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L’Europa di Tommaso Padoa – Schioppa

Quando ho incontrato Tommaso Padoa-Schioppa, nei primi anni Settanta, eravamo ragazzi, al Servizio studi della Banca d’Italia. Si discuteva molto: l’approccio monetario della Banca, tutto controlli e ingegneria per finanziare il disavanzo pubblico, e poco mercato, ci appariva scandaloso (ci vollero Carlo Azeglio Ciampi e la disinflazione degli anni Ottanta per smantellarlo). Ma sono nate in quel clima spirito di servizio pubblico e solidarietà professionali che sono durate, nonostante i diversi cammini intrapresi. Sabato sera, 18 dicembre, Tommaso aveva riunito per una cena a Palazzo Sacchetti quelli che aveva definito “gli amici di una vita”: un malore ce lo ha strappato mentre si apprestava a spiegarci perché ci aveva riuniti.

GLI ANNI IN BANCA D’ITALIA

Quando arrivai al Servizio studi, Tommaso era capo dell’ufficio mercato monetario; aveva già la sicurezza di giudizio e l’autorevolezza, e raffreddava spesso con l’ironia il nostro impeto. Ma fu proprio lui a promuovere un mutamento fondamentale nella conduzione delle aste dei titoli pubblici, con l’introduzione dei tassi variabili; l’avvio di un cammino che condusse all’inizio degli anni Ottanta al “divorzio” tra il Tesoro e la Banca d’Italia, sancendo l’autonomia della politica monetaria. Mi ha raccontato che dopo aver presentato le sue proposte a Paolo Baffi, allora direttore generale, fu richiamato dopo ventiquattro ore ed entrò con profonda apprensione nella sala delle riunioni, dove trovò il direttorio al completo, che invece le approvò. Fu il suo trampolino di lancio verso i vertici della Banca.
Alla fine del decennio, non ancora quarantenne, Tommaso fu nominato direttore generale agli affari economici e finanziari, in prestito temporaneo dalla Banca (Ciampi non amava che i suoi funzionari si spostassero fuori della banca, ma era generoso dei loro servizi con altre istituzioni). Era partito lo Sme, un sistema di cambi fissi ma aggiustabili che pose fine in Europa al disordine monetario seguito alla rottura dei cambi fissi di Bretton Woods. La nuova sfida era quella di far convergere le politiche degli Stati membri in direzione coerente con gli impegni di cambio. Tommaso pensava ancora prevalentemente alla politica economica come una sequenza di atti discrezionali; ma riteneva necessario spostare l’esercizio della discrezione al livello comunitario. La filosofia delle regole sarebbe venuta dopo.

L’IMPEGNO PER L’EUROPA

All’inizio del decennio, il nuovo presidente francese François Mitterand adottò politiche espansive, mentre la Germania stringeva per raggiungere più in fretta la stabilità monetaria. Le tensioni sui cambi dello Sme divennero presto molto intense. Nel marzo 1983 – in occasione di un drammatico riallineamento delle parità centrali – la domenica sera il ministro delle finanze Jacques Delors chiese di sospendere il negoziato e ritornò a Parigi, dove ottenne da Mitterand il cambiamento di rotta nelle politiche interne che salvò lo Sme. Nacque nella preparazione di quegli eventi drammatici la collaborazione tra Delors e Tommaso, mai più interrotta.
Vide lucidamente, alla metà del decennio l’importanza dell’Atto unico europeo che introdusse il voto a maggioranza per le decisioni nel Consiglio riguardanti il mercato interno e, consentendone la realizzazione, rese l’Unione monetaria ineluttabile. È rimasto famoso il suo “quartetto incompatibile” delle libertà  di scambio, capitali e politiche monetarie, in regime di cambi fissi (anche se aggiustabili)  che appunto indicava la strada della rinuncia all’autonomia monetaria. Fu il motore del Comitato istituito da Delors per formulare le proposte sull’unione monetaria approvate a Maastricht e poi realizzate alla fine degli anni Novanta. Credo sia stato lui a insistere per inserire nel trattato una data per la sua realizzazione, come già si era fatto con successo con il programma per il mercato interno.
Fu naturale, per lui, trovare posto nel primo Comitato esecutivo della Banca centrale europea. Ricordo che, quando fu designato, si diceva che nessun altro italiano sarebbe parso più accettabile ai nostri schizzinosi partner europei. Un bel volume, pubblicato con MIT Press nel 2004, riassume le sue idee e i suoi contributi di quegli anni. (1) Colpisce l’attenzione agli aspetti della vigilanza dei mercati finanziari, dove ha instancabilmente spinto, inascoltato, per una centralizzazione a livello europeo almeno degli indirizzi e degli standard regolamentari; e agli aspetti di “plumbing”, cioè al funzionamento del sistema dei pagamenti. Due aspetti nei quali aveva all’attivo la profonda esperienza maturata negli anni delle vice-direzione generale della Banca d’Italia.
Negli anni recenti la sua attenzione si è sempre più concentrata sul progresso delle istituzioni europee, che vedeva minacciato dal ritorno di miopi nazionalismi. Scriveva nell’introduzione di un suo volume: “Leadership di governo inadeguate al compito, riluttanza delle forze politiche e intellettuali a ripensare (soprattutto in Francia) la propria strategia europea e mondiale dopo la caduta dell’impero sovietico e la riunificazione tedesca, hanno lentamente condotto a una spirale pericolosa di menzogne e di favole. Alla dissimulazione onesta, messa al servizio di un nobile scopo (…) è subentrata la dissimulazione viziosa, la sistematica invocazione dell’Europa quale vero colpevole di ogni male, di ogni decisione impopolare, come ostacolo alle mani libere di cui i governi avrebbero bisogno per affrontare con successo i problemi”. (2)
Diceva che gli esiti non erano scontati, che la costruzione poteva riprendere ad avanzare, ma anche rompersi. Ha tratto conforto – come molti di noi convinti europeisti – dal fatto che il gruppo di leader più estranei all’idea di Europa dal dopoguerra è stato obbligato a correre a Bruxelles e organizzare insieme prima il salvataggio della Grecia, poi una rete di sicurezza per l’intera eurozona, già nucleo di un futuro Fondo monetario europeo e, forse, dell’unione fiscale. Ma vedeva bene l’insufficienza delle nuove regole di governance economica:[1] “Quello che si propone ora è, forse sì, un governo europeo, ma – a differenza della moneta – un governo privo di strumenti europei, affannato a indirizzare strumenti e variabili nazionali (…) Insomma, una felliniana prova d'”orchestra”. (3)
Più che mai oggi, guardando le persone presenti al suo funerale, in Santa Maria degli Angeli, ho sentito l’importanza della sua figura: un esponente di punta di quella comunità di uomini pubblici, insegnanti, intellettuali, che pensano ancora all’Europa come la via obbligata per superare le ristrettezze di un presente poco esaltante, che vedono nell’integrazione politica in Europa l’unica speranza di un futuro decente per i nostri figli.

Leggi anche:  2004: il miracolo europeo dell'allargamento*

(1) The euro and its central bank Getting united after the union.
(2) Europa: una pazienza attiva, Rizzoli Osservatorio, maggio 2006, pag 7.
(3) Da un suo editoriale sul Corriere della Sera pubblicato il 3 ottobre scorso.

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  1. Grazia

    Dipendente del Tesoro da anni, ero già orfana di Padoa-Schioppa alla caduta del governo Prodi. Le differenze fra prima e dopo (stile, competenza, rispetto, considerazione) inesprimibili. Adesso non posso nemmeno sperare che torni ad essere il "mio" ministro. Grazie del ricordo e dell’affetto che fa trasparire.

  2. G. Dorigo

    Quando una persona incide così profondamente sulla realtà che la circonda l’eredità delle sue decisioni ed azioni non può che continuare ben oltre i limiti d’un umano trapasso; in tal senso credo che onorare la costruzione europea sia un modo per onorare lo sforzo di milioni di persone che con gioia o per legge, comunque si sono sacrificate per decenni per realizzare un progetto che mettesse le generazioni future al riparo dai sanguinosi disastri del passato. Tuttavia proprio la moneta unica è ora sotto attacco, non solo materialmente, ma anche teoricamente. Da mesi economisti di chiara fama come Paul Krugman, per esempio, attaccano l’architettura dell’euro rivelatosi, a loro dire, incapace di gestire pienamente gli schock asimmetrici. La medicina prescritta è il ritorno alle monete nazionali in modo da far valere la leva delle svalutazioni competitive, questo poiché sembrano mancare i presupposti (unione fiscale e del mercato del lavoro) per un’unione monetaria efficiente capace di assorbire gli schock asimmetrici anche in assenza dell’ammortizzatore valutario. Credo che uno sforzo culturale per controbattere ciò sia più che necessario, prima che l’edificio ci crolli addosso.

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