Per ora è solo un documento di intenti, ma “Verso un piano nazionale per la famiglia” indica gli strumenti per fornire un sostegno a chi ha figli o ha famigliari non del tutto autosufficienti: riforma del fisco, espansione dei servizi, costruzione di reti di solidarietà locali. Senza però far cenno a risorse o priorità. E in una visione tutta ideologica della famiglia, riconosciuta come tale solo quando è eterosessuale e basata sul matrimonio, mentre rimane indifferente di fronte ai cambiamenti e alla pluralizzazione dei modi di fare famiglia.
Verso un piano nazionale per la famiglia, presentato in questi giorni a Milano, alla Conferenza nazionale per la famiglia, è, per ora, solo di un documento di intenti, preparato dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Per diventare un vero documento programmatico dovrà, con eventuali emendamenti a ogni passaggio, passare al vaglio e alla approvazione delle varie istituzioni coinvolte: ministeri, Conferenza Stato-regioni, probabilmente anche Anci, prima di arrivare al Consiglio dei ministri ed eventualmente al Parlamento. Nel corso di questi passaggi, dovranno anche essere stabilite priorità e modalità di copertura finanziaria, al momento del tutto assenti.
QUALE FISCO PER LE FAMIGLIE
Stando così le cose, si può solo cercare di coglierne la logica, vedere quali sono gli strumenti almeno idealmente individuati per fornire un sostegno a chi ha figli o ha famigliari non del tutto autosufficienti. Questo, e solo questo, è infatti il perimetro degli obiettivi formulati dal piano. All’interno di un’esposizione spesso farraginosa, carica di inglesismi inutili, con una tendenza alla costruzione di macchine burocratiche a ogni passaggio, possiamo individuare sostanzialmente tre direzioni di intervento: a) una riforma del fisco e dei trasferimenti di reddito alle famiglie che privilegi quelle con figli (purché i genitori siano sposati, però, il che apre una questione non solo di equità, ma di legittimità costituzionale dal punto di vista dei diritti dei figli); b) l’espansione dei servizi per primissima infanzia e per gli anziani non autosufficienti; c) l’attivazione di reti di solidarietà locali.
La prima è sicuramente la proposta più innovativa, anche se non del tutto definita. Vengono infatti proposte tre alternative: riforma degli assegni al nucleo contestualmente a un aumento delle deduzioni di imposta, deduzioni fiscali corrette e quoziente famigliare corretto. Viene espressa una preferenza per la terza, nonostante comporti, tra l’altro, la necessità di passare dal sistema di tassazione individuale al sistema di tassazione famigliare, con i rischi di disincentivazione che ciò comporta per il secondo percettore di reddito, di solito la moglie. (1)
Non è chiaro, inoltre, il rapporto tra queste tre proposte e quella avanzata dal Forum delle famiglie, che pure fa parte dell’Osservatorio che ha redatto il documento. Il Forum propone il cosiddetto Fattore famiglia, ovvero un livello di reddito non imponibile oltre il quale l’imposta viene calcolata partendo dall’aliquota dello scaglione cui comunque appartiene il reddito dichiarato, unitamente a una imposta negativa per i redditi incapienti. Il Fattore Famiglia potrebbe, ma non è affatto chiaro, coincidere con la seconda alternativa, le deduzioni famigliari corrette. Rimandiamo alle puntuali osservazioni di Claudio De Vincenti e Ruggero Paladini su www.nelmerito.it per una analisi dei rischi contro-distributivi di questo approccio. (2)
PASSO AVANTI SUI SERVIZI
Per quanto riguarda la proposta di espansione dei servizi, il documento rappresenta un indubbio passo avanti sia rispetto al Libro bianco sul welfare, che rispetto al documento Carfagna-Sacconi Italia 20-20, sulla conciliazione. Non ci si limita infatti a evocare la solidarietà intergenerazionale, una alleanza tra madri e figlie che vivendo vicine si aiutano vicendevolmente. Al contrario, soprattutto nel caso dei bambini in età pre-scolare, si insiste sulla necessità di una espansione dei servizi. L’espansione, tuttavia, specie in mancanza della individuazione di risorse certe, è di fatto lasciata tutta al mercato, in varie forme: nidi aziendali, micro-nidi, nidi in famiglia o condominiali, educatrici famigliari e accompagnatrici e così via, più o meno sostenuti da voucher distribuiti dalle Regioni (anche qui, non è chiaro con quali fondi).
Manca, per altro, l’indicazione che i servizi per l’infanzia dovrebbero rientrare nei livelli essenziali dei servizi e manca, soprattutto, una riflessione sulla qualità e la dimensione educativa dei servizi per la prima infanzia, che non può essere garantita nello stesso modo da questo insieme variegato di servizi. È una riflessione avviata da tempo dall’Ocse, dalla Unione Europea e anche in Italia, di cui qui non vi è traccia. (3)
Forse perché si vuole, come è scritto, investire sulla famiglia, non sugli individui, in primis i bambini. Bambini le cui necessità di cura, sorveglianza, organizzazione del tempo, per altro scompaiono una volta superati i tre anni. In particolare, nulla si dice degli orari delle scuole dell’obbligo, forse per non entrare in rotta di collisione con il ministro Gelmini.(4)
Ancora più problematico il discorso per quanto riguarda la non autosufficienza. Mentre si dà atto che le famiglie non possono essere abbandonate a sé stesse, sembra che i servizi vadano organizzati solo per quelle persone non autosufficienti che non hanno una famiglia su cui contare. I famigliari con responsabilità di cura, invece, potranno contare al massimo su qualche consulenza, magari psicologica e qualche giorno o settimana di ricovero di sollievo. Più ancora della cura dei bambini, la cura degli anziani rimane un affare di famiglia, o meglio di donne nella famiglia.
Viene infine mutuata dall’Unione Europea (e prima ancora dalla Germania che fu la prima ad attivarle) l’indicazione di costituire alleanze locali per le famiglie. O meglio, nella versione italiana, per la famiglia, al singolare, tanto per ribadire che secondo questo documento ne esiste un solo tipo legittimo e gli altri tipi possono accedere alle politiche e ai sostegni solo se bisognose o in difficoltà. Si tratta di creare reti di attori locali, pubblici e privati, che cooperano sul piano organizzativo per costruire un ambiente favorevole a chi ha responsabilità famigliari. Forse quest’ultima direzione è l’unica del piano che ha qualche possibilità di essere realizzata, se esistono a livello locale le necessarie disponibilità culturali, politiche, organizzative, dato che non impegna finanziariamente né Stato né Regioni. Ne esistono già esempi, al di là di quello trentino segnalato dal piano. Il rischio è che, come su altre cose, ci siano Italie non solo a diversa velocità, ma che vanno in direzione opposta.
UNA SOLA FAMIGLIA
All’apertura della conferenza, nei discorsi di Maurizio Sacconi (ministro del Welfare) e Carlo Giovanardi (sottosegretario alla Famiglia) il target di queste politiche si chiarisce e si delimita: solo coppie regolarmente sposate con figli. Una visione tutta ideologica della famiglia, che la riconosce solo quando è eterosessuale e basata sul matrimonio e rimane indifferente di fronte ai cambiamenti e alla pluralizzazione dei modi di fare famiglia, anche con figli, documentata anche in Italia dai dati statistici: coppie di fatto etero e omosessuali, genitori soli, famiglie ricostituite in cui i figli non sono, o non tutti, della coppia con cui vivono e talvolta pendolano tra una famiglia e laltra. Una visione che tratta tutte queste altre famiglie come devianti, non come modi legittimi di esprimere amore e solidarietà e di farsi carico di altri, perciò meritevoli di sostegno.
(1) C. Saraceno, Alcune considerazioni in tema di quoziente famigliare.
(2) C.DeVincenti e R.Paladini, “Al di là del quoziente familiare“.
(3) Si veda, rispettivamente, Oecd, Starting Strong: Curricula and pedagogies in Early Childhood Education and Care, Paris, Oecd. E Del Boca D. Pasqua S. Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per l’infanzia. Rapporto Fondazione Agnelli forthcoming 2010.
(4) Saraceno C., Non è solo questione di maestro unico.
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Danilo
A parte che l’ultimo paragrafo dell’articolo mi è sembrato leggermente astioso verso questa specie di "ideologia" professata da Sacconi e Giovanardi, rammento agli autori dell’articolo in questione l’articolo 29 della Costituzione italiana: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare". Ecco il semplice motivo per il quale nel documento non rientrano i cambiamenti e le pluralizzazioni dei modi di fare famiglia. Altrimenti, il Forum si sarebbe chiamato "Forum delle coppie"…
Sagliano Salvatore Antonio
Gentili autrici, mi permetto solo un appunto. Affermare che qualcuno ha una visione ideologica di qualcosa vale a dire che antepone la logica della sua idea al fatto vero, deformandolo. E a me sembra che Voi stesse rischiate di cadere in questo errore, quando affermate l’idea secondo la quale non esistono differenze tra i diversi tipi di famiglia. Che l’utilità sociale del sostegno alle famiglie con figli sia maggiore, mi sembra un fatto palese. Che le coppie di fatto (riluttanti verso il matrimonio) promettano meno stabilità – e perciò amore – della famiglia tradizionale, mi sembra altrettanto palese. Vi assicuro, per esperienza, che dietro la famiglia tradizionale non c’è appena un’idea, bensì la scoperta della possibilità di poter desiderare tutto e per sempre. Alla luce di questo fatto condivido l’importanza e l’urgenza di rivalutarne l’immenso ruolo sociale. Anche a costo di segnalarlo tramite una differenziazione di incentivi.
Arianna Visentini
Oggi ho partecipato al gruppo di lavoro Famiglia-Lavoro. E anche in questa occasione è stato sottolineato il valore delle scelte famigliari o meglio delle scelte "coniugali". E’ difficile esprimere giudizi sulla base di una carrellata di interventi accomunati dalla volontà ragionevole e condivisa di favorire la conciliazione dei tempi famiglia-lavoro ma non riesco a fare a meno di esprimere un senso di delusione dovuto al fatto che non sono state date risposte concrete a chi lavora quotidianamente su questi temi. I fondi dedicati alla 125/91, seppure strumento importantissimo per le organizzazioni di lavoro pare siano stati ridotti a poco più di 1 milione di euro, l’articolo 9 modificato pare non essere ancora pronto per la pubblicazione e ci si chiede quali e quanti progetti si possano presentare quand’anche venisse emanato nei prossimi giorni e se le risorse non utilizzate per il 2010 verranno aggiunte a quelle del 2011. Mah… sono molto perplessa.
G. Garatto
Stando alle agenzie di stampa, ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi a margine dei lavori della seconda giornata della Conferenza Nazionale della famiglia avrebbe dichiarato: "Sappiamo dalle proiezioni demografiche che già nel 2050 il nostro rischia di essere un Paese in cui gli italiani sono la minoranza della popolazione”. Potrebbe essere utile al Sottosevretario e soprattutto all’opinione pubblica che un demografo commentasse questa affermazione, con l’appoggio di dati in suo possesso. Grazie.
mny
Ho molto apprezzato l’articolo di Del Boca e Saraceno e l’invito a considerare inseparabile le politiche dai fondi che dovrebbero sostenerle. per ciò che concerne le famiglie e i commenti letti, se è vero che ancora è riconosciuta in Italia la sola famiglia eterosessuale e basata sul matrimonio è anche vero che va sostenuto e amplitato il dibattito per capire se questo modello, superato nella realtà, non debba essere anche e finalmente superato nella legislazione.
Claudio Resentini
Brave le autrici! In questi tempi bui ci vuole anche una buona dose di coraggio per denunciare la deriva reazionaria dilagante. Quanto al tono deciso direi che è quello che ci vuole per cercare di risvegliare dal torpore le coscienze assopite. La ricetta è sempre quella: meno tasse, meno welfare, meno servizi pubblici, più servizi privati, più famiglia (leggi donne che restano a casa e svolgono lavoro di cura). Insomma meno stato più mercato: è la stessa ricetta del famigerato Libro Verde di Sacconi sul futuro del modello sociale: un futuro che assomiglia tanto ad un passato, a un tuffo all’indietro nell’Italia degli anni ’50. ps si consiglia tra l’altro la lettura dell’aureo libricino anche chi si occupa di satira o a chi vuole semplicemente farsi quattro risate, anche se un po’ amare: in alcuni punti è un capolavoro di comicità involontaria e sembra evocare atmosfere da "Pane, amore e fantasia" o "Peppone e Don Camillo", con farmacisti e carabinieri che fanno le veci degli assistenti sociali: impagabile!
Iceland_Man
Fatto salvo il caso di unioni tra individui dello stesso sesso (per il quale va fatto un discorso a parte) vorrei tanto sapere perchè sia necessario riconoscere alle unioni di fatto i diritti che sono già garantiti alla famiglia "tradizionale". Esiste una procedura "veloce" che richiede una semplice firma in comune (senza la "sovrastruttura" religiosa). Se il problema sono i costi della cerimonia, basta cavarsela con una pizza per quattro amici. Sono realmente interessato a conoscere le oscure ragioni per le quali una semplice firma è così "impegnativa". Altrimenti potrebbe sembrare un capriccio. Saluti.
Chiara Fabbri
Condivido l’osservazione delle autrici che il documento sia curiosamente redatto ignorando una porzione consistente delle realtà familiari italiane diverse da quella eterosessuale fondata sul matrimonio. In relatà, tuttavia, la cosa più sorprendente è che anche per il modello familiare "giusto" nella visione dei redattori del documento, cioè la famiglia "tradizionale", la situazione apppare tutt’altro che rosea: in realtà il documento presuppone non tanto una famiglia tradizionale, quanto una famiglia in cui almeno uno dei coniugi abbia un reddito elevato, idoneo a consentire il sostentamento dell’altro coniuge dedito al lavoro di cura e di tutti gli altri componenti (minori e anziani, ma anche disabili e lungodegenti). Personalmente ritengo che la migliore forma di investimento per la famiglia sia l’offerta di servizi di cura in quantità e qualità adeguate, naturalmente, come giustamente sottolineano le autrici, con un adeguato investimento di fondi.
Diego Alloni
L’equazione Istat famiglia=nucleo abitativo è una riduzione ideologico-immobiliarista. A parte i divieti legali al matrimonio (attesa di divorzio, età minore, ecc), che ci sono e che non possono essere circolarmente imputabili come causa del non-essere famiglia, va ricordato che che il matrimonio è un diritto civile, da agevolare come fonte di progresso, senza barattarlo con altri diritti. Più grande ancora è il diritto costituzionale europeo alla famiglia, cioè ad avere e crescere i figli. I nuclei monogenitoriali non sono famiglia, perchè negano al padre il diritto/dovere di aver cura dei figli; le coppie gay/lesbiche non sono famiglia, perchè negano il diritto ai figli di ricevere cura da un genitore non dello stesso sesso; le coppie conviventi non sono famiglia, perchè espongono i figli ad un rischio del 50% superiore di non ricevere cura dal padre; ecc. La famiglia è, tra tantissime cose, una forma di unione che ci tutela da un capitalismo di stato o di mercato, che invece ci vorrebbe tutti divisi, come monadi (Veltroni, in un famoso discorso: operai separati dagli imprenditori, uomini dalle donne, figli dai padri) per venderci anche l’inverosimile.
carlo simeone
Vi sarei molto grato se poteste chiarirmi cosa significa ” pluralizzazione dei modi di fare famiglia “, poichè mi sembrano termini che andavano di voga nell’epoca dei soviet, quando al posto del termine democrazia, si ricorreva al succedaneo ” pluralismo “.
Grazie
Carlo Simeone
ALBERTO OLMI
Possibilità effettive per le famiglie non ne vedo. Come si legge dai commenti, l’ideologia è di buona qualità perchè distoglie dagli strumenti specifici che incidono sulla vita delle persone e senza produrre alcunchè si crea consenso. E’ il servizio che costa meno di tutti. Ad una fiscalità favorevole alle famiglie con figli si è rinunciato. Anche se complessa, gli addetti ai lavori sanno perfettamente come sarebbe possibile procedere senza distorsioni. La sperimentazine dei servizi sui territori c’è ma è palesemete ignorata dalla conferenza. Anche la banalità e la superficialità del dibattio sulle reti di solidarietà è stucchevole rispetto alle pratiche già presenti sui territori. La cancellazione del fondo per la non autosufficienza, la sostituzione del fondo per la famiglia in favore di un concorso a premi e le scelte complessive sul welfare hanno pesato.
michele bromo
In caso di crisi, forse la salvezza può venire solo dalle famiglie che possono garantire un stato sociale decente per le persone. Pensare che lo Stato possa garantire sempre i diritti sociali è una utopia che la realtà quotidiana ci mette davanti. Finamola con le ideologie, ci vuole buon senso e tutelare la famiglia unica ancora di salvezza.