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La favola del Pil dopato dei tedeschi

Per giustificare la debole crescita italiana si ricorre addirittura all’ipotesi che l’Istat tedesca abbia tenuto bassi i dati dell’inflazione per dopare il Pil tedesco. E’ un evento molto improbabile. In un mondo ancora poco globale non è così strano che i prezzi siano aumentati di più in Italia che in Germania per un lungo periodo di tempo. Rassegniamoci all’idea che cambiare il metodo di misurazione non è una soluzione al problema della crescita.

In una nuova puntata della saga “crescita in Italia vs crescita negli altri paesi” Marco Fortis (sul Sole 24Ore del 19 maggio) ritorna sul tema. In questa occasione l’’argomento è che “il deflatore del Pil in Italia è troppo aggressivo” e deprime la crescita. Le statistiche tedesche (e francesi) sarebbero “dopate” rispetto a quelle italiane, a vantaggio dei nostri partner e concorrenti . E il presidente dell’’Istat Enrico Giovannini è obbligato a rispondere e precisare, chiedendo già nel titolo: “Cara Europa ora vigila sul doping del Pil”.
Al di là dell’’influsso del Giro d’’Italia (che fa pensare al doping), c’’è qualcosa di reale in questa discussione?

RIASSUNTO SUL DOPING

Tra il 1999 e il 2007, il Pil dell’’Italia – il valore della produzione di beni e servizi valutata ai prezzi di mercato – è aumentato del 37 per cento mentre in Germania è aumentato solo del 20 per cento. Vuol dire che, fatto 100 il Pil nel 1999 nei due paesi, nel 2007 il Pil dell’’Italia era diventato 137 e quello tedesco solo 120. Però, 137 e 120 sono numeri calcolati a prezzi correnti, cioè sommando il valore delle scarpe vendute a quello dei frigoriferi venduti e così via, senza distinguere tra prezzi e quantità. Invece, “in termini reali” (cioè contabilizzando solo l’’aumento nel numero delle scarpe e dei frigoriferi prodotti, ai prezzi del 1999), il Pil tedesco nel 2007 era diventato 115 e quello dell’’Italia solo 112. (1) Le previsioni di cui leggiamo nei documenti del Fondo monetario riguardano il Pil reale. Ed è sul Pil reale che si basa l’’affermazione “secondo cui l’’Italia è cresciuta meno della Germania nel 1999-2007”.
L’’Istat misura quanto spendiamo e quanto produciamo “a prezzi correnti” in ogni anno e poi misura come cambia il prezzo dei vari beni nel corso del tempo (l’’inflazione). Dai dati a prezzi correnti e dalla stima dell’’inflazione, si calcolano i numeri sulle quantità di beni e servizi (scarpe e frigoriferi) di diversa qualità che sono prodotti in Italia, cioè la stima del Pil “reale”. Quindi se l’’Istat sbaglia a misurare l’’inflazione, ecco che, per una data crescita nominale, si comprime la crescita reale del Pil.
Da qui viene il “doping” secondo Fortis: i prezzi italiani non possono essere aumentati così tanto rispetto a quelli tedeschi come registrato dagli uffici statistici nazionali. Il ragionamento è più o meno il seguente. Le nostre multinazionali competono alla pari con quelle tedesche. Magari i tedeschi sono più bravi a fare frigoriferi, ma noi – letteralmente – gli facciamo le scarpe nel settore cuoio e calzature. L’’Istat tedesco però misura bene la qualità dei beni tedeschi perché la qualità di un frigorifero è più facile da misurare, e quindi riesce a calcolare con maggiore precisione quanti frigoriferi fanno i tedeschi contabilizzando dal lato della quantità (cioè del Pil reale) i miglioramenti qualitativi, il progresso tecnico e così via. Invece, l’’inventiva e il design che i tanti piccoli Della Valle mettono nelle scarpe italiane è riflessa in modo impreciso nelle statistiche italiane: l’’aumento di prezzo consentito da una migliore qualità del bene e del servizio connesso viene misurato come un aumento del costo della vita e non come un miglioramento qualitativo. L’’Istat registra solo imperfettamente la qualità del nostro Made in Italy che, si potrebbe aggiungere, è particolarmente sofisticata e particolarmente frammentata in tante piccole aziende.
L’’interessante osservazione di Fortis non è però una spiegazione molto plausibile del declino dell’’economia italiana. Fortis ragiona come se davvero vivessimo nel mondo perfettamente piatto di Thomas Friedman. Come se i beni e i servizi avessero lo stesso prezzo in giro per l’’Europa. Non è così. Anche i beni molto omogenei come il BigMac di McDonalds o l’’i-Phone di Apple hanno prezzi molto diversi nei vari paesi. C’’è anzi ampia evidenza statistica del fatto che prodotti molto simili siano commercializzati a prezzi molto diversi in differenti paesi (anche tra il lato canadese e quello americano del Lago Ontario). Insomma, che negli ultimi anni i prezzi siano aumentati di più in Italia che in Germania non è poi così incredibile, in definitiva perché, nonostante tutte le chiacchiere sull’’ubiquità della globalizzazione, il mondo è ancora poco globale. Anche perché i servizi sono tuttora poco scambiati tra paesi.
E questo vale anche per i prezzi alla produzione. Nessuno mette in dubbio che le nostre multinazionali siano competitive. Ma poi c’’è la minore efficienza del nostro settore pubblico (l’’ex-sottosegretario al Tesoro Vito Tanzi, con il collega della Bce Ludger Schuknecht, la quantificava qualche anno fa in un -20 per cento rispetto a quella dei tedeschi), c’’è la più rapida dinamica dei salari italiani rispetto a quelli tedeschi (+42 per cento contro +17 per cento nel settore pubblico e +25 per cento contro +12 per cento nel privato nel 1999-2007, come ricordano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere del 24 maggio) e c’’è il più rapido aumento dei prezzi delle materie prime che sconta decenni di incuranza della nostra politica energetica. C’’è infine il fatto che le sotto-stime e le sovra-stime dei prezzi delle esportazioni potrebbero riguardare anche i prezzi delle importazioni, con possibili effetti di compensazione.
Insomma: ci piacerebbe, ma è improbabile che il Pil tedesco sia dopato.
AUTO-FLAGELLARSI CON IL DEFLATORE?

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Chi parla di doping del Pil solleva un tema di cruciale importanza, quello della sua corretta misurazione in un mondo dominato da servizi il cui contenuto di qualità e di aumento di costo tende a diventare sempre più difficile da distinguere.
Per ora tuttavia non abbiamo elementi di fatto che suggeriscano come plausibile l’’ipotesi del doping. Ognuno ha i suoi gusti. C’’è chi si auto-flagella con il cilicio. È però molto dubbio che, nonostante la permissività dei costumi, l’’Istat stia infliggendo all’’economia italiana la nuova e più sofisticata forma di punizione che Fortis chiama l’“’auto-flagellazione con il deflatore”.
Pensare di cambiare il metodo di misurazione quando non si riesce a far crescere il Pil con il metodo standard non è una soluzione per un paese che aspiri a essere ritenuto diverso dagli altri stati con elevato debito pubblico. Ci provò già Bettino Craxi nel 1986: convinse l’’Istat a rivalutare il Pil del 20 per cento “per contabilizzare il sommerso” (anche allora). Lo fece per guardare negli occhi gli inglesi da pari a pari. Ma non fu la rivalutazione del Pil a salvare l’’Italia dal baratro della crisi finanziaria su cui l’’avevano condotta le dissennate politiche di deficit dei decenni precedenti, bensì le politiche di aggiustamento fiscale attuate dal 1992 in poi.

(1) Non è proprio così. I prezzi a cui si contabilizza il Pil in termini reali sono a pesi variabili nel tempo, cioè sono una media tra i prezzi dell’anno iniziale e quelli dell’’anno finale.

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Dilettanti allo sbaraglio sulla non autosufficienza

13 commenti

  1. luigi zoppoli

    Ieri abbiamo saputo, per bocca del Sottosegretario Letta che bisogna evitare il rischio Grecia. Avranno informato il Prof. Fortis che inizierà ad autoflagellarsi in conformità ai nuovi andamenti govenativi.

    • La redazione

      L’autoflagellazione del deflatore è un’espressione colorita che suona un po’ buffa e al momento non mi pare suffragata da elementi di fatto. ma il problema posto da fortis (capire se il Pil continui a misurare con precisione quello che si suppone misuri) è un problema serio che non può essere sottovalutato.

  2. Salvatore Bellino

    Ho vissuto a lungo in Germania. I prezzi hanno seguito la stessa evoluzione che in Italia. Nelle birrerie si cenava con 25DM prima dell’Euro con 25€ l’anno dopo. Ho visto passare la birra delle grandi marche tra il 2004 ed il 2007 da 10€/l a 13€/l. Quello che fa rabbia è che la stessa birra costa in Italia 3 volte che in Germania, mentre il vino o la pasta italiani costano in Germania lo stesso se non meno. O lo stesso yogurt prodotto in Trentino costi nella stessa grande catena a Monaco 25c ed a Torino 49c. O la birra prodotta in Italia costi generalmente (in IT) il doppio (che in DE). Il tutto con salari che rendono conveniente, a parità di mansione, rinunciare all’indennità di trasferta italiana per essere assunti dalla ditta tedesca (e purtroppo tanti lo fanno e non solo per motivi economici). E non solo con la Germania il confronto è impossibile, ma qualcuno dovrebbe spiegarmi com’è che io per tutta l’estate scorsa ho pagato a Cannes (in un piccolo Monoprix in centro) lo yogurt della signora dal ventre piatto 1€ e la più nota birra belga 55c mentre le stesse confezioni nei supermercati italiani costano rispettivamente 3€ e 2,03€. Dopato il PIL tedesco o i prezzi italiani?

    • La redazione

      Basare le nostre idee su quello che ci sembra facendo la spesa e andando al ristorante ci dà un’idea piuttosto precisa del costo dei beni che acquistiamo con alta frequenza. si tratta di beni di consumo, che a loro volta rappresntano solo una parte (circa due terzi) del paniere, ma non tutto il paniere. nel valutare, la cosa migliore è affidarsi ai due uffici statistici nazionali che sguinzagliano un sacco di osservatori in giro per l’italia e la germania. devo dire che anch’io ai tempi del passaggio all’euro, stavo con le casalinghe, cioè mi è sembrato che il cambio fosse stato 1000 lire = 1 euro.

  3. Bruno Stucchi

    Professore, sapreppe definirmi, con un numero finito di parole, che cosa Lei intende per PIL? Girando per Internet ho trovato almeno una trentina di definizioni, più o meno equivalenti (spero). Provi a darci la sua, la metteremo a confronto con le altre. Poi potremmo riprendere la discussione. Ma, da fisico, ritengo che non si possano dare numeri se prima non si definisce un’unità di misura certa e condivisa. Non pretendo che esista un PIL campione, depositato al Bureau International des Poids et Mésures, ma insomma facciamo uno sforzo eh!

    • La redazione

      Il PIL non è un’opinione, ha una definizione precisa: è il valore dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un paese in un certo periodo di tempo e valutati ai prezzi di mercato.

  4. Andrea Costa

    In più di un’occasione ho affittato un appartamento in una località turistica tedesca molto famosa (considerata un posto da ricchi, quindi non penso più economica del resto del Paese), e dovendo fare la spesa tutti i giorni saltava all’occhio che si spendeva un buon 15-20% meno che in Italia. La pasta più venduta in Italia costava meno che in Lombardia, ma il divario si allargava sui prodotti tedeschi, ovviamente: certi biscotti che mi piacciono molto costavano esattamente la metà. Si tratta, è chiaro, di evidenza aneddotica, ma nulla lascia credere che sia diverso a livello aggregato. Chiudo con un altro aneddoto: ho visto in un negozio di Como delle scarpe da barca che io avevo comprato negli USA. Stessa marca, stesso modello e addirittura stesso colore. In America $15, a Como €60.

  5. Peppe

    Anche se diverso – per paniere – si potrebbe guardare all’indice dei prezzi al consumo. Addirittura a quello armonizzato HICP. La dinamica nominale in Italia è molto più galoppante che in Germania… Ma anche perchè in Germania sono più attenti al "costo" mentre in Italia son più attenti alle "mode" dei prodotti. Le aziende sanno che gli Italiani, rispetto ai Tedeschi, son molto più ben disposti a pagare di più se il prodotto è trendy. Son scelte che costano!

  6. eustaki

    A proposito di Pil, che fine ha fatto la commissione sponsorizzata da Sarkozy per definire un nuovo indicatore della ricchezza nazionale? Ancora, ma è possibile che secondo Eurostat il Pil pro capite italiano sia ancora inferiore a quello di Grecia e Spagna?

  7. Marziano Sgro'

    Se uno produce granoturco e lo vende a un’altro che produce polli e il primo compra i polli da quest’ultimo per farseli allo spiedo: il Pil aumenta. Se invece il primo e il secondo producono il granoturco e si allevano i polli e ciascuno si fa i suoi allo spiedo il contributo al Pil è nullo. Ma in tutti e due i casi mangiano gli stessi polli. Il PIL è un parametro rappresentativo della ricchezza comparativa tra due paesi nell’ipotesi che la struttura economica sia simile.

  8. bellavita

    Che i prezzi in Italia e Francia siano diversi, lo dimostrano le migliaia di francesi che il sabato vengono a fare la spesa a Torino Porta Palazzo e a Sanremo. Non so poi come entri nel conto l’andamento di quantità e prezzi della droga che smerciamo a mezza Europa….

  9. beppe

    Se invece di dare l’8 per mille dell’irpef (che dipende dal Pil) ai preti e alle scuole cattoliche lo destinassimo alle scuole statali, probabilmente potremmo: a) dare lavoro a tanti insegnanti, b) risparmiarci tanti soldi per la cassaintegrazione degli insegnanti precari e, ultimo ma buon ultimo, c) avere figli un po’ meno "indottrinati".

  10. luigi angelucci

    Come fatto notare, il Pil è utile nelle comparazioni solo se i sistemi economici sono comparabili. Io aggiungo che in Italia abbiamo delle specifità, al di là del nero e dei deflatori, che portano a non considerare una buona fetta di "prodotto"; esempio: in Francia la sanità funziona con casse malattia che rimborsano la gran parte delle spese e si basa sui prezzi di mercato; in Italia, paghiamo un ticket, a volte salato, e di prezzi di mercato finora non se ne sente parlare. Beh, in Francia il Pil incorporta la sanità mentre tutto il prodotto della sanità pubblica italiana semplicemente non esiste. Come per le babysitter tedesche, che fanno Pil, mentre le nonne italiane offrono gratuitamente il servizio, ergo sono fuori dal Pil. E si potrebbe continuare.

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