Gli incidenti sul lavoro in Italia sono apparentemente meno della media europea, anche se il tasso effettivo è probabilmente più elevato. La discrepanza è dovuta all’esistenza di una fiorente economia sommersa e all’influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud, che impedisce la denuncia degli infortuni. Sempre nel Mezzogiorno vive circa il 67 per cento delle famiglie in povertà relativa. L’obiettivo primo dovrebbe essere perciò la riduzione del tasso di povertà, sia combattendo il sommerso, sia con stanziamenti ad hoc gestiti dalla Conferenza delle Regioni.
La sicurezza del lavoro è un problema da affrontare in termini legislativi, ma con la dovuta conoscenza statistica del fenomeno. Un’analisi con metodo scientifico si può realizzare attraverso l’utilizzo di più indicatori e l’indagine sui livelli di omogeneità e non, soprattutto a livello internazionale, dei dati a disposizione.
I LUOGHI DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO
Una comparazione internazionale dei dati indica l’Africa come il continente in cui più c’è da fare per creare un ambiente di lavoro dignitoso. L’Asia presenta ormai percentuali di incidenza infortunistica sempre più simili a quelle occidentali, anche per i progressi nel mondo del lavoro che si stanno compiendo in India e Cina; resta comunque il continente in cui avvengono più infortuni, perché è il luogo del mondo in cui vi sono più occupati.
Grazie ai miglioramenti progressivi degli ultimi trenta anni, l’Italia registra livelli apparentemente inferiori alla media europea, probabilmente però il tasso effettivo di infortuni è invece leggermente più elevato. La discrepanza è dovuta all’esistenza di un’eccessiva economia sommersa e all’influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud (in particolare in Calabria, Sicilia, Campania) che può impedire la denuncia degli incidenti. Inoltre, nel settore agricolo, il tasso di incidenza complessivo risulta nettamente superiore alla media europea.
I dati presentati dallInail nel maggio 2008 indicano che il costo sociale degli infortuni sul lavoro in Italia ammonta a circa 45 miliardi e mezzo di euro, il 3,2 per cento del prodotto interno lordo, ed è composto da spese per assicurazione (per il 26 per cento), spese di prevenzione (per il 32 per cento), costi indiretti (42 per cento).
I DATI SULLA FREQUENZA DEGLI INCIDENTI
La metodologia Esaw (utilizzata da Eurostat) considera essenzialmente due tipi di indicatori statistici per l’analisi degli infortuni sul lavoro: il numero di infortuni e la loro frequenza. Per definire la frequenza degli infortuni occorre definire il rapporto tra il numero di infortuni e la popolazione di riferimento degli occupati calcolata mediante l’indagine campionaria sulle forze lavoro gestita dall’Istat.
È importante rilevare che questo utile rapporto presenta al numeratore un dato desunto da fonte amministrativa e al denominatore un dato proveniente da una fonte statistica (l’indagine sulle forze lavoro) e quindi, nella sua interpretazione, occorre considerare:
– la non omogeneità delle fonti di provenienza;
– la possibilità di avere dati sottostimati: infatti, mentre il dato sugli occupati (al denominatore) comprende anche gran parte dei lavoratori non regolari, quello sugli infortuni (al numeratore) dovrebbe comprendere, in particolare, gli infortuni dei regolari e una parte degli infortuni gravi dei lavoratori irregolari.
Inoltre, la struttura industriale di un paese influenza il tasso di frequenza totale degli infortuni a seconda della percentuale di settori con alto rischio, come agricoltura, edilizia, trasporti .
Dai dati Eurostat si evidenzia come l’Italia presenti nel 2006, per gli infortuni sul lavoro, un tasso di incidenza pari a 2.812 infortuni per 100mila occupati per l’intera economia, quindi un infortunio ogni trentasei occupati, inferiore al valore medio calcolato sia per i quindici paesi dell’Unione Europea (3.013) e sia per i dodici paesi della zona euro (3.469). Sulla base dei dati rilevati per l’anno 2006 l’Italia ha un numero di infortuni sul lavoro in linea con la media europea e sale poco al di sopra per quanto concerne i casi mortali; tuttavia, nel settore agricolo il tasso di incidenza complessivo risulta nettamente superiore alla media europea.
Il dato degli infortuni nel sommerso, poiché concerne l’economia non direttamente osservabile, sfugge alle statistiche amministrative degli enti previdenziali e assicurativi (Inps, Inail) e a indagini statistiche ad hoc. Tuttavia, si può provare a darne una valutazione per il 2009. L’Istat stima in 2.965.600 le unità di lavoro non regolari in quell’anno, ripartibili approssimativamente in 2.653.800 nel ramo industria e servizi e 311.800 in agricoltura (sulla base dei dati storici disponibili). Applicando a tali stime i tassi di frequenza standardizzati da Eurostat degli infortuni sul lavoro indennizzati dall’Inail (pari nel 2006 a circa 28 per 1000 per il totale economia e 60 per 1000 in agricoltura), gli eventi infortunistici occorsi nel 2009 alle unità irregolari risulterebbero pari a circa 74mila nell’industria e nei servizi e a 19mila in agricoltura. Nel complesso nel 2009, si possono stimare circa 93mila infortuni con esiti superiori ai tre giorni.
Le statistiche Eurostat sono elaborate sulla base degli infortuni dichiarati che vengono indennizzati dall’ente assicurativo previdenziale. Se si considera il rapporto registrato tra casi indennizzati e denunciati (compresi quindi quelli con assenza dal lavoro sino a tre giorni) e si includono gli infortuni in itinere, accaduti cioè nel normale tragitto casa-lavoro e viceversa, che sono stati nel 2007 97.278 (e quindi considerando una logica autoregressiva pari a più di 100mila nel 2009), si possono ipotizzare, con una stima approssimata per difetto, circa 135mila infortuni occorsi a lavoratori irregolari nel 2009 (senza considerare i valori dell’economia illegale).
Nulla lascia prevedere che nel 2010 la stima sia significativamente diminuita, a causa della crisi economia internazionale e in assenza di nuove norme sull’emersione del sommerso.
STIME PER L’ECONOMIA SOMMERSA
Il caso del sommerso italiano è molto interessante. Si può notare (grafico 1) una blanda correlazione negativa tra tasso di irregolarità (di fonte Istat) e frequenze relative di infortunio (di fonte Inail, calcolate sulla base degli infortuni indennizzati e degli addetti Inail): le Regioni dove l’economia sommersa è più diffusa tendono ad avere una percentuale di infortunati leggermente più bassa rispetto al totale nazionale. E siccome non è ipotizzabile che il ricorso all’irregolarità abbia effetti benefici sulla qualità del lavoro con conseguente riduzione del numero di infortuni, è del tutto legittimo affermare che il tasso di incidenza degli infortuni in quelle zone del paese sia maggiore, ma appaia minore per la mancata denuncia dell’evento all’ente previdenziale e, talvolta, per l’influenza della criminalità organizzata che, soprattutto nelle regioni del Sud, ha grossi interessi economici nell’economia sommersa. Il grafico che segue rende più comprensibile l’assunto.
Grafico 1: Economia non osservata e rischio infortunistico in Italia
Elaborazioni su dati Inail e Istat
Nel Mezzogiorno si può dunque stimare una percentuale di infortuni indennizzabili e non denunciati, in gran parte avvenuti agli irregolari, non lontana da quella degli infortuni denunciati e indennizzati. (1)
Nel complesso, in Italia, si valuta che siano circa 210mila gli infortuni concernenti lavoratori irregolari, ovvero circa un quarto del totale degli infortuni rilevati nel 2008 dall’Inail.
Si tratta di stime, basate su ipotesi, che utilizzano variabili talvolta misurate con metodi diversi o relative a periodi diversi (ma prossimi), e quindi i dati vanno considerati solo tendenzialmente, come misura approssimata del fenomeno.
Consideriamo infine la stima statistica ufficiale dell’incidenza della povertà relativa, in cui le soglie di povertà sono definite solo rispetto all’ampiezza familiare e non al territorio: dal 2003 al 2009 si registra una sostanziale stabilità dell’incidenza della povertà, circa l’11 per cento delle famiglie. Al Sud però i valori sono prossimi al 23 per cento: circa il 67 per cento delle famiglie relativamente povere, pari a più di 5 milioni di persone, risiede nel Mezzogiorno.
Diamoci quindi l’obiettivo preliminare di ridurre il tasso di povertà, sia attraverso la riduzione dell’economia sommersa, sia con stanziamenti ad hoc controllati e gestiti dalla Conferenza delle Regioni. Si potrà poi discutere di una nuova gestione più autonoma delle Regioni italiane e degli sviluppi della riforma federale, all’interno del Progetto europeo.
* L’articolo e le opinioni in esso contenute sono presentate dall’autore a titolo personale e non impegnano l’Istat presso cui presta la propria attività di ricercatore; www.frendaresearch.splinder.com
(1) Si è ottenuto tale valore imponendo per ipotesi, nelle regioni del Mezzogiorno (escluso l’Abruzzo), un rapporto tra infortuni ed irregolari pari al totale Italia (4,2 per cento). Emerge quindi che circa 78.000 infortuni, come stima minima, in gran parte e presumibilmente di entità non molto grave, non sono assolutamente denunciati alle autorità competenti.
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GiovanniVolpe.it
Tra gli interventi più efficaci, per ridurre in modo consistente gli infortuni sul lavoro, la priorità è da assegnare ad una maggiore diffusione della cultura, generale ed aziendale. Inoltre, per la povertà, oltre a varare leggi per l’indennità di sostegno, tra le iniziative possibili, concentrare i finanziamenti pubblici a veri imprenditori, laureati,… con elevata integrità morale. Il Blog di Giovanni Volpe Osservatorio Lavoro. Persone e società.
Bruno Stucchi
E’ già inverecondo che l’Eurostat ci metta 5 anni per eleborare statistiche che si rifanno al 2006. O battono la fiacca (probabile) o sono incapaci. Il cumulo delle cariche in questo caso è ammesso. E questo malgrado tutti gli strumenti informatici di cui -si suppone- dispongono. Fatta questa premessa, non credo che negli altri Paesi si consideri "infortunio sul lavoro" chi si fa male, per incidente d’auto o altro, nel percorso casa-lavoro. Confrontare dati strampalati produce solo strampalerie.
Giuseppe Tizza
In Germania vengono riconosciuti anche quelli in itinere, cioè quelli da casa al lavoro. E questo credo che valga per tutti gli altri paesi occidentali.
Francesco Pugliese
Nell’articolo si evince un’analisi tecnica interessante ed esaustiva sulla situazione in Italia degli infortuni sul lavoro e del sommerso. Chiara esposizione anche per i non addetti ai lavori come il sottoscritto. Interessante la valutazione del sommerso. Consiglio l’integrazione con altre fonti.
Stefano Matteucci
Tra tanti che si cimentano con le percentuali, non sempre in modo "disinteressato", finalmente uno specialista della materia. L’articolo è molto chiaro e molto interessante. Sarebbe anche interessante capire l’effetto moltiplicatore di questo sommerso, in termini di reddito generato a favore di chi beneficia del lavoro sommerso e se quest’ultimo reddito rimanga parzialmente/totalmente oscuro al fisco, al pari di quello corrisposto al lavoratore "in nero". Personalmente, penso che sia così, ma non mi sono mai interessato di reperire dati in proposito. Per andare ancor più in profondità, sarebbe anche interessante capire se e quanto questo reddito sommerso e sconosciuto, intendo dire soprattutto di chi beneficia delle prestazioni "sommerse", possa influenzare le dinamiche dei prezzi di alcuni beni, che sembrano non conoscere crisi soprattutto nel nostro paese. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi due anni, ciò sembra totalmente inspiegabile. In altri termini, sarebbe un altro possibile effetto del sommerso ai danni di chi sommerso non è.
Stefano Matteucci
Questo è quanto si può reperire su internet, in cinque minuti esatti, riguardo il trattamento degli infortuni in itinere in Europa. Spunto per ulteriori approfondimenti. Questo è quanto mi risulta. In Gran Bretagna il tema è trattato già dal 1946 nella legislazione generale di assistenza e non nella legislazione specifica sul lavoro (approccio interessante perché si pone nell’ambito dei diritti di tutti i cittadini) In Olanda il tema è trattato dalla legislazione dal 1966 Già nella Germania Hitleriana si erano posti il problema (!). Esiste una Legge del 31/3/1942 con concetti ribaditi nel par. 520 di una Legge del 30/04/1963. In Francia risultano essere in vigore due leggi-pilastro: L.30 ottobre 1946 n.46/2426 (Art.2) ampliata dalla L. 23/07/1957 n.58/819. In particolare è prescritta la corresponsione di una rendita, se l’infortunio causa morte, agli orfani ed in alcuni casi perfino ai genitori della vittima. In Belgio l’argomento è oggetto del DL 13/12/1945 In Lussemburgo l’infortunio in itinere è materia dell’ Art. 92 del Codice delle Assicurazioni Sociali del 17/12/1925 Ripeto, quanto sopra è frutto di una ricerca di 5 minuti, che per cui potrebbero esserci inesattezze.