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Le vittime straniere della crisi italiana*

Vanno letti con attenzione i dati Istat sulle forze lavoro relativi al 2009. Segnalano un aumento degli immigrati occupati nel nostro paese, dovuto presumibilmente al processo di regolarizzazione avviato a fine 2008. Indicano però anche un incremento dei disoccupati stranieri. Hanno solo sei mesi per trovare un nuovo lavoro. Scaduto il termine è probabile che molti decidano di tornare nel paese di origine. Quale sarà allora il destino dei contributi previdenziali versati? Rimarranno per lo più in Italia, nelle casse dell’Inps.

Come era prevedibile, la crisi economica fa sentire i suoi effetti negativi anche sull’’occupazione dei lavoratori stranieri nel nostro paese.

I DATI ISTAT SULLE FORZE LAVORO

I dati della rilevazione delle forze lavoro Istat relativi al 2009 vanno letti con attenzione.
Segnalano un aumento degli occupati stranieri, passati da 1.750.000 nel 2008 a 1.898.000 nel 2009: l’incremento di 150mila unità è dovuto probabilmente al processo di regolarizzazione avvenuto nel dicembre 2008, che prevedeva appunto 150mila nuovi ingressi, con contratto di lavoro sottoscritto presumibilmente nel corso del 2009.
Contemporaneamente, però, i dati indicano anche un forte aumento degli stranieri in cerca di occupazione: dai 162mila del 2008 ai 239mila del 2009, ovvero 77mila disoccupati in più nell’’arco di dodici mesi.
Questi stranieri si sono iscritti ai Centri per l’’impiego per ottenere il permesso di soggiorno “per attesa occupazione”; hanno solo sei mesi di tempo per trovare un nuovo lavoro, in caso contrario diventeranno irregolari. Cosa che puntualmente sta già accadendo a molti di loro.
Non è quindi azzardato sostenere che tra il settembre 2008 e oggi, oltre novantamila lavoratori stranieri potrebbero aver perduto il lavoro: una quota cospicua dei nuovi disoccupati, vittime della crisi in Italia.
Fattori come la presenza massiccia in uno dei settori più colpiti, l’’edilizia, la precarietà di molti rapporti di lavoro e l’’obbligo per legge di iscriversi nei Centri per l’’impiego possono spiegare perché gli immigrati (oggi il 7,5 per cento delle forze lavoro del paese) rappresentino oltre il 12 per cento delle persone in cerca di lavoro nel 2009.

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CHE FINE FANNO I CONTRIBUTI

C’’è però un altro aspetto importante che differenzia i lavoratori stranieri da quelli italiani: il destino dei contributi previdenziali versati.
Il minimo contributivo è costituito da venti anni di versamenti con il sistema retributivo oppure cinque anni nel sistema contributivo. Indubbiamente, quasi tutti gli immigrati rientrano in quest’’ultima tipologia.
D’altra parte, la legge 189/2002, la cosiddetta Bossi-Fini, prevede che il lavoratore immigrato possa ricevere la pensione soltanto al compimento del sessantacinquesimo anno di età e non per anzianità lavorativa.
Se il lavoratore, trascorsi i sei mesi di ricerca di una nuova occupazione, prenderà atto che non c’’è più prospettiva occupazionale in Italia, farà ritorno al paese di origine. E nel caso non abbia lavorato per almeno cinque anni e in assenza di un accordo di reciprocità tra il suo paese e l’’Inps, i contributi da lui versati andranno perduti e resteranno in Italia.
L’’accordo di reciprocità vige all’’interno dell’’Unione Europea, ma è stato sottoscritto con pochi altri paesi al di fuori della Comunità, tra questi il più rilevante è la Tunisia. Non è invece in vigore alcun accordo con molti paesi di origine degli immigrati, come Marocco, Albania, Ucraina, Cina, India e altri.
La conferma si potrà avere solo tra alcuni mesi, con i dati del saldo migratorio con l’’estero, ma appare realistico stimare che almeno 20mila lavoratori, divenuti disoccupati, decidano di fare ritorno al paese di origine. Da questo calcolo sono già esclusi i lavoratori comunitari, quelli provenienti dalla Tunisia, dagli altri paesi minori con accordo di reciprocità e i possessori di carta di soggiorno.
Se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12mila euro lordi l’’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4mila euro l’’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10mila euro.
Se la stima di 20mila lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio.
Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45mila stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali.
Le novità introdotte dalla crisi nel lavoro immigrato sono quindi importanti e hanno ad esempio indotto le organizzazioni sindacali a chiedere una modifica legislativa e il ritorno da sei a dodici mesi per il permesso di attesa occupazione. Richieste finora rimaste inascoltate da parte del governo.
Peraltro, diverse sedi Inps segnalano casi di immigrati che, rientrati nel paese di origine anche dopo parecchi anni di lavoro in Italia, al compimento del sessantacinquesimo anno non hanno presentato domanda di riscossione della pensione, probabilmente per la mancata conoscenza della normativa.
È questo uno dei motivi per i quali i versamenti contributivi non possono essere considerati automaticamente come “salario differito”, quando si ragiona sull’’apporto finanziario degli immigrati. In futuro, occorrerà una verifica puntuale della situazione al compimento dell’’età pensionabile.
* Dirigente Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’’immigrazione

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12 commenti

  1. DINO DONATI

    E’ giusto preoccuparsi per i lavoratori stranieri, ma perchè nessuno ha mai sollevato il problema che ha sempre rioguardato Noi Italiani? Se non raggiungi i 20 anni di anzianità (prima erano 15) i contributi sono persi e nessuno si è, purtroppo, mai scandalizzato. La scandalosa legge 943/86 aveva previsto per i lavoratori extracomunitari che cessavano l’attività lavorativa in Italia e che lasciavano il territorio nazionale, avevano la possibilità di chiedere il rimborso dei contributi versati in loro favore ( da loro stessi nonché dal datore di lavoro) , con la maggiorazione del 5% (pure!), con eccezione del caso in cui avevano maturato il diritto alla pensione. Per fortuna il privilegio è stato abolito, ma ci sono voluti 6 anni, con la legge 189/2002 meglio conosciuta come Legge Fini-Bossi. Ancora una volta dobbiamo parlare di discriminazione, ma questa volta contro noi: forse solo parlando di stranieri si discutono dei problemi degli italiani!

  2. padanus

    Il Sig. Dino Donati mi ha preceduto. Non è giusto, per tutti, che un sistema previdenziale non permetta di ritirare i propri contributi quando cambia la propria condizione sociale/lavorativa. E’ chiaro che non si chiedono rendite millionarie, ma almeno che venga reso quanto versato. Conosco tanti in questa situazione, ma nessuna lancia è mai stata spezzata a loro favore. Sistemi privatistici di altri paesi sono più onesti in questo. Peraltro erano Amato-D’Alema-Prodi che dicevano che gli immigrati avrebbero pagato le nostre pensioni…quindi anche i sinistri dovrebbero essere d’accordo con la legge attuale. Se l’edilizia rallenta, meglio, si risparmia il territorio. Se 20.000 immigrati tornano al loro paese, forse avranno modo di mettere a frutto l’esperienza acquisita a casa loro. D’accordo restituiamo i contributi versati, ne avranno bisogno, ma non solo a loro visto che anche qui non sono tempi facili. Fate due conti e fate una proposta ragionata in questo senso.

  3. salvatore

    Ritengo la gestione dei versamenti a fini pensionistici quasi truffaldina. Zapatero propone a chi se ne vuole andare il rimborso dei versamenti effettuati, anche come incentivo al rientro nel Paese di origine. Per mia esperienza personale e, quindi, metto in allerta tutti quelli inseriti nella cosidetta Gestione Separata, che l’Inps non ha effettuato controllo "di quadratura" tra i versamenti mensili fatti dal sostituto di imposta e il GLA di fine anno ove tali contributi vengono assegnati al singolo assistito. Con la conseguenza che l’Inps ha nei suoi conti (fino al 2005) denari di assistiti inconsapevoli e che non viene fatta nessuna ricerca dalla stessa per rimediare a tali discrepanze. Ditemi voi se un tale comportamento non è truffaldino. A chi andranno tutti quei soldi non ripartiti? Lo chiediamo a Brunetta? O a Epifani, paladino dei lavoratori?

  4. federico

    Ho letto con interesse i punti di "Padanus" e del Sign. Donati, purtuttavia credo che articoli di questo genere siano fondamentali e utili soprattutto per farci notare che gli immigrati non sono quel "peso" di cui molti politici parlano pur di cavalcare l’onda della crisi (e non solo). Vorrei anche aggiungere che non mi pareva così sbagliato permettere "di chiedere il rimborso dei contributi versati in loro favore", di cui parla il suddetto Donati, dato che i "contributi" di quegli italiani – se parliamo, come si fa troppo spesso, in termini di "italiani vs stranieri" – che non raggiungono l’anzianità verranno utilizzati da altri "italiani", nostri parenti, amici, figli. Molto raramente da parenti, amici o figli degli "stranieri". Non mi pare un privilegio.

  5. Snake

    Volevo solo fare da contraltare ai due commenti precedenti (e non perchè sono "sinistro"). In primo luogo, due ingiustizie non si cancellano, ma si sommano: se fosse tutto vero quello che affermano i due lettori, occorrerebbe intervenire anche sulle pensioni di "Noi Italiani". Cosa che in effetti è stata fatta: infatti, per chi ha versato il primo contributo dopo il 31 dicembre 1995, vale il c.d. Sistema Contributivo che da diritto ad una pensione con soli 5 anni di contributi (non 20, che sono il minimo per chi rientra nel Sistema Retributivo). Certo, bisogna aspettare di compiere 65 anni, ma, d’altra parte, non si è costretti a lasciare il paese in caso di perdita del posto di lavoro.

  6. Piero Torazza

    Bell’articolo ed aggiungo per pensiero parallelo anni fa il fondo dirigenti era in forte rosso (eroga prestazioni largamente superiori ai contributi).. così l’hanno fatto confluire nell’Inps di fatto ripianando con i surplus degli impiegati che pagano pure la pensione ai dirigenti… ed ora.. beffa tra le beffe.. agli impiegati taglieranno (inevitabilmente) pure le pensioni…la legge è sempre la stessa degli immigrati… il più debole paga per il più forte.. valeva millenni or sono.. e purtroppo sempre così sarà.

  7. Sergio Briguglio

    Mi sembra che nell’articolo ci sia un’imprecisione: in base ad art. 22, co. 13 D. Lgs. 286/1998, il lavoratore straniero che rimpatri può godere dei diritti previdenziali maturati, al compimento del 65-esimo anno di età, anche in deroga al requisito di cinque anni di contribuzione.

  8. AM

    Le vittime straniere, contrariamente alle vittime italiane, almeno possono rimproverarsi di aver scelto l’Italia come paese meta della loro migrazione (una scelta peraltro non irreversibile).

  9. erio da rimini

    Sul "lavoce" ho letto un articolo che parlava di costi-benefici pari sul fronte immigrazione: quindi qualcosa da cambiare c’è, nel senso che senza prendere parte a discussioni ideologiche del caso, occorrerebbe che i benefici per l’Italia siano superiori, altrimenti…

  10. GA

    Segnalo per completezza che anche numerosi fondi pensione negoziali non riconoscono alcuna prestazione, nè il diritto alla restituzione dei contributi versati dal datore di lavoro, a fronte di una contribuzione inferiore a cinque anni. Credo che il regime dei lavoratori extracomunitari sia stato modellato su una (brutta) disciplina privatistica piuttosto diffusa.

  11. faustino falaschi

    Le riflessioni sui commenti anche se condivisibili fanno pensare che nel futuro l’assistenza ai deboli e la solidarietà non sarà più possibile, in quanto tutti vedono le quote versate e perse, ma nessuno dice quello che viene erogato in assistenza e invalidità senza nessun contributo.

  12. Riccardo

    La norma dell’art. 22 comma 11 del d. lg.vo n. 286 del 1998 (nel testo vigente ratione temporis) deve, pertanto, interpretarsi nel senso che i lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l’attività lavorativa in Italia e lasciano il territorio nazionale hanno facoltà di richiedere la liquidazione dei contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria solo se abbiano cessato l’attività lavorativa ed il trasferimento dal territorio nazionale abbia carattere di definitività e chiude. Con la conseguenza che nessun ostacolo può apprezzarsi, sotto questo aspetto, all’accoglimento della domanda. Né è conseguito l’accoglimento del ricorso con condanna dell’Inps alla restituzione dei contributi.

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