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Imprese più solide contro il precariato

I problemi finanziari delle imprese italiane accentuano la dualità del mercato del lavoro. Una recente ricerca dimostra che sono meno propense ad assumere con contratti a tempo indeterminato le aziende che hanno più problemi a ottenere finanziamenti bancari. E usano di più i contratti a termine per assorbire variazioni inattese nel livello di domanda. Dunque misure volte a ridurre i vincoli di accesso al credito potrebbero contribuire ad aumentare l’offerta di contratti a tempo indeterminato e frenare così il precariato.

 

I problemi finanziari delle imprese italiane accentuano la dualità del mercato del lavoro. Una recente ricerca dimostra che le aziende che hanno più problemi a ottenere finanziamenti bancari sono meno propense ad assumere a tempo indeterminato, e usano in misura maggiore i contratti a termine per assorbire variazioni inattese nel livello di domanda. In altre parole, esiste una relazione diretta tra situazione finanziaria delle imprese, politiche d’’assunzione e precarietà dei lavoratori.

DIFFICOLTÀ FINANZIARIE E ASSUNZIONI

L’’Italia è tra i paesi europei con maggiore “dualità” nel mercato del lavoro. Accanto ai lavoratori con contratti a tempo indeterminato, con forti garanzie sulla stabilità del rapporto di lavoro, è cresciuto negli ultimi anni il numero dei lavoratori con contratti temporanei. Quali incentivi ha un’impresa ad assumere un lavoratore a tempo indeterminato piuttosto che con un contratto a termine? Un contratto a lungo termine può migliorare la produttività, se incoraggia i lavoratori più validi a rimanere nell’’impresa e a investire in capitale umano. Il maggior svantaggio del contratto di lavoro a tempo indeterminato è invece l’’elevato costo del licenziamento. Negli ultimi anni le imprese italiane hanno scelto in misura crescente i contratti di lavoro temporanei, che grazie alla loro maggiore flessibilità hanno favorito sia l’incremento dell’occupazione nel periodo 2002-2008, che il rapido aumento della disoccupazione durante la recessione del 2009-2010. La recente crisi ha quindi evidenziato l’’importanza dell’’interazione tra solidità finanziaria delle imprese e mercato del lavoro. A priori, le difficoltà finanziarie di un’’impresa possono avere effetti ambigui sulla scelta tra contratti a termine e a tempo indeterminato. Le imprese per le quali i problemi di finanziamento limitano il potenziale di crescita, dovrebbero preferire la produttività e assumere maggiormente lavoratori a tempo indeterminato; quelle che invece temono futuri problemi finanziari a causa d’’inattese fluttuazioni della domanda dovrebbero preferire la flessibilità e assumere maggiormente con contratti a tempo determinato. Per capire quali dei due effetti prevalga nella realtà delle imprese italiane, insieme a Vicente Cuñat abbiamo studiato il comportamento di un campione di oltre 10mila piccole e medie imprese manifatturiere, con dati di bilancio per il periodo 1995-2000. (1) Rispetto al periodo attuale, il campione si riferisce a un intervallo temporale con una presenza dei contratti a termine ancora relativamente bassa. Solo un 33 per cento delle imprese censite ha utilizzato contratti a termine in quel periodo e tali contratti hanno costituito solo il 4 per cento del totale della forza lavoro.  I risultati dell’’analisi dimostrano però che i contratti a termine sono molto più frequenti nelle imprese con problemi finanziari. Dopo aver controllato per altri fattori che possono influenzare le politiche delle assunzioni, come la dimensione, il settore e la redditività, abbiamo stimato che la percentuale media di contratti a termine per le imprese senza problemi finanziari è del 3,5 per cento, mentre è dell’8 per cento per le imprese con problemi finanziari e del 14,5 per cento per le imprese con problemi finanziari che hanno aumentato di recente la loro forza lavoro. La maggiore flessibilità di tali contratti di lavoro costituisce un beneficio per le imprese, ma aumenta la precarietà dei lavoratori. In altre parole, le imprese con problemi d’’accesso al finanziamento non solo tendono ad assumere in misura maggiore lavoratori a tempo determinato, ma sono anche più propense a utilizzare quei contratti per assorbire fluttuazioni nella domanda e ridurre la volatilità dei contratti a tempo indeterminato. La conseguenza è una maggiore volatilità dell’’occupazione, che è quasi doppia per le imprese con problemi finanziari rispetto alle altre imprese, a parità di dimensione, del tasso di crescita e della volatilità dei ricavi. La recente crisi economica e occupazionale in Italia ha aggravato il problema della disoccupazione giovanile, che ha raggiunto il 27,9 per cento in Italia – e il 39,3 per cento nel Sud. (2)
I risultati del nostro lavoro indicano che misure volte a ridurre i vincoli finanziari delle imprese potrebbero contribuire in modo non trascurabile ad aumentare l’’offerta di contratti a tempo indeterminato e a frenare il precariato.

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(1) Andrea Caggese e Vicente Cuñat, 2008, “Financing Constraints and Fixed-term Employment Contracts,” Economic Journal, vol. 118 (533), pagine 2013-2046.
(2) Dati Istat, secondo trimestre 2010.

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Il rompicapo degli squilibri mondiali

  1. M.Giberti

    La cosa più criticabile della nostra legislazione e degli accordi sindacali che regolano i contratti a tempo determinato è che questi contratti offrono vari vantaggi immediati all’impresa (Flessibilità, costo, selezione, maggior controllo individuale ecc.) senza alcuna contropartita se non la possibile perdita di professionalità che è comunque adattabile alle esigenze tramite la reiterazione dei contratti stessi senza limitazioni. E’ ovvio che in questa condizione l’impresa grande o piccola tende a trasformare lentamente la maggior parte dei contratti verso la precarizzazione. La soluzione più semplice è di ridurre i vantaggi aziendali aumentando il costo del lavoro precario come avviene in molti paesi. Il maggior costo dovrebbe essere concentrato sui contributi previdenziali (con una gestione ad hoc), migliorando di conseguenza la grave situazione pensionistica dei precari generata dalla discontinuità contributiva. Come esempio cito gli Stati Uniti ove il lavoro flessibile è gestito dai sindacati di categoria (molto specifici) che arrivano a garantire direttamente anche una forma di cassa integrativa per i periodi di disoccupazione.

  2. Luigi Calabrone

    Il motivo base che fa propendere le aziende (ma anche l’amministrazione pubblica, tramite cooperative, ecc.) ad assumere persone a tempo determinato è il fatto, evidente, ma, proprio per questo, sempre taciuto, che, in base alla legislazione attuale, residuo dei tempi in cui esisteva "l’imponibile di manodopera", l’azienda che assume qualcuno a tempo indeterminato, più che assumere, "sposa" questo lavoratore, in regime pre divorzio. Giuristi che hanno preso atto della realtà, in primo luogo il Prof. Ichino, hanno da tempo proposto una normativa complessiva, che riguarderebbe tutte le situazioni lavorative e che darebbe a tutti la tutela, crescente a seconda dell’anzianità maturata in azienda. Purtroppo, questa proposta va contro il feticcio sindacale degli attuali (sempre più anziani) lavoratori ipertutelati. C’è da temere che, fino a quando questa minoranza andrà in pensione, non si farà nulla. Intanto il Prof. Ichino va in giro con la scorta. Le aziende italiane sono volutamente (dalla legislazione italiana) mantenute in condizioni di piccole dimensioni e di precarietà finanziaria. Non dimentichiamoci della difficoltà di riscuotere crediti e di far valere le proprie ragioni.

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