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Betim, la più grande fabbrica italiana

La Fiat è un’impresa multinazionale. E dunque utilizzerebbe il ricatto della globalizzazione per imporre anche in Italia le condizioni di lavoro praticate in paesi dove la sindacalizzazione è bassa. Ma se si guarda all’esperienza della fabbrica brasiliana di Betim, si scopre che i diritti dei lavoratori non sono violati. E che, sotto la patina di un certo paternalismo e malgrado la fragilità del sindacato, tra operai e dirigenti esiste tuttora una sana dialettica. Una informazione più precisa eviterebbe il rischio di impoverire il dibattito sul futuro della Fiat.

 

 

Ogni volta che Sergio Marchionne parla di Fabbrica Italia, per qualche fuggevole momento ci si accorge che il maggiore stabilimento della principale azienda manifatturiera italiana è a 9.127 km da Torino. Poi il silenzio ricala su Betim ed è di nuovo possibile parlare in libertà, sostenendo alcuni che la globalizzazione ha sepolto la lotta di classe, altri che nei paesi emergenti il diritto del lavoro è all’’abc e che la Fiat usa il ricatto per imporre in Italia condizioni analoghe.

COME NASCE FIASA

In un articolo più esteso (di prossima pubblicazione su Equilibri) ho raccolto informazioni su come vengono prodotte le vetture Fiat in Brasile. Quello che interessa non è tanto quanto vengono pagati i lavoratori rispetto all’’Italia –(ovviamente meno) – ma come si determinano ed evolvono retribuzione e condizioni di lavoro.
Un breve cenno storico aiuta a mettere quest’’esperienza in prospettiva. Dopo vari tentativi andati in fumo per motivi diversi, Fiat Automòveis (Fiasa) fu costituita nel 1973, una joint venture di cui la Fiat deteneva il 54,7 per cento e il governo di Minas Gerais il resto. A Betim la tradizione industriale era scarsa e quindi deboli coscienza operaia e presenza sindacale, a differenza di quanto accadeva nell’’Abc paulista, con un sindacato guidato da un certo Luiz Inácio Lula da Silva. La fase di avvio fu particolarmente difficile, sia per il contesto economico brasiliano, sia per le gravi difficoltà in cui si dibatteva l’’azienda torinese all’’epoca. Piuttosto che abbandonare il paese, come venne deciso nel caso dell’’Argentina, la Fiat scelse però di ricapitalizzare progressivamente la società, terminando con acquisire l’’intero pacchetto azionario nel 1986.
Da vera e propria palla al piede, Fiasa è progressivamente diventata una mucca da mungere ed è letteralmente esplosa negli ultimi tempi, guadagnando la leadership nazionale proprio nel momento in cui il Brasile ha sorpassato la Germania per diventare il quarto paese produttore (in volume) al mondo. Nel 2008 il Brasile ha contribuito per il 32,6 per cento alla produzione mondiale di auto Fiat (pressoché un raddoppio rispetto al 2000) e per il 29,4 delle vendite. In termini di fatturato, Fiasa ha aumentato di cinque punti il suo contributo dal 2000 (17,3 per cento) al 2009 (22,2 per cento). Ancora più impressionante il contributo reddituale: nel periodo 2005-09 la Fiat ha registrato 10,6 miliardi di euro di profitti operativi cumulati, mentre Fiasa ne ha registrati 5,1. Certo non a caso Cledorvino Belini, già nel 2004 il primo brasiliano a essere nominato alla testa di Fiasa, è stato invitato nel 2009 a far parte del consiglio esecutivo del gruppo Fiat a livello mondiale.

SALARI BRASILIANI

In Brasile non esiste, con l’’eccezione del settore bancario, il contratto nazionale di categoria. La convenzione dei metallurgici è negoziata a livello statale. La remunerazione comprende una componente fissa e una Participação nos Lucros e Resultados (Plr), definita a livello di ciascuna impresa. Fiasa, che ha introdotto la Plr nel 1995 (un anno dopo la Mercedes, nello stato di São Paulo), utilizza tre indicatori collettivi – il livello della produzione e due indici di qualità –e uno individuale, l’’assenteismo. Fino al 2004 i valori corrisposti come Plr erano proporzionali al salario nominale; si applicavano limiti minimi e massimi, per fascia di punteggio, una formula interessante per i lavoratori che ricevevano salari inferiori dato che i limiti minimi li compensavano in parte. Nel 2005 si abolì il minimo e da allora il pagamento è lineare, ovvero tutti i lavoratori, a parità di risultato individuale, ricevono lo stesso valore. Sotto i 50 punti non c’’è premio; da 50 a 60 il pagamento è di R$ 2.119, e poi aumenti dell’’11,1 per cento per ciascuna tranche di 10 punti, fino a un massimo di R$ 3.230.
In Fiasa un operaio non-specializzato guadagna R$ 4,40 all’ora (€1,9). Al netto dei contributi previdenziali e dei costi di transporto e refezione, sono R$ 831 al mese (€353). Dopo quarantadue mesi di lavoro, il salario netto al mese aumenta a R$ 1.335 (€565). Poco o tanto? Non è facile rispondere, sono tante le variabili in gioco. Il salario minimo, per esempio, è attualmente di R$ 510. Rispetto ai metallurgici in altre città equivalenti nello stato di São Paulo, a Betim a dicembre 2008 il salario medio di un operaio era inferiore. Secondo i dati relativi agli accordi collettivi sulla partecipazione ai risultati relativi al periodo 2010-11, con il massimo punteggio un dipendente Fiasa riceve un emolumento inferiore a quello di un suo collega che lavora in Ford e Volkswagen. Per la campagna salariale 2010, Fiasa ha negoziato un adeguamento in linea con gli altri produttori e superiore a quello pattuito nel contratto dei metallurgici di Minas Gerais.
Se guardiamo l’’evoluzione delle remunerazioni nell’’ultimo decennio, sempre per un operaio non specializzato, la performance è positiva. In termini reali, a inizio 2009 il salario Fiasa era del 12,6 per cento superiore a quello del 2000. L’’ammontare maggiore ricevuto corrisponde proprio al periodo più recente, grazie al soddisfacente aggiustamento del salario nominale, alla riduzione dell’’inflazione rispetto al valore programmato e al mantenimento della Plr a livelli elevati. In media la Plr è ammontata al 17,15 per cento del totale della remunerazione fissa annua. La Plr è aumentata del 19,06 per cento tra 1997 e 2009, periodo in cui la produzione è cresciuta del 49,63 per cento.

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Livello e composizione della remunerazione di un operaio non specializzato, 2001-09

  2000-01 2001-02 2002-03 2003-04 2004-05 2005-06 2006-07 2007-08 2008-09
Fisso+PLR+premio 19.109 18.843 17.513 18.369 19.462 20.434 21.147 21.115 22.351
Media 12 mesi 1.592 1.570 1.459 1.530 1.621 1.702 1.762 1.759 1.862
Variazione media 12 mesi   -1,39 -7,05 4,88 5,95 5,00 3,49 -0,15 5,85
Variazione PLR   1,76    -13,71 -15,67 21,07 16,19 -5,10 10,35 -9,12
PLR+premio / fisso 17,66 18,32 16,79 13,07 15,22 17,12 19,88 17,39 18,91

Fonte: “Evolução da remuneração dos trabalhadores da FitT Automóveis com base na análise do “Operador de Processo Industrial””, Sindicato dos Metalúrgicos de Betim, Escritório Regional do DIEESE em Minas Gerais, Estudos e Pesquisas, Ano III – Nº 12 – Marzo 2009.

Il sindacato valuta positivamente l’’esperienza della Pr. La formula lineare di determinazione del pagamento e la natura collettiva degli indicatori (tranne l’’indice di assenteismo) hanno favorito la cooperazione tra i lavoratori nel perseguimento degli obiettivi; d’’altro canto, in un paese in cui permangono ostacoli alla rappresentanza sindacale, la presenza obbligatoria delle organizzazioni dei lavoratori in seno alle commissioni miste imprese-dipendenti che negoziano la Plr offre visibilità ai sindacati stessi.

CONFLITTUALITÀ E SINDACATO

Ricerche mostrano come l’’operaio fordista, impiegato in catena di montaggio, sottomesso a regole che non condivide e perciò naturalmente incline alla conflittualità classista, abbia lasciato spazio a una figura maggiormente qualificata e motivata, che all’’interno dell’’unità tecnologica elementare contribuisce alla risoluzione dei problemi con personale tecnico gerarchicamente meno distante che in passato. L’’impresa stessa sta abbandonando alcune delle pratiche del passato e l’ultimo accordo di lavoro concede al sindacato condizioni più agevoli per informare due volte all’’anno i lavoratori dei benefici dell’’adesione.
Certo ci sono anche gli interrogativi. La Fiat è stata la prima delle imprese automobilistiche ad applicare le quaranta ore settimanali, mentre la durata legale è tuttora di quarantaquattro ore. Se venisse accettata la proposta di revisione costituzionale n. 231/95, si passerebbe a quaranta ore, senza riduzione di salario, e il premio corrispondente alle ore extra aumenterebbe dal 50 al 75 per cento del valore dell’ora standard. La proposta, presentata l’’11 ottobre 1995, giace attualmente in commissione parlamentare.
Per quanto riguarda la sindacalizzazione, in Fiasa è oggi prossima al 2 per cento. A titolo comparativo, nella regione Abc, il Sindicato dos Metalúrgicos conta 98mila iscritti, più di 30mila nell’’automobile dove i costruttori hanno un tasso di sindacalizzazione dell’’88 per cento. Il sindacato si lamenta degli ostacoli frapposti all’’attività sindacale. La risposta dell’’impresa è che sono i lavoratori a scegliere in piena autonomia di non aderire. Non c’’è dubbio che l’’insieme di interventi sociali offerti da Fiasa siano un incentivo forte per costruire un rapporto di lunga durata con i lavoratori. In più il sistema di reclutamento del nuovo personale si basa esclusivamente sui suggerimenti da parte dei dipendenti, che quindi sono indotti a un certo conformismo.
In sintesi, due cose fondamentali appaiono evidenti: che a Betim i diritti dei lavoratori non sono assolutamente violati, e che a nessuno verrebbe in mente di istituire la pausa pipì con il gettone a tempo; ma anche che, sotto la patina di un certo paternalismo e malgrado la fragilità del sindacato, tra operai e dirigenti esiste tuttora una sana dialettica. Informarsi su quello che succede nel mondo prima di parlare eviterebbe il rischio di spargere banalità e impoverire il dibattito sul futuro della Fiat.

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17 commenti

  1. Paolo Quattrone

    Il perfetto trionfo dell’idea di prigione di Michel Foucault: le pratiche manageriali rendono l’operaio contento di essere sfruttato. Il trionfo del capitale sul lavoro. Forse una tavola sull’evoluzione dei profitti rispetto a quella dei salari aiuterebbe a capire la questione. Assumendo che non ci siano creative accounting practices che ne celino la differenza. Peccato, perche’ l’articolo mi era piaciuto fino a quasi la fine… ma Foucault (che per molti lettori sara’ un illustre sconosciuto) ci ha lasciato una eredita’: ha lasciato un progetto incompleto, lo studio della fabbrica come ordinatore delle relazioni sociali e come pilastro fondamentale del sistema capitalista contemporaneo.

  2. paolo zangani

    Leggo il suo articolo e traggo alcune conclusioni che mi paiono evidenti: la globalizzazione permette di utilizzare lavoro a basso costo per realizzare prodotti che vengono venduti in altri paesi a prezzi molto remunerativi; una scarsa sindacalizzazione permette di gestire "paternalisticamente" i rapporti di lavoro permettendo ulteriori profitti; la sua conclusione che tutto questo non viola i diritti dei lavoratori mi pare quanto meno azzardata… dipende da cosa si intende per diritti!

  3. Alessandro Meazza

    Grazie per il suo contributo, innanzitutto. Ma la realtà brasiliana, nella quale ha inciso positivamente per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori (salariali e non) la prepotente crescita economica del paese, è paragonabile a quella degli stabilimenti dell’Europa dell’est come Polonia e Serbia? Non sono forse quest’ultime le situazioni che la Fiat vorrebbe prendere ad esempio per l’organizzazione delle fabbriche italiane?

  4. marcello giberti

    In tutte le analisi di confronto di produttività mancano completamente variabili abbastanza fondamentali come il grado di efficenza degli impianti determinato dal grado di automazione, velocità di trasferimento dei prodotti nella fabbricazione, elasticità delle varianti di prodotto, strutture logistiche e altri elementi che sono fondalmentalmente legati agli investimenti. Immagino che in paesi che favoriscono gli investimenti sia finanziariamente che fiscalmente, la FIAT sia indotta ad aggiornamenti continui del rendimento degli impianti più che alla semplice pressione economica ed efficientistica sulla forza lavoro. Mi interesserebbe un analisi più raffinata della semplice sparata sul numero di macchine prodotte per addetto in Polonia o in Brasile. Così come mi piacerebbe sapere quali siano le differenze di carichi fiscali e contributivi ed altre forme di incentivi statali che in Europa sono teoricasmente proibiti ma largamente ammessi in Polonia (che è in Europa) o in Brasile e Croazia (che non lo sono). Gli impianti a Torino e a Betim sono uguali? M.Giberti

  5. claudio

    Sarebbe interessante anche comparare alcuni aspetti che non mi sono ancora chiari. Ad esempio, se possibile, la saturazione media sulle linee, le pause, e, in generale, i periodi di riposo individuale e collettivo, come ferie, permessi individuali. Da non sottovalutare, inoltre, gli organici disponibili sulle linee: con un costo del lavoro così basso è sicuramente più facile abbondare e non far ricadere sui presenti la mancata produzione degli assenti, come avviene sulle nostre catene di montaggio (ho presente l’industria del freddo, ad esempio).

  6. Marisa Manzin

    Mi manca però l’incidenza del salario/stipendio sul costo di un’automobile. E’ chiaro che più automatizzata (informatizzata e robotizzata) è la produzione, meno incide il costo del lavoro sul costo dell’unità di prodotto. Qual è questa percentuale nei diversi stabilimenti Fiat?

  7. luigi zoppoli

    Non c’è niente da fare. Il cospirazionismo impera. Fossi al posto di Marchionne comincerei a chiudere anche Pomigliano in attesa di chiudere il resto.

  8. Tarcisio Bonotto

    Competitività: la si dovrebbe analizzare tra componenti omogenee. Tra la Lituania, Cina e Italia non c’è certo omogeneità. Il potere d’aqcquisto magari è lo stesso, ma il reddito è diverso, anche 1 a 10. La proposta di Ravi Batra, economista della Southern Methodist University di Dallas, Texas, in un convegno a Verona, era di cooperativizzare, in Italia, dapprima tutte le grosse aziende: Fiat, Barilla, Cirio, etc. perchè fossero gli stessi lavoratori a gestirsi il presente e futuro. Forse con la proprietà dell’azienda e la gestione, lavorerebbero sodo senza bisogno di ricatti globali. Forse questo passo è troppo riovoluzionario e molti scienziati hanno detto che non si può fare. Ma senza sperimentare nulla di nuovo si rimane nelle vecchie logiche che hanno portato allo sconquasso economico. Il futuro dell’economia vedrebbe tutti conivolti con la propria responsabilità. Oggi sembra che di responsabili ci siano solo i Marchionne… Andiamo avanti così…

  9. riccardo nogara

    Dalla parte dei consumatori e lo siamo tutti: imprenditori e lavoratori, elettori ed eletti, amministratori ed amministrati, criminali e cittadini onesti, cattoloci e laici, sposati e separati, eterosessuali ed omosessuali, insegnanti e scolari, malati e medici, genitori e figli.Tutti vogliamo i prodotti migliori per prezzo e qualità e tutti vogliamo far parte della loro produzione. Stiamo arrivando alla globalizzazione del mercato mondiale. Ormai quasi tutti gli abitanti di questo pianeta sono mossi dal desiderio di essere consumatori e produttori, perchè ognuno possa migliorare le proprie condizioni di vita. Che il lavoro nobilitasse l’uomo l’abbiamo sempre saputo purchè si lavori. C’è stata l’era del consumismo che in parte c’è ancora, come ancora c’è chi non ha di che per vivivere. Ora con il risveglio dei cinesi, indiani, brasiliani, degli ex comunisti è iniziata l’era del consumatore-produttore con un mercato con sempre più prodotti. E tutti cercono di produrre per soddisfare le richieste possibilmente di tutti i consumatori a prescindere dal sesso, dal colore della pelle, dal credo religioso e politico, dal luogo di provenienza.

  10. Franco

    Molto interessante l’articolo per la conoscenza dell’economia automobilistica brasiliana, ma direi smaccatamente interessate le conclusioni tese sostanzialmente a schiacciare la posizione del lavoratore dipendente sotto il predominio dell’imprenditore. Numeri, statistiche, dati storici e quant’altro messo in campo sono travolti dalla constatazione iniziale, data per ovvia, che i lavoratori brasiliani sono/erano pagati di meno di quelli italiani! E si vuole accusare le critiche al Marchionne partendo da quella …ovvia premessa? Anche chi non ha mai sentito parlare di Carlo Marx sa che il processo produttivo nell’accumulazione capitalistica ha sempre cercato di comprimere il salario per ottenere da ciò il di più di guadagno -il super profitto- che gli assicura la supremazia e che ha allentato la morsa contro i lavoratori solo nei periodi storici in cui il costo delle materie prime è diminuito. E’ giusto -e sono d’accordo con l’autore- informarsi di come il fatto avviene nel mondo, ma è giusto sapere e domandarsi soprattutto perchè avviene.

  11. Riccardo

    Già dal lead era chiaro il taglio dell’articolo, leggendolo però era come se mi aspettassi una conclusione meno impietosa e, a mio avviso, cieca. Sono a dir poco opinabili gli argomenti che lei fornisce a supporto della sua tesi secondo la quale la percentuale di sindacalizzazione è bassa perché i lavoratori scelgono liberamente di non aderire e che l’azienda sopperisce essa stessa al compito, del sindacato, di fornire protezione e maggior potere contrattuale ai lavoratori. Un ragionamento del genere è figlio di una concezione dei meccanismi economici che è come se si piegasse forzatamente alle implicazioni della globalizzazione e occupi la sua analisi non tanto per cercare di far confluire l’interesse individuale in quello collettivo ma al contrario di diffondere nella collettività il pensiero che l’interesse individuale è quello da perseguire.

  12. Federico

    Nulla da controbattere, Marchionne è un manager di una multinazionale, se ci sono migliori condizioni in altri paesi da poter sfruttare è suo dovere approffittarne per il bene dell’azienda. Il problema è che non ci sono più le condizioni perchè le aziende italiane mantengano le loro produzioni nel nostro paese: io penso che l’unica soluzione possibile a questo fenomeno debba venire dalle istituzioni in modo da fornire incentivi a non spostare le produzioni all’estero.

  13. Maurilio Menegaldo

    L’articolo è davvero interessante, anche se per forza di cose sintetico. Il PLR, così come descritto, assomiglia molto ai premi di risultato (PDR) nostrani, come in realtà (e non teoricamente) vengono contrattati. Suppongo che le variazioni nel suo ammontare derivino dalle variazioni di produttività nello stabilimento: essendo molto grandi, si può presumere che il confronto sindacato-azienda-lavoratori sia reale e che riguardi i risultati reali dell’azienda. Se così fosse, a far da contrappeso a un evidente paternalismo ci sarebbe una partecipazione effettiva dei lavoratori alla vita aziendale, non solo in termini di condivisione dei risultati ma anche di consapevolezza dell’andamento aziendale. Ma è proprio così? Sarebbe interessante approfondire questa e le altre questioni poste dai commenti fatti, anche per capire se e in che misura i modelli esteri possono essere riprodotti in Italia.

  14. Francesco Molle

    E’ facile scrivere da dietro un pc che non vengono violati i diritti degli operai e argomentare il tutto con numeri e tabelle, ma l’autore dell’articolo (così come Marchionne stesso) si è chiesto se gli operai si sentano bistrattati? Cosa ne pensano? Il lato emotivo di chi vive direttamente sulla propria pelle questa esperienza lavorativa è stato completamente trascurato quindi io personalmente ci andrei con i piedi di piombo nel dire che non vengono violati i diritti dei lavoratori senza aver prima visitato lo stabilimento (se poi è realmente così complimenti a Fiat). Inoltre, per ciò che concerne la scarsa adesione sindacale ci terrei a precisare che anche in Italia esiste la libertà negativa per ciò che concerne l’adesione sindacale e anche in Italia solamente una bassissima percentuale di dipendenti Fiat è iscritta alla FIOM (il 12,5% a detta di Marchionne) e lo sappiamo tutti come se la passa un operaio Fiat in Italia, ciò per dire che non sempre la non adesione è frutto di una scelta volontaria e precisa ma anche di trascuratezza e desolazione nei confronti del futuro.

  15. alias

    Non sono riuscito a scoprire dalla tv, e neppure dai numerosi commentatori ed economisti industriali, quanto costa la Panda all’automobilista in Polonia, in Brasile, in India (oddio, forse non lo sa neanche il concessionario in Italia). Lo potremmo sapere? Fabio Fazio ci ha provato, molto alla larga in verità, quando chiesto a Marchionne, in tv, se è plausibile un salario medio cinese di 1000 euro al mese, e Marchionne gli ha ringhiato pronto che "non esiste". Perchè negare l’evidenza, che sono i nostri salari interni (e quindi anche i nostri prezzi al consumo) ad adeguarsi pian piano a qualli cinesi?

  16. lodovico jucker

    Ottimo articolo. Ma sono altrettanti curioso di conoscere il profilo delle aziende automobilistiche tedesche: come facciano, con un costo del lavoro (e reddito per i lavoratori) molto più alto di quello italiano, a creare profitti con volumi di produzione molto più alti di quelli di Fiat in Italia.

  17. Anonimo

    Sono un Italiano che per scelta di vita ha abbandonato il suo ruolo di impiegato a Fiat Mirafiori e mi sono trasferito in Brasile dove attualmente ricopro lo stesso carico nella fabbrica FIASA di Betim. Non voglio informare il mio nome e cognome proprio perché a differenza dell’Italia, se qualcuno di Fiasa leggesse questo mio commento sarei licenziato in 2 minuti. Questo perché il sindacato nello stato di MINAS GERAIS praticamente non esiste. Lo noto nel comportamento dei miei colleghi, che nonostante 30 di febbre vengono a lavorare per paura di essere licenziati… probabilmente è peggio del più famoso metodo americano nei licenziamenti. I diritti dei lavoratori minimi vengono rispettati solo perché ci sono delle leggi a farli rispettare, ma tutto quello che è in più qua non esiste. Inoltre, leggendo questo articolo sembra che tutti gli stipendi in Brasile siano più bassi. Non è così. Prendendo in considerazioni 3 fasce, questa è la differenza in media (valori netti): OPERAIO: FIASA – 500 euro / MIRAFIORI – 1.000 euro IMPIEGATO: FIASA – 1.500 euro / MIRAFIORI – 1.300 euro (questo è il mio caso) DIRIGENTE: FIASA 8.000 euro / MIRAFIORI – 5.000 euro

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