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Marchionne: tante dichiarazioni, una strategia

La Fiat è stata al centro di tanti avvenimenti negli ultimi mesi. Mettere ordine in questa storia fa emergere una tendenza ad una internazionalizzazione sempre più spinta. Il ruolo dell’Italia nei piani di Fiat sarà sempre più limitato. Tanto che non si capisce se i progetti Fabbrica Italia erano solo fumo negli occhi, o il tentativo di far passare delle scelte (legittime) ormai compiute come colpe del sindacato.

Da diversi mesi Fiat è protagonista di una serie di azioni e annunci, sui quali potrebbe essere utile mettere ordine. Dopo l’’acquisizione di una quota significativa in Chrysler e il tentativo di acquisire Opel (tentativo fallito anche perché alla fine Opel non è stata venduta), in aprile è stato lanciato il programma Fabbrica Italia, un piano ambizioso fatto di ampliamenti della capacità produttiva, della chiusura di Termini Imerese, del potenziamento di Pomigliano (riportando in Italia produzioni oggi effettuate in Polonia). L’’inizio dell’’attuazione di questo piano –(la diatriba su Pomigliano, il referendum ecc.) – ha già avuto luogo, sollevando i problemi che conosciamo. Poi, l’’annuncio della creazione e quotazione separata di due imprese (da una parte l’’auto, dall’’altra il resto) e infine l’’annuncio dello spostamento di produzioni da Mirafiori alla Serbia.
La sola elencazione degli avvenimenti verificatisi in questi pochi mesi è così lunga da lasciare perplessi. Che esista una strategia volta all’’espansione è evidente e comprensibile. Ma le forme che questa strategia assume in Europa lasciano perplessi. E l’’attuazione di questa strategia, ancora di più.

FABBRICA ITALIA: COSA C’’È OLTRE GLI ANNUNCI?

In particolare si fatica a ravvisare una coerenza nei progetti attorno all’’etichetta Fabbrica Italia. Fin dall’’inizio aveva destato dubbi l’idea di espandere la capacità produttiva in un settore nel quale da parecchi anni si denuncia l’’eccesso di capacità produttiva, almeno in Europa. Acquisire Opel poteva avere un senso, creare nuovi impianti, soprattutto in Italia, meno.
Riguardo all’’Italia gli elementi di dubbio erano ancora maggiori. Chiudere Termini forse è inevitabile. La posizione dell’’impianto è infelice. L’’impianto è probabilmente troppo piccolo per potere conseguire economie di scala rilevanti. Nonostante sforzi di decenni, attorno a Termini Imerese resta una specie di deserto nel quale le industrie locali non sono fiorite come si sperava. Espandere Pomigliano è parsa invece da subito una scelta molto coraggiosa. Tanto coraggiosa da sembrare quasi velleitaria.
Se proprio vogliamo espandere la capacità produttiva, perché farlo in Italia quando esistono in giro per il continente diverse alternative caratterizzate da costi del lavoro minori, possibilità di sviluppo infrastrutturale più favorevoli, maggiori capacità dei governi locali di incentivare gli investimenti? Sembrava un gesto di vera responsabilità sociale rispetto all’’Italia, paese che aveva dato tanto alla Fiat (ma, ricordiamo, al quale comunque la stessa Fiat aveva dato tanto: difficile fare i conti in modo preciso).
Ma Fiat ha veramente intenzione di effettuare questo investimento? Visto come ha gestito la partita, i dubbi credo siano legittimi. Le proposte ai sindacati come contropartita erano tutto sommato ragionevoli (condividiamo le opinioni già espresse da Pietro Ichino) ma la mancanza di un accordo ha aperto scenari complessi. Anche il referendum non era uno strumento molto utile. Perché il problema di Fiat non era la maggioranza, ma convincere la quasi totalità dei lavoratori a seguirla. Solo a queste condizioni avrebbe avuto una speranza di dire basta all’’assenteismo. Non una certezza, ma almeno una speranza.
La Fiom ha detto di no al contratto, e molti dipendenti con lei. Ha detto di no ai principi del contratto, e a questo punto l’’unica speranza della Fiat sarebbe stata -– una volta subito il no di principio –- di cercare invece l’’accordo con Fiom sulle cose concrete. Da lì a poco, si sono invece avuti alcuni comportamenti di insolita durezza proprio contro sindacalisti Fiom in altri impianti: la cosa giusta da fare se si voleva rompere con Fiom e essere “costretti” a rinunciare al progetto di Pomigliano, non certo se il fine era invece l’’accordo.  Sarò lieto di essere sorpreso nel futuro, ma a oggi le probabilità che il rilancio di Pomgliano avvenga non sono molte, a meno che non intervengano masse di denaro pubblico.
È  poi difficile da inquadrare in Fabbrica Italia anche l’’idea di spostare produzioni dal Piemonte alla Serbia. Ma se mettiamo questo insieme alla chiusura di Termini Imerese e al probabile fallimento di Pomigliano, cosa resta dell’’intero progetto? Parrebbe nulla. Era una finzione? Fatichiamo a crederlo, ma le spiegazioni alternative non sono tante.

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FIAT AUTO SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE. ABITUIAMOCI.

In parallelo, lo spin off di Fiat auto, che da qui a pochi mesi acquisirà lo status di impresa separata e indipendente. Il senso finanziario della cosa è evidente: le imprese troppo complesse non piacciono ai mercati, che le vedono come dei “portafogli” di titoli. Ma ogni investitore preferisce decidere lui stesso cosa mettere nel suo portafoglio; quindi, di norma, meglio avere titoli più identificabili. Ma dal punto di vista industriale?
Sotto questo profilo la separazione può servire o per consentire alla famiglia Agnelli di uscire dall’’auto, o per attirare nuovi partner interessati all’’auto (ma non al resto). Dopo lo sforzo e la scommessa su Chrysler, la prima opzione sembra poco logica, mentre la seconda lo è di più. Ma, attenzione, questo ragionevolmente significa un baricentro dell’’impresa sempre più lontano dall’’Italia. Sia come produzioni (i mercati in maggiore espansione non sono certo quelli nostrani) sia come centro di comando (a meno che i nuovi partner siano italiani, ma non si vede chi).
In questa chiave, il progetto Fabbrica Italia ha sempre meno significato. Investire su Pomigliano è difficile da giustificare. L’’investimento in Serbia, con tanto denaro pubblico che l’’Italia non può mettere sul tavolo, ha invece molto più senso. Questa chiave di lettura avvalora il sospetto che il progetto di ampliare le produzioni in Italia (e la sua gestione) fossero solo un modo per poter dire “ci abbiamo provato, ma i sindacati non ci hanno voluto”.
Non sarebbe un finale che fa bene all’’Italia. Ma ci dobbiamo abituare all’’idea che se vogliamo che un’’impresa (anche se legalmente italiana) investa in Italia e non altrove occorre che questa impresa trovi qui le condizioni più favorevoli. Aiuti di stato, faremo sempre più fatica a darne sia perché in cassa lo Stato ha poco, sia perché l’’Europa è sempre più esigente a riguardo. Se le condizioni infrastrutturali, le pastoie burocratiche e le relazioni industriali restassero quelle che sono, forse non sarebbe così strano se Fiat se ne andasse. Ma non sarebbe meglio se lo dicesse chiaramente, invece di investire in costosi spot sul futuro dell’’Italia?

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La risposta ai commenti

13 commenti

  1. nick mari

    Vivo e lavoro in Germania da 39 anni e da 38 faccio parte del sindacato IGM, Sindacato dei metalmeccanici tedeschi. Poiché sono di origine italiana seguo molto ció che succede in Italia e posso dire di vedere il tutto da una perspettiva differente di quella dell’italiano medio. Per me, per esempio, é inconcepibile il comportamento dei sindacalisti della Fiom e della Ggil. Questi hanno solo richieste verso i "Padroni" ma non danno nessuna garanzia. In Germania con un comportamento del genere verrebbero stigmatizzati come traditori della patria. A tutti gli operai che seguono questa linea Fiom consiglio di venire a lavorare e vivere in Germania, sono sicuro che nel periodo di 6 mesi tornerebbero in Italia ed accetterebbero non solo ció che gli viene chiesto dalla Fiat, ma molto di piú. A tutti gli italiani in Italia, sindacalisti, politici e non, dico: perché la VW, Audi, BMW, Mercedes, Ford, GM, Toyota, Hyundai, Renault, Pegeuot e cosi via non fabbricano nemmeno un’automobile in Italia? Eppure hanno incassato il 70% degli aiuti all’auto negli ultimi 2 anni. È solo perché non hanno fiducia nell’operaio, nel Sindacato e nemmeno nella societá Italiana. Mario M.

  2. emmebi

    Rammento a tutti la storia di Melfi (che nessuno, principalmente i sindacati, ci riportano alla memoria, perchè?). La Fiat ha ottenuto di costruire quello stabilimento (polo) con contratti di lavoro diversi da quelli nazionali (aumento saturazione impianti) grazie al solito ricatto: allora favoleggiava di aprire uno stabilimento in Argentina. Oggi, in Serbia. Scarpa nel suo articolo sfiora il punto, ma se lo lascia scappare: "a meno che arrivi denaro pubblico"… e dalle varie dichiarazioni di sindacati e governo, Fiat è a buon punto per ottenere quello che le serve, alle sue condizioni, qui in Italia, altrimenti scappa nella bombardata Serbia. E perchè poi la produzione polacca verrebbe trasferita in Italia? Nessuno ha chiesto una spiegazione in merito (localismo proletario?) e nessuno si è posto il problema. Anch’io non lo capisco, ma certo non è per il benessere dell’Italia. E se poi la produzione rimanesse dove è? Infine, sulla globalizzazione della fiat: possibile fino quando si trovano governi da mungere; il management Fiat, a parte i top che sono sempre in aereo, è sempre di quello che resta in ufficio sino a quando vi si trattiene il capo. Grazie per avermi ospitato

  3. luigi zoppoli

    Non penso che Marchionne voglia fare spot. Essendo realtà gli impianti italiani, il tentativo è quello di renderne l’uso compatibile e profittevole in relazione alle condizioni del mercato mondiale. Circa lo spin-off non mi è chiaro perchè ad opinione del Prof. Scarpa non dovrebbe essere giustificato da un punto di vista industriale e mi piacerebbe, mi interesserebbe capirlo.

  4. Edmont Dantes

    E’ l’esatto contrario, la Fiat ha l’Italia come uno mercato di sbocco, per cui la Fiat con una bella capriola fa credere di abbandonare il paese solo per battere cassa a Pantalone. Se le auto sono vendute essenzialmente nel nostro paese, una volta fatte devono tornare e i costi salgono. Il cambio nel caso di paesi non Euro rappresenta un rischio per cui, con le ipotesi di Turchia prima e Serbia poi si tengono buoni Polonia e Italia che sono gli unici veri paesi credibili di produzione. La Fiat dovrebbe preoccuparsi di piu’ di cosa produce e non di dove lo produce se vuole vendere auto.

  5. Gildo Matera

    L’attualità del caso Fiat e le tante righe che il nostro modello di relazioni industriali mostra dovrebbe far comprendere che è ora di voltare pagine. Ben vengano le provocazioni di Marchionne, ma con un sistema contrattuale come quello che in 4 0anni si è stratificato in Italia non si può andare avanti. Se tutte le aziende di Federmeccanica, federchimica, Ance, Anie ecc. sostenessero l’azione di Fiat si renderebbe evidente a tutti che la logica dei veti contrattuali è la causa di un sistema produttivo incapace di attrarre investimenti esteri e di tutelare quelli indigeni.

  6. Paolo Rebaudengo

    La Fiat in Italia non ha interlocutori seri a livello governativo (il governo ha persino paura del concetto di politica industriale), ne ha troppi, e divisi, a livello sindacale. Anche a livello europeo manca una politica per l’auto e per la ricerca nel campo dei trasporti "sostenibili" e per l’energia. Francia e Germania si sono mossi autonomamente, con sostegni alla propria industria e alla ricerca, fingendo di ignorare che siamo in presenza di una sovra-capacità produttiva complessiva altissima. La Fiat si deve muovere da sola e sta commettendo diversi errori.

  7. Giuseppe

    Penso che Marchionne voglia avvalersi per le auto prodotte, a fini di marketing, del titolo "made in Italy" molto apprezzato nel mondo, soprattutto nei mercati emergenti. Per questo è costretto a lasciare una parte significativa della produzione in Italia, e vuole farlo nel modo più conveniente. Ma la gran parte della produzione verrà inesorabilmente delocalizzata (le condizioni offerte dalla Serbia sono irresistibili), ma questo è indispensabile alla sopravvivenza stessa della Fiat, e quindi al mantenimento di posti di lavoro in Italia. Nel mercato globale, soprattutto per un prodotto "maturo" come l’auto, bisogna per forza ragionare in modo globale, Fiom inclusa, per evitare l’estinzione. Ricordo che col fallimento della Mivar da alcuni anni in Italia non si produce più un televisore.

  8. Franco Righi

    Credo che dai commenti sin’ora scritti sia molto chiaro qual’è il vero problema della Fiat (e non solo) ed è una parola unica: sindacati. Con queste persone che vivono di ideologie sorpassate dalla storia cercando di mettere gli operai contro i padroni non si va da nessuna parte. Sono convinto che la risposta al problema sia esattamente quello che sta facendo Marchionne: abolire il Ccnl e aggiungo, anziché dare la possibilità di assumere facilmente (interinale) sfruttando ed umiliando intere generazioni, debba essere facile licenziare. Chi ha competenze e voglia di lavorare non avrà nessun problema a trovare un altro posto di lavoro proprio come succede in tutti i paesi anglosassoni dove i livelli di disoccupazione sono fisiologici (attuale recessione a parte). E concludo però con una nota di pessimismo. Il danno fatto dai sindacati in tutti questi anni di assurde lotte è ormai insanabile, l’Italia è già un paese dove e troppo difficile lavorare per gli stessi imprenditori italiani, figuriamoci per gli stranieri che hanno il mondo intero tra cui scegliere!

  9. elf

    Mi sembra strano che la fiat voglia riportare in italia una parte della produzione che effettua in Polonia, e che al contempo investa in Serbia. Ho l’impressione che queste scelte più che dettate da strategie industriali siano legate ai cospicui aiuti di stato che le grandi multinazionali ricevono nei paesi in via di sviluppo e quindi si spostano le produzioni dove ci sono i contributi pubblici e dove lo stato chiude gli occhi sui diritti dei lavoratori, altro che libero mercato, capitalismo ecc…

  10. luca b.

    Credo che a molti sfugga un piccolo dettaglio: il piano fabbrica italia è stato annunciato nel 2010, ovvero prima dell’attuale crisi e mentre si stava uscendo dalla crisi dei sub prime. È legittimo per una multinazionale adeguare i propri piani industriali di fronte alla più grave crisi dal dopoguerra? un altro dettaglio: fiat ha acquisito l’impianto di Grugliasco dove produrrà la prossima generazione di Maserati quattroporte e una futura berlina di segmento E. Senza questo investimento tale impianto sarebbe oggi chiuso e gli operai a casa. Il disimpegno di fiat dall’Italia è solo negli occhi di ideologizzati sindacalisti che credono sia ancora il ’68. Mentre discutiamo è in atto un ammodernamento delle linee di Mirafiori che dovrà produrre suv piccoli da esportare anche negli usa, contrastando in tal modo il problema della sovracapacità produttiva europea e italiana. Marchionne non chiede la luna, ma un sistema di relazioni industriali adeguate al 2012, accompagnate magari da una politica industriale che manca da decenni.

  11. Marino

    cioè, la Fiom aveva visto giusto, il piano era una bufala propagandistica e secondo alcuni interventi è pure colpa loro? Massì, dai, ripristiniamo la schiavitù (che era altamente produttiva, vedi Time on the Cross di Fogel), basta con le obsolete ideologie marxiste. Torniamo ad Aristotele: alcuni (tipo i metalmeccanici) sono nati schiavi per natura … Aveva capito tutto un disegnatore satirico: http://www.ilpost.it/makkox/2012/07/26/fiat-marchionne-volkswagen/

  12. Giovanni

    Che il piano fabbrica Italia fosse un’utopia si poteva capire facilmente, visto che si veniva da anni di mercato drogato dagli incentivi, per cui chi voleva cambiare l’auto l’aveva già fatto, e che avvisaglie di crisi erano già all’orizzonte. Mi chiedo che senso abbia far vivacchiare Mirafiori e aprire in Serbia. Le macchine colà prodotte si venderanno in Europa, vista la scarsa attrattività del marchio fuori dalle frontiere? Si venderanno in Italia, visto che molti la vedranno come una straniera? Con l’ottimismo della volontà, lo spero.

  13. martino

    Non capisco tutto questo astio verso Fiat e Marchionne. Per me basta guardare la realtà: quante case automobilistiche sono venute a produrre in Italia? Ma non abbiamo i migliori operai, che lavorano a ritmi forsennati e vengono pagati un tozzo di pane? E poi: guardiamo ai numeri del mercato dell’auto! Oltre la crisi anche il governo con benzina alle stelle, super bollo, caccia alle streghe contro gli evasori, prossime aliquote di detraibilità auto aziendali semplicemente ridicole, ci ha messo del suo. Completiamo con incredibile esterofilia dei clienti italiani ( talvolta al limite dell’assuro). Cosa dovrebbe fare la Fiat? Investire in Italia? Noi non abbiamo un sistema paese che permetta di essere competitivi e stiamo perdendo l’appeal di essere un mercato di sbocco, per cui è logico che alcune aziende si concentrino su altri paesi. Per Fiat meglio gli States o il sud America!

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