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I giovani, un esercito immobile

I dati Istat confermano il quadro a tinte fosche della condizione dei giovani nel nostro paese e la loro dipendenza dalla famiglia di origine. Mentre un rapporto Eurostat mostra che non solo sono una risorsa scarsa, ma anche più sprecata e meno valorizzata che altrove. Sono oltre due milioni gli under 30 che non studiano e non lavorano: sospesi in quel tempo morto che separa episodi di lavoro precario da brevi corsi di formazione, appaiono come un esercito immobile. La conseguenza è un’economia che non cresce e una società che non si rinnova.

I dati dell’’ultimo Rapporto annuale dell’’Istat confermano il quadro a tinte fosche della condizione dei giovani nel nostro paese. Si sta cronicizzando, in particolare, la loro dipendenza dalla famiglia di origine.

DIPENDENTI LORO MALGRADO

Alla fine degli anni Settanta c’’era un’’ampia omogeneità tra i paesi europei e gli Stati Uniti nei tempi di transizione verso l’’indipendenza. Gran parte dei giovani lasciavano la casa paterna e formavano una loro famiglia prima dei 25 anni. Le grandi trasformazioni della modernità sembravano aver annullato alcune storiche differenze tra i vari paesi sulle caratteristiche del processo di entrata nella vita adulta.
Negli ultimi trent’’anni i giovani nord-europei hanno continuato a lasciare la famiglia presto, aiutati anche da adeguate politiche di promozione e protezione dell’’autonomia, nel Sud Europa è invece iniziata una fase di progressivo prolungamento dei tempi di uscita. Ai fattori culturali si sono sovrapposti sempre più quelli economici, facendo consolidare un sistema coerente caratterizzato da bassi tassi di attività e inadeguato sostegno del welfare pubblico. Tanto che se nel passato rimanevano più a lungo a coabitare con i genitori i giovani del Centro-Nord, recentemente la permanenza risulta maggiore nel Sud, ovvero nei contesti meno dinamici ed economicamente più svantaggiati.
A conferma di ciò, il rapporto Istat mostra come negli anni più recenti siano cambiati i motivi della non uscita, con una sensibile crescita delle difficoltà oggettive e corrispondente diminuzione di chi dichiara che rimane per comodità o pigrizia (i cosiddetti “bamboccioni”). Aumenta quindi di fondo la voglia di autonomia, ma non cresce la capacità dei giovani di liberarsi dalla dipendenza dai genitori.
Una situazione che la crisi ha notevolmente peggiorato, ma che era già sui livelli di guardia ancor prima di entrare in questa fase di recessione. Sempre secondo i dati di un’indagine condotta dall’’Istat, tra i ventenni e i trentenni che a fine 2003 vivevano con i genitori, solo uno su cinque risultava essere uscito a inizio 2007. Tra chi aveva affermato a inizio periodo che sicuramente nei prossimi tre anni avrebbe conquistato una propria indipendenza, solo il 53 per cento è riuscito effettivamente a farlo.
Qualche chance in più riesce comunque ad averla chi investe subito e di più, chi ha forti motivazioni e le donne, le quali in tutti i contesti tendono a lasciare la famiglia di origine prima dei coetanei maschi. (1)

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LO SPRECO DI CAPITALE UMANO

Quanto poco sia valorizzato il capitale umano delle nuove generazioni italiane lo testimoniano bene anche i dati del recente rapporto Eurostat “Youth in Europe, 2009 Edition”. Se si considerano i tassi di attività nella fascia 25-29 anni, l’’anomalia italiana emerge non solo dai livelli – da noi molto più bassi – ma anche dal legame con il titolo di studio. Negli altri paesi, già prima dei 30 anni i laureati si trovano in vantaggio rispetto a chi è meno qualificato. Solo da noi ciò non avviene (tabella 1).

 

Tabella 1 – Tassi di attività in età 25-29 per titolo di studio (anno 2007)

Basso Medio Alto Differenza

Alto-Basso

Eu-27 74.2 81.9 89.3 15.1
Italia 69.8 73.8 69.3 -0.5
Spagna 85.3 84.7 88.5 3.2
Francia 78.6 88.7 90.7 12.1
Regno Unito 68.3 84.7 92.5 24.2
Germania 67.7 81.6 92.3 24.6

Fonte: elaborazione da dati Eurostat

Lo stesso rapporto Eurostat ricorda l’’invito della Commissione Europea a considerare come elemento cruciale, per lo sviluppo sociale ed economico, la promozione di una piena partecipazione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro. Tutti i dati a disposizione ci dicono che noi siamo uno degli Stati membri più lontani da tale obiettivo.
I giovani italiani risultano essere non solo una risorsa scarsa, ma anche più sprecata e meno valorizzata che altrove. Sono infatti oltre due milioni gli under 30 che non studiano e non lavorano. Sospesi in quel tempo morto che separa episodi di lavoro precario da brevi corsi di formazione.
Appaiono, nel rapporto Istat, come un esercito immobile. Non reso attivo da chi guida il paese per creare sviluppo e ricchezza, ma nemmeno mobilitato “dal basso” per proteste e lotte contro gli squilibri generazionali. La conseguenza è un’’economia che non cresce e una società che non si rinnova. Supereremo la crisi, ma così non andremo certo lontano.

(1) Chiuri M.C. e Del Boca D., Home-leaving Decisions of Daughters and Sons Review of Economics of the household 3, 2010.

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Se la tessera del tifoso non piace alle società

17 commenti

  1. Diego Alloni

    In Italia la micro-impresa, l’artigianato e le attività commerciali a conduzione familiare sono (stati) rilevanti, sottintendendo il diffuso intreccio tra famiglia e lavoro, inteso proprio come trasmissione educativa, prima ancora che di competenze ed aziende, da padre a figlio/a. Ma 39 anni fa si è decisa l’eliminazione del tempo del padre (passato da un tempo di vita quotidiana con i figli, come lo è anche con il lavoro, ad un tempo di visita separativo/divorzile) ed oltre 2 milioni di bambini sono cresciuti senza la cura e l’educazione del papà-lavoratore, deputato solo a mantenere i figli e vigilare sull’educazione materna. Si provi ad intersecare i dati demografici, scolastici e professionali dei cosiddetti né(lavoro)-né(studio) e si scoprirà come la loro attesa di un’entrata regolare, anelata più pensione che come lavoro, assomigli strettamente alla rendita a vita che le loro madri separate hanno così agevolmente ottenuto, e mascherato sotto-forma di mantenimento per i figli, dalla magistratura di famiglia. Per di più, confinare le nuove generazioni in serie cadetta è funzionale al mantenimento delle rendite e dei poteri divorzili.

  2. Nicolai Caiazza

    Un giovane che vuole andare via di casa deve fare prima di tutto i conti su come sopravvivere. Fittare una casa é una spesa che puó affrontare solo chi ha un lavoro ben retribuito. Non c’é mai stata in Italia una politica sociale per la casa, per cui nessun vuole correre il rischio di finire sotto i ponti e rimane dai genitori. In Francia nel dopoguerra furono create le Maison des jeunes, dove era possibile alloggiare per pochi franchi, inoltre c’era un ristorante dove poter mangiare anche per poco inoltre delle sale dove poter riunirsi. Ció dette la possibilitá a molti giovani di affrontare i primi tempi di ricerca di un lavoro e altro in condizioni non traumatiche. Con l’erogazione di una reddito minimo ai giovani a partire da una certa etá, terminati gli studi, si potrebbe stimolare l’uscita di casa, mentre gli appartamenti che appartengono al demanio, statale o comunale,invece di venderle alle grandi immobiliari, potrebbero essere fittati ai giovani con un canone abbordabile. Cioé, le idee possono essere tante, La questione é: c’é la volontá di affrontare il problema e trovare una soluzione?

  3. Giorgio Trenti

    La famigerata legge cosiddetta Biagi obbliga a fingere che, nel rapporto di lavoro, ci sia un progetto. Propongo la reintroduzione nel codice civile dell’articolo 2097 abrogato nel 1962. Per risolvere, con lungimiranza, la mancanza d’entrate di cui soffrono coloro che non hanno lavoro, è opportuno riconoscere a tutte le persone fisiche, di cittadinanza italiana, il diritto alla disponibilità di un minimo vitale, sulla base della dichiarazione annuale dei redditi. Nel quadro complessivo della garanzia di un salario minimo a tutti, è ragionevole riservare ai laureati una possibilità in più. Non si dispone di una legge moderna per affrontare il problema; è opportuno valutare una proposta di legge innovativa. Articolo unico L’art. 2097 del codice civile è sostituito dal seguente: le parti stabiliscono le regole del contratto di lavoro. A tutte le persone fisiche, di cittadinanza italiana, è riconosciuto il diritto alla disponibilità di un minimo vitale, sulla base della dichiarazione annuale dei redditi. A tutte le persone fisiche laureate, di cittadinanza italiana, il datore di lavoro riconosce una preferenza in tutte le assunzioni.

  4. Marco La Colla

    Il termine "bamboccioni" è stato usato per la prima volta dal ministro Padoa Schioppa e da allora è stato impiegato spesso a sproposito. Il "bamboccione" non è quello che rimane in famiglia perchè non riesce a trovare un lavoro che gli consenta di mantenersi da solo, ma quello che già lavora e sfrutta la famiglia per mantenere un tenore di vita che altrimenti non si potrebbe permettere. Chi guadagna anche solo mille euro al mese, ma non spende un centesimo per un affitto o un mutuo, per le bollette di luce, gas e acqua, che ha la mamma che gli cucina, gli lava e gli stira i panni, può permettersi di pagarsi le rate di un’auto di lusso, di farsi un paio di viaggi all’anno, di andare tutti i fine settimana in discoteca, di avere tutte le ragazze che vuole e via discorrendo. Chi glielo fa fare di affrontare la vita con i pochi soldi che guadagna, dovendo rinunciare a tutto ciò che gli consente il vivere in famiglia? Il "bamboccione" è tale perchè non vuole crescere, perchè vuole godere dei vantaggi che gli garantisce la famiglia e non vuole affrontare la vita da solo. Questo a mio parere per dare del "bamboccione" solo a chi veramente se lo merita!

  5. MV

    Quello che più mi stupisce è il fatto che molti sono pronti a criticare questa situazione eppure nessuno (almeno non mi è mai parso) si ponga mai la questione su quali siano le cause di questo fenomeno. Per quello che ho potuto vedere e vivere sulla mia pelle penso sia importante porre maggiore attenzione sul sistema universitario e quali siano i suoi aspetti negativi sul comportamento delle giovani generazioni. Pongo una serie di elementi su cui soffermerei l’attenzione: 1 – distribuzione sul territorio dei poli; 2 – modalità di accesso all’università; 3 – tempistiche e sistema di esami. Espongo in breve il mio punto di vista: 1 – eccessivo numero di poli che permette a molti giovani di svolgere a casa gli studi; non sperimentano un’esperienza di vita autonoma e non vivono nessun cambio d’ambiente il che forse li porta a sedimentarsi ancor di più sul territorio, questo "forse" li porta a vivere traumaticamente gli spostamenti dal proprio habitat. 2 – Si basa sul concetto sbagliato secondo cui tutti debbano studiare e invece non punta sul fatto che sarebbe meglio far studiare chi ne ha le capacità; troppe le persone che si accumulano all’università. 3 – Tempi dilatati.

  6. Un giovane

    Io direi che la bugia dei "bamboccioni" ha avuto le gambe corte. Comincia a farsi vedere la verità: una condizione sociale che per i giovani è a dir poco precaria. Totale assenza di prospettive future dignitose (anche per chi studia e per bene), come ad esempio possibilità di pagarsi un affitto e relative bollette, e totale invisibilità sociale. L’arrivo nell’età adulta è accompagnato da un senso di impotenza nei confronti della realtà circostante, dall’impossibilità di costruire e decidere per il proprio futuro prossimo. In breve, un futuro rubato sin dal presente. Mi chiedo quanto ci vorrà per capire che una tale situazione porterà a seri problemi di conflitto/odio generazionale. Un giovane.

  7. Giuseppe P.

    Vivere in casa con i genitori, oggi, non è più come in passato quando si stava stretti in casa con tanti fratelli e con tante limitazioni alla vita sociale. Oggi se vivi con i tuoi, non ti fanno mancare niente, stai benissimo, fai quello che vuoi. Perché allora andare via di casa? Ho 29 anni, ma ho vissuto diversi anni all’estero. Ho potuto constatare che in molti paesi del Nord Europa sposarsi e metter su famiglia è una decisione che si prende prima che in Italia, perché da noi si è diffusa la tendenza a sposarsi solo se si ha entrambi un "posto fisso" e una casa di proprietà acquistata, arredata, ecc. Ovviamente, queste cose non si hanno prima dei 30 anni e così non si va via di casa prima di quest’età. Prima non era così, prima in Italia era come nel resto d’Europa, ci si sposava giovanissimi e ci si arrangiava, così hanno fatto i miei genitori e tutti quanti. Oggi invece, se tutto non è al posto giusto si rimane in casa. I giovani hanno rinunciato a rischiare. Va poi aggiunto che i genitori non incoraggiano per nulla i giovani ad andar via di casa, forse egoisticamente. La cosa incredibile è che non è una cosa culturale, perché in Italia, prima, non è mai stato così.

  8. AM

    Il problema dei giovani esiste e non è certo da sottovalutare. Tuttavia un vecchio adagio recita "il bisogno aguzza l’ingegno" ed in passato in situazioni anche più difficili di quella attuale molti italiani hanno trovato la via per affermarsi in patria o all’estero. Oggi per molti giovani questi stimoli sembrano mancare forse anche per la presenza alle spalle di famiglie iperprotettive. Consiglierei a questi giovani di osservare il comportamento degli immigrati onesti -e sono moltissimi- che, pur inseriti in un contesto diverso dal paese d’origine e spesso ostile, si sono rimboccati le maniche e stanno risalendo gradualmente la scala sociale affermandosi come artigiani, piccoli imprenditori, impiegati e talora anche come dirigenti.

  9. Francesco Burco

    Sono anni che vado dicendo che in Italia la guerra non è fra destra e sinistra ma fra giovani e vecchi. Mi dicevano che da sempre il giovane rompe e distrugge le palle del padre. Io obiettavo che non è così. O meglio, è vero che il giovane contesta il padre nel gioco continuo del progresso. Ma la mia analisi era diversa, basata non su un generico rincrescimento nei confronti delle generazioni precedenti bensì puntava il dito contro una generazione ben specifica: la generazione Gianni Morandi. Questi ormai settantennei o addirirttura ottuagenari occupano il potere, in qualasiasi campo del vivere, da decenni ormai. E non mollano un millimetro. Sono 10 anni che i vecchi di questo paese, con l’esercizio democratico del voto, impongono ai giovani l’onere del risanamento di quello che loro hanno distrutto. Del debito che loro hanno creato. Continuano a chiamare ragazzi i 35enni, come se il mondo si fosse fermato. Continuano a rimirarsi nello specchio della loro eterna giovinezza: la televisione. Dorian Gray gli fa un baffo. E noi giovani o ormai ex intanto invecchiamo, ci induriamo e rimpolperemo le schiere dei vecchi di domani, nella vana sperenza di imparare dagli errori.

  10. Tommaso

    E’ una situazione drammatica. Uno spreco immane di risorse. La scuola italiana e’ di certo una corresponsabile. Tra l’altro una quota ormai molto grande di "giovani" in Italia sono stranieri. A Parma il 25% delle persone di 25-29 anni e’ straniero. La situazione e’ dammatica anche per loro? Se non lo e’, perche’? Perche’ gli stranieri ci stanno a lavorare e darsi da fare?

  11. avv. Aniello Sandolo

    Gent.mi autori ho letto il vostro articolo del 1.6.2010 "i giovani un esercito immobile". Secondo me più che un esercito è una Generzione di disperati e di senza futuro in quanto il loro futuro è stato mangiato dai nonni e dai padri (ladri di futuro) che ancora oggi fanno come i coccodrilli (mangiano i loro figli). Appena posso vi faccio pervenire un documento che nel dicembre 2009 ho spedito a T.Boeri. In esso esamino in dettaglio a ragion veduta la fattispecie "Generazione dei giovani" e non semplicemente dei giovani. La differenza è abissale. Secondo me la malattia (curabile fino agli inizi degli anni 90) è degenarata in cancro con metastasi. Sarò pessimista ma all’orizzonte, siccome le soluzioni del problema sono impossibili, vedo solo ed esclusivamente un drammatico scontro generazionale. Giovani contro padri e nonni (cfr. Ellas). Lascio a voi il prosieguo della storia. Ciao e buon lavoro Avv. Aniello Sandolo

  12. avv. sandolo

    I giovani, se ci pensiamo bene, sono esclusi da ogni attività lavorativa, da ogni ruolo di direzione politica, istituzionale, sindacale, burocratico, culturale, universitario, ma anche dall’ambito delle professioni, dalle amministrazioni delle imprese industriali e finanziarie. Le generazioni che li hanno preceduti (nonni e padri) hanno goduto di tutti i benefici ed attualmente controllano pressochè il 100% delle leve di comando e non sono disposti ad accettare alcun ricambio. Questi ladri di futuro pur di conservare questo stato di cose, di fatto, impediscono il ricambio generazionale e quindi ogni "omnia" prospettiva di futuro. Gli effetti di quanto sopra sono devastanti e drammatici: 1) invecchiamento anagrafico della società italiana; 2) calo dei giovani nuclei familiar; 3) collasso demografico; 4) costi sociali altissimi a partire dalla sanità; 5) invecchiamento delle cassi dirigenti e della forza lavoro; 6)fuga all’estero dei giovani; 7) distacco istituzionale; 8) scontro e/o conflitto generazionale.

  13. FEDERICA

    Ho letto il vostro articolo con molto interesse. Interessante? Specchio della mia generazione? Sì, lo ammetto. Immobile? Su questo voglio esprimere il mio parere, il punto di vista di una giovanissima donna di questa generazione che cerca di lottare per il Belpaese che non c’è più! L’Italia è un Paese per vecchi, anzi è un Paese vecchio! Ho 26 anni e provengo da una famiglia della bassa borghesia, sono dottore magistrale (3+2) con uno splendido voto, ho delle esperienze di studio all’estero, diverse esperienze di stage, ho un master in una nota università milanese e tanta voglia di cambiare le cose. Io lotto, combatto per cambiare le mie prospettive future ma mi spiace vedere giorno per giorno che persone meno brave, senza titolo, senza passione stiano al mio posto. Lotto contro un sistema ma nulla cambia. Mi spiace ammettere che l’esercito non può bastare: serve cambiare il modo di pensare di ogni cittadino, serve dire no alle raccomandazioni e alle segnalazioni. L’esercito non può bastare, serve arruolare il talento per farlo fiorire.

  14. Monica Giambitto

    Sono stata fortunata nel trovare un datore di lavoro che mi ha assunto con un contratto di apprendistato, ho uno stipendio intorno ai 1000 euro che pensavo mi permettesse di essere autonoma. Ho scartato l’acquisto di una macchina perché tra tasse + assicurazione + benzina + costo della macchina (usata o nuova) in cinque anni sarei andata a spendere intorno a 10/15 mila euro. Quei soldi li avrei investiti in una casa che si trovasse in una zona meglio collegata (stazione, supermercato e autobus), poi mi sarei mossa in bicicletta. La mia città conta circa 100.000 abitanti. Cosa mi serve? Telefono no, ho il telefonino. Televisione no, ho internet, console e dvd. Acqua, luce e gas. Più il cibo. Sono sola, il mio ragazzo abita per conto suo, quindi mi è sufficiente un mono/bilocale. Non vado ad abitare con lui perché voglio provare a vivere autonomamente, contando solo sulle mie forze e perché lui abita in un’altra città. Costo totale dell’operazione: 500 euro fitto + condominio + spese (vedi sopra) + abbonamento del treno = 950 euro. E se mi devo curare un dente? Morale: vivo ancora con i miei e metto da parte i soldi, sperando che si abbassino i prezzi e possa accendere un mutuo.

  15. avv. Aniello Sandolo

    Condivido e aggiungo che essi "I Ladri di Futuro" hanno mangiato il miele lasciando ai giovani il barattolo vuoto con effetti apocalittici. Costretti dalla crisi e dalla necessità di sanare la finanza pubblica sono obbligati ad operare contro i giovani. Le recenti discipline in materia di lavoro, non curano il malato, ma aggravano la malattia con costi socioeconomichi siderali a partire dalla sanità. Essi non son dovuti solo alla mala sanità, ma anche alla vacchiaia per cui: invecchiamento della gente = aumento esponenziale dei costi ospedalieri e sanitari anche nelle regioni virtuose. Sulla scuola – fare figli è prerogativa delle giovani coppie. Se i giovani sono senza futuro la conseguenza è scuole con pochi alunni per cui: pochi giovani, poche giovani coppie – pochi figli = poche scuole – rischio chiusura ogni scuola di ordine e grado. Insegnanti – a poche scuole corrisponde corpo insegnante vecchio e demotivato (a 54 anni di ruolo). Domanda interna – l’anzianità porta al crollo della domanda interna (commercio) gli anziani depositari di reddito escono una volta alla settimana per fare la spesa per cui anziani = crollo domanda interna = domanda sicurezza.

  16. PULITO PAOLO ORONZO (COMMERCIALISTA IN MILANO)

    Mi trovo d’accordo con il fenomeno fotografato dagli autori (le università servono anche per questo). Aggiungerei che i padri di quei figli fotografati nell’articolo (io sono uno di quelli), per raggiungere il loro obiettivo hanno dimenticato di fare i genitori, la società ha dimenticato la formazione, l’etica. Chi è più furbo va avanti. I rappresanti di ogni categoria (politica; industriale; finanzaria), fanno i loro interessi, senza trovare la quadra nel sistema paese. Per questo sia dalla classe politica, che dalla finanza, che dall’industria non si hanno segnali molto incoraggianti. Si confondono i ruoli: il politico vuole fare l’industriale; l’industriale vuole fare il politico; il finanziere vuole fare tutto. Tali attività si confondono. Una volta raggiunto il "potere" il genitore non molla il proprio ruolo, relegando i figli in un angolo. La società italiana ha una finta scuola (non tutta), una finta industria, una finta finanza. Come possono i nostri figli andare avanti in un sistema paese così deteriorato. Come possiamo aiutarli? In un bellissimo libro di Ignazio Silone – alla fine ci si poneva una domanda "che fare". Buone vacanze Pulito

  17. Stefano Copetti

    Interessanti questi articoli che scatenano discussioni a non finire, anche parzialmente fuori tema. 1) Lo spreco di capitale umano è funzione della domanda o dell’offerta? Ovvero, se l’università italiana sforna migliaia di medici all’anno la popolazione italiana deve adattarsi ammalandosi di più per dar loro da vivere? 2) Il tasso di attività 25-29 tiene conto che da noi ci si laurea mediamente molto più tardi degli altri paesi europei e quindi ci si occupa nella fascia di età successiva? 3) Concordo (da 40enne) che i vecchi ci abbiano bruciato il futuro e che noi, nonostante i nostri sforzi, faremo tanta fatica a garantirlo ai nostri figli.

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