “leader” mondiali. In effetti, la Fondazione Edison pubblica quaderni pieni di cifre oltre che colori (vedi n. 47 gennaio 2010) con un indice (il cosiddetto indice Fortis Corradini, che proporremmo di ribattezzare medagliere azzurro) basato sul numero di prodotti in cui l’Italia figura nei primi tre posti al mondo fra i paesi esportatori. Sarà anche vero, e questi prodotti saranno anche tanti, ma quanto pesano? L’Italia è da decenni leader in tante nicchie di mercato. Nicchie, appunto; ma purtroppo una cosa sarebbe essere leader nella produzione di fiammiferi, un’altra è esserlo nella produzione di auto. Se uno conta i prodotti, vede un pareggio (1 a 1); ma il valore di questi settori è ben diverso. Anche per evitare questi problemi, generalmente si guarda a grandezze quali il Pil. Discutibile è anche la scelta di concentrarsi sulle sole industrie manifatturiere quando ormai la parte preponderante dell’economia è costituita dai servizi e il commercio mondiale in questo settore cresce quanto se non di più che nel manifatturiero.

POTENZIALMENTE FUORVIANTI

Oggi pare che ciascuno si senta in diritto di utilizzare dati diversi, ovvero quelli che gli fanno più comodo. Ad esempio, il presidente del Consiglio ha parlato di un primato italiano nella crescita delle nostre esportazioni nel periodo 2005-8 rispetto agli altri paesi dell’area euro e, in particolare, Francia e Germania. La fonte dei dati sulle esportazioni italiane richiamati dal presidente del Consiglio è una pubblicazione Onu-Comtrade (“2008 International Trade Statistics Yearbook”, Tavola I). In questa pubblicazione i dati sono in dollari e, considerando che il 60 per cento delle esportazioni implicate riguardano paesi euro o Unione Europea, la conversione in una valuta che si è deprezzata nel periodo del 18 per cento produce tassi di crescita artificialmente “alti” e può introdurre distorsioni. Perché non considerare dati nella nostra valuta? Inoltre, i numeri sul primato dell’Italia (di fonte Onu, non proprio l’organizzazione maggiormente votata alla produzione di dati economici) non trovano conferma in altri fonti statistiche di utilizzo più comune, quali la banca dati del Wto o i dati degli istituti di statistica nazionali, ma neppure negli stessi dati Comtrade nella versione on-line. La Germania è sempre davanti all’Italia in queste statistiche; è vero che non è un campionato di calcio, ma forte è la sensazione che si vogliano a tutti i costi cercare i dati “migliori” (vedi tabella 1).

SONO DATI POCO RILEVANTI

Infine, ci interessano veramente le esportazioni? Sono importanti, per carità, ma è sbagliato prendere la crescita dell’export come un indicatore di competitività di un Paese, ignorando i dati sulle importazioni. Purtroppo, nello stesso periodo preso come riferimento dal presidente del Consiglio, Istat ci informa che le importazioni sono aumentate più delle esportazioni, peggiorando il saldo commerciale del nostro paese; e le cose vanno ancora peggio guardando al periodo 2000-2009 (vedi tabelle 2 e 3). Il fatto è che il nostro export ha un crescente contenuto di importazioni. Utile semmai guardare al valore aggiunto contenuto nelle nostre esportazioni. Non c’è peraltro nulla di cui gioire da un incremento del nostro commercio col resto del mondo (la somma di esportazioni e importazioni): può, ad esempio, essere dovuto al fatto che le nostre imprese stanno spostando la produzione da qualche altra parte e quindi il commercio aumenta di volume, in uscita come in entrata. È come se un allenatore di calcio cercasse di convincere i tifosi e il presidente della sua squadra circa la bontà dei risultati conseguiti mostrando solo i goal segnati e non quelli subiti.

DAL SILENZIO ALL’INFLAZIONE DI INFORMAZIONI

Un paese che vuole uscire più rapidamente possibile dalla crisi più profonda del Dopoguerra ha bisogno di avere degli indicatori su cui misurare il progresso che compie in questa direzione, darsi dei traguardi, degli obiettivi da raggiungere. Una democrazia ha bisogno che i politici rispondano del loro operato di fronte agli elettori sulla base di metriche condivise. Hanno contribuito ad aumentare la ricchezza nazionale? Hanno migliorato il benessere dei cittadini?
In Italia è in atto da tempo un’operazione ideologica volta a minare alla base questi presupposti. In un primo tempo era basata sulla denigrazione delle statistiche. Oggi è più subdola: si basa sull’inflazione statistica. Si cercano di oscurare i dati più importanti sull’andamento della nostra economia con una marea di indicatori parziali, non poche volte irrilevanti, e non poche volte costruiti in modo tale da essere del tutto fuorvianti. Si rifiuta il modo con cui le statistiche ufficiali, prodotte dall’Istat, mettono insieme tutte queste informazioni in indicatori aggregati. Col risultato che si rende impossibile a un pubblico già di per sé poco avvezzo alle statistiche riuscire a capire il significato dei dati.
È grave che un commentatore quale il direttore del Sole-24Ore salti sul carro di chi afferma che “la matematica è un’opinione”. Se tutti i numeri vanno bene, allora a cosa servono i buoni giornalisti? Capiamo che in un periodo complesso prendere posizione sia delicato. Noi continuiamo a difendere le fonti statistiche ufficiali e a pensare che i dati sui redditi medi offrano un’idea più precisa del benessere degli italiani dei dati sulle esportazioni. Nell’ultimo anno molti governi di paesi che hanno sofferto forti cali del prodotto interno lordo hanno insediato commissioni di studio col compito di definire misure alternative (e possibilmente con andamenti “migliori”) al Pil. Ma in nessuno di questi voli pindarici per nascondere la realtà si era arrivati a proporre le esportazioni come misura del benessere. 

Tabella 1: Variazioni % export totale  in US$, 2005-2008, Diverse fonti

  Germania Francia Italia
ONU – COMTRADE 35 34 44
       
ONU – COMTRADE versione on-line 44 33 41
 WTO on-line 49 25 41
i dati degli istituti di statistica nazionali  47 37 45

 

Tabella 2: Export e import dell’Italia  in Euro, 2005-2008, fonte Istat

  non destagionalizzati destagionalizzati
         
  IMPORT EXPORT IMPORT EXPORT
         
TOTALE 2005 309.292 299.923 311.233 300.938
TOTALE 2008 382.050 369.016 382.308 368.317
         
VARIAZIONE 72.758 69.092 71.076 67.379
VARIAZIONE % 23,52 23,04 22,84 22,39

 

 

Tabella 3: Export e import dell’Italia  in Euro, 2000-2009, fonte Istat

  non destagionalizzati destagionalizzati
         
  IMPORT EXPORT IMPORT EXPORT
         
TOTALE 2000 254.486 256.626 259.885 262.020
TOTALE 2009 294.213 290.113 296.600 290.732
         
VARIAZIONE 39.727 33.486 36.716 28.712
VARIAZIONE% 15,61 13,05 14,13 10,96

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25 commenti

  1. Mattia Guerini

    Sentire che ancora oggi c’è gente convinta che la ricchezza di una nazione sia misurata dal livello delle sue esportazioni ci porta al 18° secolo, più precisamente alla teoria mercantilista di Colbert. Eppure tale idea è stata sfatata nello stesso secolo da Adam Smith ne "La ricchezza delle nazioni" (considerato il più grande libro di economia di tutti i tempi), dove è presente una semplice intuizione del fatto che una nazione non sia ricca per dei buoni valori assoluti poichè ciò che è importante sono i valori relativi (es: non bisogna guardare solo l’export ma è più preciso fare un rapporto con l’import). Sembra propriò che il nostro governo si sia perso qualche secolo di storia economica.

  2. Paolo Bizzarri

    Il rapporto “Geografia del Nuovo Made in Italy” è firmato anche da Ermete Realacci (PD) e vi ha largamente partecipato Symbola, fondazione certamente di ispirazione non governativa. Le posizioni in cui l’Italia mantiene una seconda posizione sono, per ricordarle “Meccanica non elettronica”, “Manufatti di base”, “Meccanica elettronica ed elettrodomestici”, dietro la Germania. Non ho trovato “fiammiferi”, ma probabilmente ho letto il rapporto rapidamente. In compenso c’era questo: ” Il Trade Performance Index (TPI) è un nuovo indicatore elaborato congiuntamente dall’UNCTAD e dal WTO attraverso il loro International Trade.” Suppongo non ne foste informati. Almeno lo spero.

    • La redazione

      Caro lettore,
      grazie del commento. La cosa che non comprendiamo è la rilevanza del tutto. Proviamo a spiegarci (meglio, ri-spiegarci). Il punto non è se questi dati esistano, o se siano corretti. I punti sono due. In primo luogo, quale sia la rilevanza della cosa. I dati su import ed export sono quelli che abbiamo dato. Che rilevanza ha misurare in quanti comparti siamo primi, secondi o ultimi? E neppure ci interessa sapere a chi viene in mente di inventarsi questi indici. Ci piacerebbe ragionare sul loro merito (che, appunto, ci sfugge).
      Il secondo aspetto è come certe cifre (irrilevanti) vengono utilizzate. Ci spaventa un po’ che vengano utilizzate a scopo consolatorio. Se servissero a dire "guardate, la situazione è grave, ma forse c’è qualche spiraglio di luce", si potrebbe accettare. Ma di fronte a una situazione oggettivamente grave, a un paese che perde competitività, reddito e benessere (in qualunque modo lo si voglia misurare) purtroppo l’enfasi su cifre di questo genere viene usata per coprire il problema. E questo è gravissimo. Le statistiche dovrebbero servire a far luce sui fenomeni, non a coprirli di fondo tinta…
      I migliori saluti
      Tito Boeri e Carlo Scarpa

  3. Paolo Gelain

    C’e’ anche una manipolazione in termini di periodo considerato. Ammesso che le esportazioni possano essere un indicatore del benessere (non sono d’accordo, come gli autori), non riportare il dato del 2009 e’ altrettanto fuorviante. Infatti le esportazioni italiane sono diminute parecchio nel corso del 2009. Dunque, secondo la logica del premier nel 2009 c’e’ stato un peggioramento del benessere per i cittadini italiani. Naturalmente si e’ guardato bene dal riportare tali dati, facendo esplicito riferimento solo al periodo 2005-2008.

  4. Franco ECONOMISTA

    La critica degli Autori sulla libera interpretazione governativa dei dati forniti dalle fonti statistiche ufficiali nonchè sull’inflazione informativa, da altri settori di "nicchia", è quanto mai opportuna e va condivisa da chi rende alla scienza economica la sua elementare funzione di comprensione e guida nelle scelte di soddisfazione dei bisogni umani. Purtroppo però è chiaro da tempo che altri sono i fini che il capitalismo persegue Se quei fini sono concentrati, come sono, nel profitto non c’è esortazione nè richiamo che tenga per frenare la proliferazione di teorie e di metodi statistici atti a dissimulare sempre più sofisticatamente il vero interesse. E siccome, purtroppo, non si è ancora riusciti ad elaborare e condividere politicamente un sistema alternativo contrapposto a quello capitalistico, non resta che individuare e praticare altri strumenti di informazione statistica su settori particolari relativi però ai bisogni essenziali e non di "nicchia": In altre parole: una difesa di principio delle fonti ufficiali in un sistema teso a informare solo per avere il voto può aumentare l’afflusso al circo-giocolieri di elettori fuorviati.

  5. rombori

    E’ l’antico gioco delle tre carte. Si nasconde la carta buona per far emergere quella falsa e quindi ingannare i giocatori. Ma la cosa grave è che coloro che dovrebbero essere i garanti del gioco ( la stampa , e la comunicazione in generale ), fanno finta di non accorgersi dell’inganno per non contrariare colui che dirige il gioco, cosa che peraltro gli autori hanno messo ben in evidenza. Ma i partecipanti al Convegno, cioè gli operatori economici e gli economisti, come hanno reagito all’inganno??

  6. Mario Sirca

    Per il condono valutario valeva il totale, per il Pil vale il parziale! Avete una bella pretesa a voler parametri univoci! Meglio aver flessibilità e duttililità anche in campo statistico! ( del resto c’è anche chi pensa che la matematica sia un’opinione! ). Metriche univoche condivise darebbero poco spazio "al virtuale", mentre rischiano di mettere in evidenza "il reale" e ciò potrebbe essere d’intralcio ad una crescita reale del Pil! La domanda interna di beni e servizi potrebbe in futuro anche non avere più un ruolo determinante nella crescita economica! Che ne pensate?

  7. Marcello Battini

    Sottolineo con forza il rilievo espresso contro i giornali, succubi delle parti politiche, qualunque esse siano. Che un giornale economico, poi, metta in ridicolo il valore della matematica e della statistica, fa il paio con l’affermazione del papa che mette insieme maghi, veggenti ed economisti, dimenticandosi, però, dei politici e dei religiosi, esperti in madonne piangenti. Ci manca solo che equipari le lotterie all’assegnazione dei premi Nobel, poi si chiude il cerchio dell’ignoranza mediatica.

  8. luigi zoppoli

    Il Prof. Fortis è sovente invitato alla trasmissione Focus Economia di Radio 24, dove parla sempre e solo di esportazioni. E poi a Barisoni, il conduttore, può raccontare quel che vuole. E’ noto che la Fondazione Edison è vicina a …a chi sappiamo noi.

  9. Alessio

    Complimenti per l’articolo. Non aggiungo altro perchè altrimenti mi segnano il petto con la "C" di comunista, la "T" di terrorista, un’altra "C" per Cassandra e una "Q" di qualunquista.

  10. felice besostri

    Condivido le critiche degli autori alle manipolazioni del nostro presidente. Tuttavia non va disprezzata la ricerca di altri indicatori con cui accompagnare il PIL. Il solo reddito procapite pro capite è importante, ma anche la sua distribuzione tra classi di popolazione, il livello medio di istruzione, le aspettative di vita o il tasso di disoccupazione. Se si verifica una catastrofe in una zona sottosviluppata il PIL risulterà aumentato se le spese di ricostruzione superano la mancata produzione, ma chi è senza casa resta uno sfollato e nulla emerge sulle responsabilità del dissesto idrogeologico. Se si costruisce il Ponte sullo Stretto il PIL aumenta, ma anche se le stesse somme le investiamo per la messa in sicurezza degli edifici pubblici o l’eliminazione delle barriere architettoniche o stabilizzare i pendii a rischio di frane.

  11. Roberto Tamburello

    "Sua bassezza", sostenuto da tutta la sua corte (per convenienza o per entusiastica volontà di servilismo), non fa altro che spiegare al popolo che, se uno mangia un pollo al giorno ed un altro niente, ognuno mangia mezzo pollo a testa. La cosa che mi fa più rabbia e che il popolo vuole crederci costi quel che costi; insomma è un popolo da "panem et circenses".

  12. luciano fedi

    Sono pienamente d’accordo con quanto avete scritto;noto purtroppo che una buona parte di addetti all’informazione in particolare quella TV dà l’impressione di non sapere cosa sta leggendo quando cita tali cifre. Ritengo poi che una sorta di programmi che illustrassero i concetti di parole come PIL, debito pubblico, disavanzo primario e così via dovrebbero essere introdotti nei programmi delle scuole superiori (almeno). grazie e cordiali saluti.

  13. BOLLI PASQUALE

    Quelli che ci dovrebbero governare, ma non lo fanno, ci impongono di scambiare le lucciole per lanterne. Che altro potrebbero fare? Il nostro Paese è in una condizione di immobilismo spaventoso: non c’è nè il concetto della politica, nè il concetto dell’economia al servizio della comunità nazionale. I sistemi che dovrebbero regolare la nostra società sono inadeguati o modificati per scopi diversi dal bene comune. Il sistema finanziario è al collasso, il sistema tributario è un colabrodo, la giustizia è concepita più per gli altri che per tutti, la pubblica istruzione cambia secondo il vento e la ricerca non ci riguarda perchè è roba di pochi. Dove pensiamo di andare? Che possiamo fare se nelle nostre casse non ci sono risorse? Che altro possiamo fare se con il nostro ottimismo non scambiamo le lucciole per lanterne? Questi sono i guasti che dobbiamo soffrire per avere nominati uomini senza il concetto della collettività. In compenso ci illudiamo di essere il popolo del fare, della concretezza, del ponte di Messina,delle grandi opere e per dirlo con il Premier, dei grandi, grandi, grandi eventi. E’ meglio vivere di illusioni o di realtà? Meglio illudersi perchè le lucciole sono scomparse!

  14. Basile antonio nicola

    Oramai non ha senso commentare quello che dice il Premier,quello è capace di corrompere anche i numeri. Noto che la stragrande maggioranza degli Italiani si sono comformati alle lusinghe che ogni giorno vengono loro raccontate da questo "piazzizta" di mercato.

  15. Basile antonio nicola

    La matematica non è un opinione, purtroppo molti sono saliti sul carro del conformismo governativo.

  16. umberto carneglia

    Esiste una forte correlazione fra il livello dei salari e stipendi di un Paese il il livello del suo reddito pro-capite. La cosa è facilmente verificabile statisticamente e si spiega anche in sede teorica. I salari e stipendi italiani sono fra i più bassi dei Paesi avanzati, il che fornisce un’ulteriore contrprova del degrado del nostro Pese dell’attitudine a manipolare le informazioni in modo plateale dei nostri politici. Del resto cosa ci si può aspettare da chi dice che Saviano danneggia l’immgine del nostro Paese e non chi cerca di farlo tacere? Il nostro Paese gode di cattiva fama all’estero soprattutto a causa dei nostri governanti.

  17. giorgio tassinari

    Concordo in toto con l’articolo di Boeri e Scarpa. Riallacciandomi al commento di Matteo Guerrini, mi pare che il governo Berlusconi stia cercando di tornare all’ancien regime (patrimonialismo, anti-illuminismo, comunitarismo pseudo anti-capiatlistico) anche in politica.

  18. Aldo Fochi

    Condivido pienamente il punto di vista degli autori. Io sono lettore dell’Economist e di questa rivista apprezzo soprattutto le ultime due pagine dove vengono presentati i dati macroeconomici dei paesi e dei mercati, e ovviamente sono tratti da fonti ufficiali (dove non è così è segnalato). La mia opinione è che se facciamo i "conti della serva" alla fine le esportazioni servono per pagare le importazioni e quindi quello delle esportazioni è un dato poco significativo sul benessere del paese, se non viene confrontato con altri dati. Infatti la Cina, che è il più grande esportatore, non può certo essere presa a riferimento per il benessere… Più significativo è sicuramente il dato sulla bilancia commerciale, ma ovviamente i dati principali per la misura del benessere sono il PIL e il reddito procapite. Purtroppo l’Italia è un paese dove, a mio parere, la cultura economica è bassa, e questo governo non è certo quello su cui si può contare per migliorarla. Stesso discorso per l’informazione televisiva che è legata al governo. Da questo punto di vista c’è forse anche di peggio (vedi il precedente governo greco). In questo senso l’azione del vostro sito è encomiabile! Grazie!

  19. Mirko Tavosanis

    Ho visto che oggi Marco Fortis ha pubblicato sul Sole-24 ore una risposta a questo intervento. La risposta, però, sbaglia clamorosamente il riassunto delle opinioni di Boeri e Scarpa. Non mi azzardo a entrare troppo nel merito delle osservazioni, ma sull’aspetto “formale” della sintesi (che mi interessa dal punto di vista professionale) ho provato a fare un confronto sistematico sul mio blog. A presto, e buon lavoro!

  20. Marco Parigi

    La questione è interessante. Credo sia facilmente verificabile quanto l’import di energia pesi sulla bilancia commerciale italiana: si potrebbe argomentare che quell’export sia, in misura non piccola, il tesoretto che mantiene il deficit commerciale entro limiti ragionevoli e che, quindi, sarebbe saggio indirizzare attenzione e risorse sulla strada di una maggior indipendenza energetica. Allo stesso tempo, è necessario ricordare che tanta parte del dibattito "sul declino", molto in voga qualche anno fa, ruotava, essenzialmente, intorno alla risposta da dare a questa domanda: la specializzazione produttiva dell’Italia è sbagliata? Molti ne erano/sono convinti (ricordo alcuni lavori di Riccardo Faini in merito). E, tuttavia, alcuni dati, quelli citati da Marco Fortis tra essi (ma non solo, ricordo anche un lavoro del 2007 dal titolo Dal macrodeclino alla microcrescita?, nato in ambito Fondazione Rodolfo Debenedetti, se non mi sbaglio), sembrano smentire/indebolire questa tesi. Si potrebbero fare altre considerazioni ma, intanto, ritengo che questo dovrebbe essere un punto centrale da chiarire, perchè non mi sembra chiaro per niente.

  21. valerio

    Circa un mese fa ho spedito una email al sito della Fondazione Edison, per avere lumi sulla notizia dei primati italiani. Essendo uno studente di economia e dovendo affrontare una ricerca sulle eccellenze italiane, mi sono rivolto a loro per sapere qual era il criterio con cui avevano eseguito la loro documentazione. In precedenza, ero andato sul sito dell’Onu Comtrade e avevo scoperto che i primati italiani non erano piu di 60. La Fondazione Edison mi ha risposto dicendomi che non potevano rivelare il metodo delle loro ricerche (metodo Corradini-Fortis), ora mi chiedo come e possibile che un’economista come Fortis, vicinissimo al governo di centrodestra, possa imbrogliare migliaia di persone, per lo più con la complicità del maggiore quotidiano economico italiano, e insistere imperterrito nelle sue convinzioni anche oggi domenica 25 aprile sempre sul sole 24 ore, affermando che lei, Tito Boeri, dovrebbe avere più rispetto per gli imprenditori e più professionalità. Io penso che avere rispetto di questa classe politica che imprenditoriale (vedesi gli applausi a Parma nei confronti di Berlusconi sulle cose più assurde) sia sbagliato e controproducente. Saluti Valerio

  22. Daniele Moschella

    Le comparazioni internazionali (OECD, 2008) mostrano che l’Italia era ultima in termini di crescita del PIL per ora lavorata nel periodo 1995-2006. L’evidenza sul settore manifatturiero è ancora più drammatica: nel periodo 1995-2005, il tasso di crescita medio del valore aggiunto per occupato è stata addirittura negativa! Solo la Spagna ha registrato un tasso di crescita negativo nello stesso periodo. Sarei curioso di conoscere quale strana teoria economica hanno in mente coloro che al preoccupante significato di queste statistiche oppongono i dati sulle esportazioni italiane.

  23. virginio

    Ho letto ieri l’articolo di Fortis sul Sole e sono tornato a quello di Boeri-Scarpa per un confronto. Quello di Boeri-Scarpa non mi è sembrato così "accademicamente assertivo" ( se anche fosse un pò accademico, suvvia, con tante bocche larghe che straparlano sui giornali e in tivù ..un pò di buona accademia ormai è la benvenuta). Aldilà delle osservazioni allo studio in sè della Fondazione, Boeri e Scarpa criticano l’uso che il Presidente del Consiglio ne ha fatto davanti agli imprenditori anche nell’intento (di Berlusconi) di smentire Paolazzi (uomo Confindustria). Non è bello poi che appena si azzarda una metafora (quella dei fiammiferi) la si butti subito nel mancato rispetto agli industriali. Lo meritano come tutti, il rispetto, anche se quello spellarsi le mani davanti al Capo del Governo, quello sganasciarsi di risa alle Sue battute, quell’alzare il braccio alle Sue domande scolastiche, non li aiuta di certo. Sul progressivo scivolare del Sole a trazione Riotta ad strumento di supporto al Governo e al suo ottimismo di maniera ormai c’è poco da dire, tanto è di per sè evidente. Ma in Italia il quotidiano del "libero mercato" opera purtroppo in condizioni di…monopolio.

  24. Mara Gasbarrone

    Sono d’accordo con voi che i dati sui redditi medi offrano un’idea più precisa del benessere degli italiani dei dati sulle esportazioni, tant’è vero che la nostra domanda interna ha un andamento molto peggiore dell’export. Non sono però d’accordo sul ridurre i tentativi di arrivare ad una misura del benessere a voli pindarici per nascondere la realtà, messi in opera soprattutto da governi che hanno interesse a camuffare le insoddisfacenti performance del loro paese. Nell’archivio de lavoce.info ho cercato traccia non solo della Commissione Stiglitz, ma anche delle altre esperienze internazionali. Ho trovato solo l’articolo di Andrea Garnero del 4 gennaio. D’altra parte l’interesse che avete dimostrato per il libro di Alesina e Ichino su l’Italia fatta in casa contraddice le vostre affermazioni sui voli pindarici: quale miglior volo pindarico di quello di Alesina e Ichino, che pure si presterebbe a qualche critica?

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