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Parole d’estate

L’estate 2010 sarà ricordata per le tante parole spese sulla partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Ne hanno dibattuto ministri e banchieri, gli stessi che non hanno mai fatto niente per metterla in pratica. Ma non serve una legge perché già ora in Italia non c’è nessun impedimento a rendere i dipendenti partecipi dei profitti aziendali. Meglio sarebbe ridurre il carico fiscale che grava sul lavoro spostandolo sulle rendite, a partire da quelle finanziarie. Non farà piacere ai banchieri, ma farà aumentare la partecipazione al mercato del lavoro

Agosto è, da sempre, il mese delle parole in libertà nel Belpaese. I giornali sono avidi di spunti da offrire a lettori che non hanno voglia o modo di approfondire, di chiedersi chi, come e perché. E poi ci sono tante tribune nei luoghi di villeggiatura per chi vuole cimentare le proprie arti oratorie. Gli applausi sono garantiti. Il pubblico è in vacanza, cerca diversivi ed è di bocca buona.

TUTTI PAZZI PER LA PARTECIPAZIONE AGLI UTILI DI IMPRESA

Questo agosto è stata di moda la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Ne hanno parlato in quel di Rimini, tra gli altri, Cesare Geronzi (“vanno sperimentate forme articolate di partecipazione ai risultati aziendali”), Maurizio Sacconi (“Giusto che i lavoratori acquisiscano il diritto a condividere i risultati delle loro fatiche anche in termini di salario collegato ai risultati dell’’attività aziendale”) e, infine, Giulio Tremonti (“la politica di combinazione tra capitale e lavoro va sviluppata con una remunerazione calcolata sugli utili delle imprese”).
Belle parole. Ma cosa vorranno dire? Strano che nessun sul palco abbia chiesto chiarimenti agli illustri relatori. Peccato anche perché forse la folla adriatica avrebbe apprezzato moderatori che incalzavano gli ospiti invece di limitarsi a ossequiarli. Non possiamo allora che cercare di carpire il significato di queste parole dai comportamenti di chi le ha pronunciate. Dopotutto, non c’’è nulla, proprio nulla, che impedisca loro di metterle in pratica. Nel loro piccolo o grande che sia.
Cesare Geronzi è stato, in sequenza, direttore generale della Cassa di Risparmio di Roma, poi Banca di Roma e Capitalia, presidente di Mediobanca e di Assicurazioni Generali. Queste aziende hanno conseguito profitti ingenti durante la sua reggenza. Ma non ci risulta che Geronzi abbia reso i suoi dipendenti “partecipi dei risultati aziendali”. Forse intendeva rendere partecipi gli stakeholders, le famiglie che avevano messo i loro risparmi in queste banche. In effetti, la Banca di Roma ha indotto molte di loro a comprare azioni e obbligazioni Cirio e Parmalat, partecipando attivamente al crac di queste società. Una partecipazione utile, ma per qualcun altro.
Giulio Tremonti è stato ministro dell’’Economa (per otto degli ultimi dieci anni e in tre degli ultimi quattro governi) e Maurizio Sacconi ministro del Lavoro (da due anni, prima per cinque anni è stato sottosegretario). Da molto tempo hanno annunciato una legge sulla partecipazione agli utili dei lavoratori. L’’ultima volta in cui avevano dichiarato che sarebbe stata “legge entro l’’anno” era esattamente un anno fa. Da allora non se ne è saputo più nulla. C’’era anche un testo bi-partisan elaborato dalla commissione Lavoro del Senato di cui si è perso traccia. I contribuenti italiani (tra cui soprattutto ci sono lavoratori dipendenti) hanno comunque nel frattempo partecipato alle perdite di Alitalia, accollandosi circa 3 miliardi di debiti della “bad company”.
Non che sia andata meglio ai dipendenti degli studi professionali. Forse qualcuno si era illuso leggendo del divieto per gli avvocati di costituirsi in società di capitali, una misura che verrà presto estesa a tutti gli ordini professionali, secondo il Guardasigilli Alfano. Forse, avrà pensato, serve affinché gli studi spartiscano gli utili coi loro dipendenti, anziché con gli azionisti. Purtroppo, bene che ne sia consapevole, serve solo a escludere la concorrenza, quei dipendenti che aspirano, prima o poi, a metter su il loro studio professionale. Avranno, purtroppo, vita ancora più dura: ritorno alle tariffe minime inderogabili, divieto di pubblicità, esami di ingresso ancora più difficili. Invece della partecipazione agli utili si sta promuovendo la cooptazione negli ordini da parte di chi, un posto al sole, ce l’’ha già.
Al posto delle promesse liberalizzazioni ci sono quindi solo le parole in libertà. Ne faremmo volentieri a meno. E francamente faremmo a meno anche di una legge sempre promessa e mai realizzata sulla partecipazione agli utili dei lavoratori. Il motivo è che non c’’è nessun legittimo impedimento a rendere i propri dipendenti partecipi dei profitti aziendali in Italia, anziché limitarsi a farli partecipare, spesso inconsapevolmente, ai fallimenti societari. Ma una cosa invece sì, ci sentiamo di chiederla a chi continua a prendere in giro milioni di lavoratori. Riducete il carico fiscale che grava sul lavoro, riequilibrando il gettito, in modo tale da spostarlo dal lavoro alle rendite, a partire da quelle finanziarie. Non farà piacere ai banchieri, ma farà aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, rivelandosi utile nel far aumentare la ricchezza di tutti.

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La risposta ai commenti

15 commenti

  1. Carlo Cipiciani

    Purtroppo nel nostro paese il "cane da guardia" dell’informazione dorme, l’opposizione sonnecchia, la classe dirigente semplicemente non c’è e l’opinione pubblica è superficiale o distratta. E il Paese va a ramengo. Ad un articolo del genere non c’è molto altro da aggiungere se non: bravo. Un caro saluto

  2. Brunello Livorno

    Condivido le osservazioni di Boeri che invita alla concretezza,a partire dallo spostamento del carico da novanta del fisco dal lavoro alla rendita. Parlare di partecipazione agli utili dei lavoratori in un quadro generale di crisi e di incertezza di mantenimento del lavoro appare francamente surreale. Chi sostiene la nostra arretratezza culturale rispetto alla Germania e alla presenza del sindacato cogestore nelle imprese, con funzioni per altro ben delimitate, non ha idea delle dimensioni medie delle imprese tedesche e di quelle italiane. Parole in libertà, per l’appunto.

  3. Luigi Calabrone

    D’accordo sulla parte critica e sull’opportunità di ridurre la tassazione sul lavoro. Ma la proposta manca. Non dice quali rendite tassare, e come. Ciò, in un paese, come il nostro, in cui, almeno le rendite finanziarie, sono oggi quantitativamente modeste (interessi su debito pubblico, dividendi; dove ci sono consistenti dividendi, per es. nelle utilities, il Tesoro ne ha disperato bisogno) ed è sempre latente il rischio che il debito pubblico sia declassato, producendo una sindrome greca, che il tanto criticato (in particolare da Lei) Tremonti, almeno, è riuscito fino ad oggi ad evitare, andando anche contro la sua stessa parte politica. Mi meraviglio che anche da parte Sua non venga dichiarato apertamente che finchè non si ridurrà la spesa in modo significativo mediante abolizione di enti inutili (es. Provincie, ACI, ecc.), abolizione di enormi e sempre crescenti sperperi e furti (Sanità pubblica, rappresentanti politici strapagati ed in eccesso) ecc., tutti gli aggiustamenti fiscali potranno essere solo di facciata e di effetti marginali, come, del resto, è già stato detto più volte, su questo sito, nelle varie discussioni in tema di fisco del primo semestre di quest’anno.

  4. roberto fiacchi

    D’accordo con Boeri. In Italia, soprattutto, troviamo managers, banchieri etc… disponibili a dare, a parole, e, forse, se i soldi sono di altri. Le rendite finanziarie abbiamo visto che si sono dimostrate la parte peggiore e determinante delle attuali crisi; ovviamente sono una "lobby" potente essendo il denaro nella nostra attuale struttura sociale l’elemento decisivo. Perlomeno, le rendite finanziare vengano tassate a dovere! Il problema del lavoro è che non c’è a sufficienza e dove c’è viene sempre di più utilizzato per modificare regole di dignità che tante lotte e sacrifici hanno fatto fare alle generazioni passate. Penso infatti che dietro ai problemi sul tappeto ci siano strategie ben precise per ritornare ad uno status quo, in cui i lavoratori "si cavino di nuovo il cappello di fronte al padrone": altro che partecipazione agli utili; casomai una patecipazione ai debiti, questo sì! I Sindacati, certo, devono stare con i piedi per terra, quindi, non c’è forse momento più importante come l’attuale per lottare in modo deciso e forte? In tal modo si difenderanno i diritti fondamentali dei lavoratori e si aiuterà una vera ripresa economica e sociale.

  5. PDC

    In effetti la partecipazione agli utili è un vantaggio più apparente che reale, per i dipendenti è preferibile che gli utili siano reinvestiti nell’impresa piuttosto che distribuiti a “stakeholders” e “shareholders”. Ottimo articolo.

  6. Faustino Falaschi

    IL presidente Obama nell’ultimo intervento è stato chiaro, se l’america dopo gli anni della guerra e le spese militari sostenute, non sposta un po’ di risorse dall’apparato militare alla ricostruzione di una classe media distrutta dalla precedente amministrazzione dalla crisi non ne usciamo. Sono anche d’accordo per un riequlibrio della pressione fiscale verso le rendite ed il patrimonio.

  7. luigi zoppoli

    E’ da troppo tempo che menzogne, balle ed idiozie sostituiscono ogni buon senso. D’estate il solleone peggiora le dosi. Ma perchè biognerebbe mettere in piedi la partecipazioni agli utili e non, ad esempio, far acquistare magari a prezzo agevolato azioni dell’azienda dove si lavora? Posso capire perfino il finanziare riduzioni fiscali sul lavoro con tassazione sulle rendite finanziarie anche se non sono sicuro se il gettito aggiuntivo sarebbe sufficiente. Ma perchè non ridurre la spesa? Perchè continuare con finanziarie che tagliano il tendenziale della spesa così codificando incrementi di spese e di entrate per coprire maggiori spese? Davvero il mettere in campo la partecipazione agli utili è robaccia utile solo a confondere le idee, fare demagogia peronista in cui il governo è maestro, evitando di guardare i problemi che la realtà si incaricherà di sbatterci in faccia.

  8. PierGiorgio

    Che Tremonti abbia preservato i conti pubblici italiani è una idea che sta nell’immaginario dei commentatori vittime della narrativa dei TG; i numeri dicono altro. Dal 1994 ad oggi, ogni volta che Tremonti è andato al governo il debito pubblico ha ricominciato a salire, ogni volta che se n’è andato il debito/pil è sceso. I numeri dicono che il bilancio pubblico è stato salvato da Ciampi (1993, 1997-2000) e Prodi (1997-2000 e 2006-07: manovre contrastate da Tremonti!). Tremonti ha fatto la cicala negli anni buoni, e poi ha fatto una politica restrittiva (cosa diversa dal riuscire a ridurre il debito) nel momento peggiore: durante la più grande crisi economica degli ultimi 70 anni. Chi sa di economia sa che fare la cicala negli anni buoni non aiuta l’economia reale, ma: le cricche; e l’inflazione (da cui la perdita di competitività italiana). Fare politiche restrittive negli anni "cattivi" deprime l’economia reale e le entrate fiscali; risultato: nel 2009 il debito italiano è salito da 107 a 117% del PIL. 10 punti %! Si dirà: più o meno come gli altri paesi (che però hanno fatto, più o meno tutti, manovre di sostegno): sì, ma lì almeno l’economia ha tenuto meglio.

  9. umberto (anziano purtroppo)

    Sig Boeri, tutte le volte che leggo i suoi interventi resto ammirato per la chiarezza delle sue esposizioni ad ogni tematica, sempre onesta, mai faziosa, mai di parte. Vorrei, nei miei sogni essere proprietario di una rete televisiva, per poter metterla a sua disposizione. Grazie

  10. luigi saccavini

    Partecipazione dei dipendenti agli utili. Temo si finisca con lo sterilizzare un concetto più valido di relazioni industriali quale quello tedesco che vede una forma di co-partecipazione alla gestione dell’impresa. Strumento che ha generato un buon livello di consenso alle scelte dell’azienda; ridotto la conflittualità e aumentato il senso di appartenenza. Strumento che credo veda tuttora la contrarietà delle organizzazioni imprenditoriali (e anche sindacali) italiane . La proposta della partecipazione agli utili, in un periodo di vacche magre che si prospetta lungo, sembra una scappatoia: proporre uno scambio fra attesa sui risultati e maggiore condivisione e senso di appartenenza quando bisogna fare sacrifici. Tenendo chiuso l’accesso alle decisioni e alle scelte della azienda; tenendone fuori i dipendenti. Forse un dibattito approfondito sul tema della corresponsabilizzazione alle decisioni aziendali, anche non escludendo l’ipotesi di una partecipazione ai risultati, si rende necessario. Soprattutto le organizzazioni datoriali devono elaborare e presentare proposte: nell’interesse del Paese e anche loro.

  11. Buracchi

    Con BOT allo zero virgola percento e una borsa italiana che è più bassa di quanto non fosse dieci anni fa le rendite finanziarie in Italia sono una fantasia di Bertinotti e Boeri con nessuna parentela, nemmeno vaga, con il mondo reale. Il rendimento medio del risparmio italiano non riesce nemmeno a tenere il passo dell’inflazione. Ci sono, piuttosto, tantissime persone che vivono con rendite da affitti. Forse un numero non dissimile dai 2.100.000 disoccupati che abbiamo in Italia. Difficile non notare come gli sgravi fiscali stiano arrivando sulle rendite da affitti e nulla vada a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro.

  12. paolo stella

    Sembra che il tabù culturale della partecipazione dei lavoratori agli utili cada proprio quando gli utili aziendali languono e i posti di lavoro si riducono, mentre le delocalizzazioni crescono. A mio avviso, anche se rimane opportuno fidelizzare maggiormente il dipendente all’azienda nella quale opera, è maggiormente importante tassare meno il lavoro ed incentivarne la stabilità, al pari di come la crescente flessibilità dello stesso reclama ammortizzatori sociali adeguati a compensare la discontinuità reddituale. Altra misura che giovi all’economia, per brevità di pensiero, potrebbe essere quella di un impegno a formare nuovi lavoratori autonomi, sia nelle attività più richieste che nei servizi più qualificati e innovativi. La Scuola statale e la formazione regionale potrebbero dare un significativo contributo in questa direzione: orientamento, corsi qualificati e stage aziendali. Sempre in relazione all’economia reale, mi sembrano opportune quelle liberalizzazioni e quelle rimozioni di monopoli, rendite di posizione e consimili che hanno penalizzato la produzione del reddito, determinato ingiusti privilegi sociali e, soprattutto, depresso la spesa globale per consumi.

  13. roberto corsini

    Per anni (1990-2005) come socio e amministratore di una piccola azienda (25 dipendenti) ho favorito la distribuzione di premi ai dipendenti. La valutazione aveva certamente carattere padronale (ci riunivamo tra soci per decidere), ma raramente qualche dipendente ha avuto motivo di lamentarsi. Si teneva conto dell’andamento dell’annata,del ruolo e dei meriti del dipendente. Il premio veniva riconosciuto in busta (con qualche rammarico per le trattenute) e si aggiungeva ai normali stipendi dei diversi livelli comprensivi o meno di superminimi. Dove sta pertanto la novità? Non serve alcuna legge per riconoscere quattrini ai dipendenti, tutt’al più qualche sgravio fiscale.

  14. sandro

    Mai attuato, il codice civile (artt. 2101, 2102 e 2554) prevede il diritto dei prestatori di lavoro alla partecipazione agli utili d’impresa, salvo diversa disposizione interna.

  15. Franco

    Non c’è bisogno di grandi analisi per sapere che nel sistema capitalistico i lavoratori sono sempre partecipi solo dei passivi di impresa sulla propria pelle (cassa integrazione, contratti di solidarietà, esuberi, fallimenti, licenziamenti, etc. etc.) E’ chiaro anche che ogni …parola d’estate nasconde una mazzata d’inverno: così come i salari potranno aumentare per gli utili così dovranno diminuire per i passivi – e questa volta senza ammortizzatori-. Importante e decisivo per le imprese resterà comunque il diniego all’accesso dei lavoratori ai piani e progetti d’imprersa e la lotta contro i contratti collettivi nazionali di categoria, sorda e subdola, partirà dall’asserita necessità di una nuova regolamentazione di politica industriale secondo le nuove realtà ed esigenze della moderna economia: ma siccome le esigenze e le realtà del lavoratore sono sempre le stesse e i cambiamenti sono sempre stati fatti e vengono fatti dalla padronanza sarà bene, una volta per tutte, dire che o si aprono le stanze dei bottoni ai lavoratori o le imprese dovranno prestare fideiussione per il pagamento dei salari.

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