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La risposta ai commenti

Ringraziamo tutti i lettori per i loro commenti.
L’’idea che ha ci ha spinto a scrivere l’’articolo era quella di spostare il dibattito dal potere d’acquisto dei salari alla causa principale dei bassi salari e del loro potere d’acquisto: la produttività del lavoro. Lo spunto ci è stato fornito dallo studio pubblicato da Ires-Cgil lo scorso 27 settembre. Non era, e non è, nostra intenzione quella di attaccare la Cgil per partito preso (come ipotizzato da qualche lettore), ma piuttosto volevamo mostrare che, utilizzando i dati Istat cioè quegli stessi dati utilizzati dall’’Ires prima della loro correzione per i lavoratori irregolari, viene fuori un risultato diverso da quello dell’’Ires, cioè che il salario dei lavoratori italiani era aumentato (e non diminuito) in termini reali tra il 2000 e il 2009.
L’’Ires, nei suoi complessi calcoli, tiene in considerazione la componente irregolare di lavoro nel calcolare i salari. Noi non lo facciamo. In questo modo possiamo coerentemente parlare dei dati sulla produttività (che allo stesso modo escludono la componente irregolare) e soprattutto perché l’’Istat non fornisce più la serie aggiornata dei dati corretti per la componente irregolare. Nei suoi calcoli, inoltre, l’’Ires calcola il drenaggio fiscale (noi non lo abbiamo fatto). Può valer la pena di ricordare che il drenaggio fiscale non misura l’’aumento delle imposte in generale, ma solo quell’’aumento delle tasse che deriva dall’’inflazione in un sistema di tassazione progressiva. L’’inflazione infatti “gonfia” i nostri redditi in euro (non abbastanza secondo alcuni dei nostri lettori, ma lo fa), il che ci fa scattare automaticamente su uno scaglione di reddito più alto senza che siamo diventati davvero più ricchi. L’’aumento delle entrate fiscali derivante da queste effetto “palloncino” è il drenaggio fiscale.
La produttività del lavoro in aggregato si calcola, in modo inevitabilmente un po’’ impreciso, dividendo un indicatore di prodotto in termini monetari (come il valore aggiunto, cioè la somma dei redditi da lavoro e di quelli da capitale d’’impresa) per un indicatore di impiego del lavoro, che può essere il numero delle ore lavorate, il numero degli addetti o il numero delle ULA. L’’utilizzo delle ULA (Unità di Lavorativa equivalente a tempo pieno) permette di prendere in considerazione una misura di lavoro standard depurandola per le componenti di lavoro atipico standardizzando il numero di ore lavorate. Si tratta quindi di un “addetto medio” che prende in considerazione la creazione di posti di lavoro precari negli ultimi anni uniformando lavoratori a tempo indeterminato a tempo pieno, part-time e atipici.
Molti lettori hanno criticato l’’utilizzo dell’’indice dei prezzi al consumo Istat per calcolare il salario reale. Qualche anno fa uno di noi (FD, in un commento su questo sito intitolato “Io sto con le casalinghe”) dichiarava di condividere la percezione dei lavoratori dipendenti medi e delle loro famiglie che, in corrispondenza dell’’avvento dell’’euro, si erano sentiti più poveri. Ora siamo un po’’ più cauti. E’ probabile e legittimo che molte delle famiglie – quando vanno al ristorante e a fare la spesa al supermercato – abbiano in questi anni percepito un aumento dei prezzi maggiore di quello rilevato dall’’Istat. Ma è anche vero che i consumi su cui viene fatto questo ragionamento riguardano gli acquisti che l’’Istat chiama “ad alta frequenza”. Ci sono però anche tanti beni che compriamo meno spesso (ad esempio, i prodotti dell’’elettronica di consumo) i cui prezzi sono diminuiti notevolmente in questi anni e che l’’Istat contabilizza correttamente nell’’indice dei prezzi del consumo. Quando pensiamo all’’inflazione dovremmo guardare all’’intero paniere di beni, non solo a quelli che siamo più abituati a comprare. Il paniere Istat coglie questo fenomeno: rileva il prezzo di molte migliaia di beni, rivede frequentemente la composizione del paniere – anzi dei vari panieri – che usa per misurare le variazioni del costo della vita. E’ vero: fa fatica, come tutti gli uffici statistici di tutto il mondo, a stare dietro ai mutamenti di qualità dei beni e all’’introduzione di nuovi beni e servizi; in più misura il costo delle abitazioni in termini di affitti e non di prezzi delle case. Ma tutto considerato il suo indice è una buona rappresentazione della spesa media degli Italiani.
Condividiamo le preoccupazioni di chi, replicando i nostri calcoli, vede la propria pensione in termini reali pressoché costante e di chi denuncia l’’importanza del fiscal drag e l’’incidenza delle imposte locali. Nel nostro articolo non ci siamo dedicati a questi argomenti nello specifico, ma spesso su queste pagine si discute dei modi per ovviare a queste storture.

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  1. Roberto A

    Ero stato io a porre la questione dei dati incoerenti dell’IRES CGIL,e parlo degli stessi dati usati da loro e dal fatto che l’informazione nel suo complesso abbia messo in risalto una perdita di potere d’acuisto pari a 5500 euro in 10 anni. L’IRES CGIL, poi, ha usato l’IPCA (piu’ basso rispetto al deflatore dei consumi) per fare il raffronto sulle retribuzioni contrattuali, allo scopo di far fare bella figura al sindacato, dicendo che il sindacato ha fatto bene il suo lavoro. Salvo poi, non usare l’inflazione ma il deflatore dei consumi quando si é trattato di fare il confronto sui dati del reddito loro e netto di fatto. E comunque, adoperando gli stessi dati dell’IRES e guardando i grafici delle slides 29 e 30, non quadra la media del deflatore dei consumi e si evince da entrambi i grafici che le linee delle retribuzioni cumulate sono superiori al deflatore dei consumi cumulato, cosa che indica un aumento del potere d’acquisto, dato che é citato con le cifre anche dall’IRES riguardo alle retribuzioni lorde di fatto, mentre con le retribuzioni nette di fatto risulterebbe un calo di 17 euro, dico ben 17 euro annui tra il 2000 e il 2010. E qui sta il trucco: i numeri indice partono dal 1999.

  2. Marco Simonetti

    Nell’articolo originale si sostiene che la causa della differenza di "produttività" starebbe nelle dimensioni delle aziende: sarebbero più efficienti le grandi aziende. Questo non è argomentato dagli autori, dato che probabilmente l’analisi delle cause non è l’obiettivo principale del pezzo. Però mi colpisce, dato che, a prima vista e da tecnicamente ignorante, poche grandi aziende mi pare che costituiscano un mercato del lavoro meno flessibile di tante piccole attività. E non è forse la flessibilità la regina dei mantra? Potreste spiegare se c’è un nesso?

  3. roberto romano

    Molto interessante l’attenzione alla produttività. E se fossero le imprese a essere poco produttive? Se il tasso di elasticità degli investimenti rispetto al Pil delle imprese italiane fosse drammaticamente basso rispetto alla media europea? Non è per caso che la maggior parte degli investimenti si trasformano in importazioni di beni e servizi ad alto valore aggiunto che le nostre imprese non producono in Italia? Attenzione alla produttività? Considerati i salari italiani rapportati alla media dei paesi europei (si imparasse a fare indagini comparative) si capirebbe quanto la discussione sui salari impoistata dagli autori appare parziale. Questo si può dire spero. Roberto Romano

  4. LeM

    Cercare di spiegare l’inspiegabile (o forse una spiegazione facile c’e’ ma non si puo’ dire), cioe’ di come l’Istat dipinga otto anni di inflazione quasi inesistente (contro ogni realta’) "scusandosi" col fatto che cellulari e televisori sono diminuiti e "pareggiano" l’aumento di pasta e pane, e’ semplicemente ridicolo. L’inflazione deve essere pesata con la frequenza di acquisto dei beni considerati, altrimenti e’ aria fritta. Se usiamo questi numeri per paragonare gli stipendi annui (netti o lordi non e’ qui la questione), e’ chiaro anche ad un bimbo di 5a elementare che l’aumento (anche del 3-400%) della pasta non incide allo stesso modo della diminuzione (anche del 50%) del costo del telefonino. Specialmente in un momento come questo di contrazione dei consumi, dove e’ senz’altro piu’ facile rimandare l’acquisto del televisore nuovo piuttosto che rinunciare ad andare dal panettiere…

  5. Franco

    Vedo che la discussione comincia a colpire il cuore del problema, che nasce dall’errore nel calcolare la produttività solo a carico del lavoro dipendente senza alcun esame su quello intraprendente. E” importantissimo invece, come credo si stia cominciando anche da noi – dove nel sistema bancocentrico l’imprenditoria si muove con un atteggiamento micragnoso – a fare, esaminare situazioni e cause dei mancati investimenti realmente produttivi. Solo da questo esame comparato potranno scaturire conclusioni valide su problemi come il diminuito potere d’acquisto, l’oggettività di criteri di rilevazione statistica, la disoccupazione, le presenze imprenditoriali, le situazioni monopolistiche, in altre parole gli elementi su cui valutare e criticare i vari atti di governo prima di esprimere il voto o di astenersi. La scienza e la conoscenza pretendono questo salto di verità altrimenti le frasi tipo quella "nei rapporti industriali non si può tornare indietro" continueranno a essere percepite dagli… ingenui nello stesso "senso unico": a carico cioè dei lavoratori. E non si metterà in evidenza il ritorno all’indietro o, al massimo, il battere il passo e viver di rendita del sistema.

  6. dorzacc

    Lo sanno tutti che 1000 euro non corrispondono a 2 milioni di lire. E’ ridicolo continuare a insistere su questo. Se si dicesse la verità, si sparerebbe nelle piazze. Una grande massa di quattrini si sono spostati dalle tasche dei lavoratori dipendenti e pensionati a quelle dei commercianti, artigiani e professionisti. E’ vero che la grande industria è invece poco coinvolta in questa rapina. Parlare di percezione dell’inflazione, sottintendendo che è diversa dall’inflazione reale, vuol dire prendere la gente per cretina. In realtà il sacco di salari e pensioni è avvenuto con la complicità dei sindacati e partiti "progressisti", i quali sanno che la coesione sociale non reggerebbe alla prova della verità. La produttività poi dipende dalle tecnologie impiegate e dal tipo di prodotto, a basso o ad alto contenuto tecnologico. La dimensione d’impresa c’entra, ma non necessariamente. Se faccio un prodotto che non ammette tecnologie automatizzate, la produttività sarà bassa comunque. E’ vero che la grande impresa ha più mezzi per fare ricerca tecnologica. Insomma, le cose andrebbero un po’ spiegate, e non buttate lì un po’ alla carlona.

  7. Lucio Zaltron

    Sono convinto che una delle ragioni dell’errore del calcolo del famoso indice sia non solo nella scelta dei prodotti del paniere, ma il peso che viene loro attribuito singolarmente.

  8. Roberto C.

    In merito al drenaggio fiscale, ammetto di aver in precedenza inviato un commento un po’ grossolano. Quando affermo che il prelievo fiscale a mio carico è passato nel tempo dal 20 al 30%, dovrei completare l’analisi scindendo gli effetti dovuti agli aumenti contrattuali a recupero dell’inflazione, su cui misurare il drenaggio vero e proprio, da quelli per i passaggi di categoria (arricchimento) e dagli aumenti delle aliquote fiscali dovuti alle varie riforme (inasprimento fiscale). Grazie per i chiarimenti.

  9. rino baldini

    Tenete anche conto che il laptop (Toshiba, Apple, Zenith) comprato agli inizi degli anni ’90 sono ancora meccanicamente funzionali (io ne ho usato uno dal 94 al 2000), mentre un laptop comprato oggi a 800 euro se sei fortunato non si fonde prima dei due anni, e quindi devi ricomprarne uno nuovo. Oggi compriamo spendendo meno (anche grazie ai discounter ecc.), ma con un corrispondente qualità inferiore.

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