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UNA NEUROECONOMIA PER IL FUTURO

Oggi la neuroeconomia cerca di investigare direttamente quali siano i meccanismi neuronali che entrano in gioco quando l’essere umano prende decisioni di carattere economico. E mostra che ogni nostra decisione coinvolge il lato emozionale: non è possibile distinguere tra azioni in cui soltanto la deliberazione consapevole razionale ha un ruolo e altre in cui entrano in gioco le emozioni, esiste invece una profonda commistione tra le due dimensioni. Quali sono le conseguenze per la teoria economica classica. E un approccio nuovo per il futuro.

 

Dopo un secolo di separazione non troppo consensuale, economia e psicologia hanno ricominciato a parlarsi con sempre maggiore convinzione, riconoscendo di essere discipline con fondamenti molto più comuni di quanto si possa pensare. Il paradigma tuttora dominante in ambito economico, che fa riferimento alla scuola cosiddetta neoclassica, si basa sull’assumere che le decisioni degli individui, perfettamente razionali, seguano una logica massimizzante, tesa a raggiungere il più alto livello possibile di utilità.

SE L’ECONOMIA SI FA SPERIMENTALE

Da anni, oltretutto con la consacrazione del premio Nobel attribuito nel 2002 a Daniel Kahneman per il suo lavoro seminale, l’economia sperimentale occupa un posto di tutto rispetto all’interno dei dipartimenti delle principali università del mondo. L’approccio tenta di portare nell’ambito economico il metodo e le teorie che la psicologia utilizza per spiegare il comportamento umano, con esperimenti in laboratorio che, con sempre maggiore evidenza, mostrano tutti i limiti della teoria della scelta razionale.
Seguendo il lessico di Thomas Kuhn e delle sue rivoluzioni scientifiche, possiamo dire che il paradigma neoclassico dominante subisce dunque diversi attacchi, tuttavia continua a godere di buona salute.
Il punto sta nel fatto che le criticità stesse del paradigma, vale a dire le sue assunzioni palesemente limitanti sull’agire umano, costituiscono nello stesso tempo un punto di forza dell’approccio.
Il riferimento a un’utilità soltanto ordinale e alle preferenze rivelate, cioè al fatto che il benessere di una persona possa essere inferito semplicemente osservando le sue scelte di mercato, è fondato sul pessimismo rispetto alla possibilità di misurare quantitativamente aspetti emozionali. (1)
L’ultima frontiera della ricerca economica però fornisce finalmente gli strumenti per un passo avanti, foriero potenzialmente di sviluppi importanti.
Le neuroscienze usano la risonanza magnetica, che mostra le zone di attività del cervello durante il suo funzionamento, per aprire quella scatola nera che è il cervello stesso, di fatto rimasto fino a oggi ai margini di una teoria economica in cui la scelta razionale, che ne è alla base, semplicemente tratta la decisione come un processo ottimo e perfetto. (2)

UN NUOVO APPROCCIO

La neuroeconomia cerca, per l’appunto, di investigare direttamente quali siano i meccanismi neuronali che entrano in gioco quando l’essere umano prende decisioni di carattere economico.
Due sono principalmente le possibilità con cui il nuovo approccio può contribuire all’avanzamento della disciplina economica.
Da un lato, potremmo considerare una modalità incrementale, attraverso cui le neuroscienze aggiungono una dimensione importante alle analisi delle decisioni economiche già in uso. Nuove variabili vengono introdotte in vecchi modelli, correggendone le ipotesi, arricchendone la capacità esplicativa, migliorando le possibilità predittive. Si tratta, insomma, di un’estensione della teoria standard, senza però minare le fondamenta e gli strumenti convenzionali di ricerca.
La seconda possibilità, invece, probabilmente da considerare su un più lungo periodo, consiste in un approccio radicale che fondi una nuova teoria economica della decisione, in grado non soltanto di spiegare tutto quanto, fino ad adesso, è stato oggetto dei modelli economici dominanti, ma anche e soprattutto quei limiti e quelle criticità legati alle assunzioni più eroiche improntate alla logica massimizzante dell’utilitarismo.
Si può intuire la posta in gioco: le neuroscienze minano alla base tale approccio.
Senza negare l’importanza che ha l’aspetto razionale nelle decisioni umane, esse tuttavia evidenziano l’inadeguatezza di un metodo che non consideri il ruolo cruciale svolto da automatismi e processi emozionali.
Gran parte dei comportamenti umani, infatti, non viene da una consapevole deliberazione, ma dall’applicazione di euristiche e da processi neuronali automatici, in cui quella che chiamiamo libera volontà non ha alcun peso. Non essendo una macchina perfetta, il nostro cervello risponde agli stimoli esterni trovando soluzioni rapide ed efficaci. L’impossibilità di elaborare velocemente un numero eccessivo di informazioni ci porta a risposte automatiche e istintive.
L’azione finale che noi osserviamo, insomma, è spesso soltanto la punta di un iceberg automatico in cui noi tendiamo a esagerare l’importanza del nostro controllo. (3)
Il secondo aspetto richiamato è altrettanto importante: ogni nostra decisione coinvolge il lato emozionale. Non è possibile discernere tra azioni in cui soltanto la deliberazione consapevole razionale ha un ruolo e altre in cui entrano in gioco le emozioni: le neuroscienze provano la profonda commistione tra le due dimensioni.

UNA SPIEGAZIONE PER LE BOLLE FINANZIARIE

Anche in Italia esistono alcune equipe che svolgono ricerche di neuroeconomia. (4) Uno studio effettuato da Matteo Motterlini, Nicola Canessa e altri collaboratori, ci offre un esempio delle sue possibili importanti applicazioni. (5)
A livello neurobiologico, ha individuato i meccanismi con cui le emozioni di una persona, determinate dal risultato di una sua scelta, influenzano chi la circonda, soprattutto per quanto concerne le decisioni successive a quella osservata.
Immaginiamo che un operatore finanziario investa del capitale in Borsa e lo perda. Proverà rimpianto per la decisione sbagliata. Ciò che Motterlini ha dimostrato, attraverso la tecnica della risonanza magnetica funzionale, è che nel cervello di una persona che osserva chi ha sperimentato una perdita e provato un rimpianto si attivano dei meccanismi che vengono denominati a specchio. In sostanza, delle aree cerebrali che ci consentono di “comprendere” il sentimento negativo.
Fino a qui, nulla di nuovo rispetto al fellow-feeling di Adam Smith, per citare il padre dell’economia classica: un sentimento di immedesimazione nei confronti di chi ci sta di fronte.
L’originalità e il contributo della ricerca stanno nell’aver dimostrato che le zone del cervello interessate da questo processo decisionale sono, per la gran parte, quelle stesse che si attivano quando, a provare il rimpianto, non è la persona che osserva chi ha perso, ma quella stessa che ha perso. Praticamente, il dispiacere che io osservo diventa “mio”.
Il possibile utilizzo di tale conclusione, ad esempio, per la spiegazione del fenomeno delle bolle finanziarie ci dà una prova robusta delle potenzialità insite nello sviluppo di simili ricerche, tanto più che le tecniche in uso delle neuroscienze sono in continua e rapidissima evoluzione.
La rivoluzione apparentemente radicale, tra l’altro, appare meno traumatica di quanto si possa pensare, se si richiama ad esempio il mito dell’auriga presentato da Platone nel Fedro.
Un carro è trainato da due cavalli: uno bianco, che rappresenta la parte dell’anima dedita ai pensieri più alti e razionali; e uno nero, che invece presiede ai pensieri più istintivi e passionali.
Ricordate chi è l’auriga che guida il cocchio? La ragione.
Insomma, come dire che Platone era più neuroeconomista che utilitarista neoclassico.

(1) Questa frase di William Jevons del 1871 riassume bene il problema: “I hesitate to say that men will ever have the means of measuring directly the feelings of the human heart. It is from the quantitative effects of the feelings that we must estimate the comparative amounts”.
(2) La risonanza magnetica è utilizzata attraverso diverse tecniche, in continuo sviluppo.
(3) L’immagine è utilizzata da Colin Camerer in Neuroeconomics: how neuroscience can inform economics.
(4) Per esempio il centro Cresa del San Raffaele di Milano e il Cimec dell’università di Trento.
(5) Learning from people’s experience: a neuroimaging study of decisional interactive-learning di Canessa N., Motterlini M., Alemanno F., Perani D. e Cappa S.F., di prossima pubblicazione su Neuro Image.

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11 commenti

  1. GV

    Ben venga un naturale incrocio tra la psicologia (o meglio le neuroscienze) e l’economia, un processo in corso da almeno 15 anni. Un breve commento su due punti. Molte scoperte delle neuroscienze sinora hanno semplicemente confermato cio’ che era noto a livello comportamentale in psicologia (o meglio nelle varie psicologie: cognitiva, sociale, dello sviluppo ecc). Prendete Prospect theory, e’ un teoria psicologica che ha avuto riscontri neurologici, o meglio ha guidato la ricerca neurologica. L’altro punto e’ su un grosso limite di questo genere di studi, vale dire l’essere basati su un individualismo metodologico. Vale a dire studiano il comportamento individuale in condizioni asociali. Certamente, ci sono delle situazioni in cui il comportamento individuale e’ sufficiente come unita’ di analisi. Eppure, gli ambiti di scelta immersi in un ambiente sociale non certo rari, con tutto il bagaglio di feedback complessi che comporta. In questo caso, risultati basati su studi ”individuali’" hanno grosse difficolta’ esplicative e predittive.

  2. Giacomo Costa

    Forse dovremmo distinguere tra le emozioni e i sentimenti. S. Jevons parla di “feelings of the human heart”, della cui misurabilità dubita. Comunque sia, i sentimenti non sono inconsapevoli e possono concorrere a costituire le preferenze, alla cui esistenza l’approccio economico (neo-)classico è più vincolato che all’utilità. Se le neuroscienze ci offrono dei metodi per misurare l’utilità, questo potrebbe lasciare del tutto indifferente l’economista. Altrettanto vale per la supposta scoperta che le emozioni intervengono nei processi decisionali, almeno sino a che non si pensi –come ad esempio spesso in tribunale- che le emozioni trascinino chi le prova a comportamenti non deliberati. Ma allora verrebbe da chiedersi se intervengano in processi decisionali, o li sostituiscano. Che molto nostro comportamento, anche economico, sia il risultato delle routines che abbiamo elaborato è innegabile, ma il nesso con l’individuazione delle “zone di attività del cervello durante il suo funzionamento” resterebbe da chiarire. Forse il collega Canova potrebbe essere un po’ più preciso nell’illustrare la sua affermazione che le neuro-scienze "minano alla base" l’approccio standard.

  3. Attilio Melone

    Lo sviluppo delle neuroscienze influenzerà in modo difficilmente immaginabile tutti i campi della conoscenza. Ho letto e sto rileggendo "Seconda Natura" di G.M.Edelman e vedo emergere lo sforzo di riappropriarsi di un’unità complessiva dell’essere umano. Le decisioni economiche non sfuggono a questa vicenda possibile. Quanto all’influenza delle emozioni sulle nostre decisioni, basta meditare un po’ "Alla ricerca di Spinoza" di Antonio Damasio per sentire rieccheggiare la (straordinaria) descrizione di Platone, senza che ci sia, però, l’implicito (ed errato) giudizio che la passione è inferiore alla ragione. Immaginiamo adesso un trader che deve prendere una decisione su un investimento in borsa. Si è preparato, ha studiato i fondamentali, ma ora deve decidere davanti ad un insieme di grafici… Crede nell’Analisi Tecnica? Speriamo di no. "Mind Time" di Benjamin Libet sembra mostrare che la sua scelta sarà per lo più incosciente, ma …c’è la sua storia. Insomma, signori economisti, per ora, siete come medici che non conoscono bene gli agenti patogeni e non hanno gli antibiotici. Sbrigatevi. Cercate di arrivare prima che il paziente ci lasci le penne. Saluti.

  4. Maria Cristina Migliore

    Sono d’accordo con il commento precedente che segnala i limiti degli esperimenti di laboratorio su individui e non su relazioni. Io aggiungo un altro grosso limite: quello di condurre esperimenti avulsi dai contesti collettivi ma anche materiali. Secondo la prospettiva teorica vygotskiana e di Leontiev (psicologi russi) ogni interazione sociale è mediata culturalmente e si svolge intorno ad attività concrete (che rispondono a bisogni culturali). Penso che gli economisti che si concentrano sui meccanismi neuronali dovrebbero porsi obiettivi conoscitivi più limitati di quelli ipotizzati nell’articolo. Sono anche critica nei confronti del quantofrenismo che mi pare di intravvedere in questi tipi di studi. Troverei più stimolanti studi economici basati su approcci culturali-storici e etnografici.

  5. Antonio Dicanio

    Sinceramente non credo sia necessario "scomodare" la psicologia per dire che la teoria neoclassica non sia valida. Semplicemente la teoria neoclassica si fonda su basi logico-matematiche sbagliate come ha dimostrato già 50 anni fa Pieri Sfraffa nel libro "Produzione di merci a mezzo di merci". Il perchè tale toria sia tutt’ora la più insegnata nelle facoltà di economia di tutto il mondo resta uno dei misteri più grandi. Forse è qui che può intervenire la psicologia per darci una spiegazione.

  6. Marco Spampinato

    L’articolo è molto interessante. Voglio solo integrare le informazioni sull’esistenza di una razionalità più estesa, che comprende sentimenti ed emozioni, sull’agire individuale e collettivo. In "shifting involvments" (mutevoli coinvolgimenti), A.O.Hirschman illustrava, ispirandosi alla filosofia, una modalità di cambiamento delle preferenze di un consumatore immaginario, alle prese con le proprie "delusioni". La delusione per atti di consumo di beni durevoli lo portava a decidere di investire diversamente il proprio tempo: in politica e partecipazione civile. La teoria di Hirschman comportava un problema logico. Osservato dopo un cambiamento di preferenze l’individuo può apparire "contraddittorio" rispetto al proprio precedente ordinamento di preferenze, ai propri gusti, per ragioni diverse dal calcolo economico. Questa contraddittorietà rispetto a scelte intertemporali può estendersi a meccanismi emozionali quali quelli menzionati nell’articolo quando esplode una bolla finanziaria. Ma qualcosa di simile avviene quando un individuo smette di fumare: molti altri suoi gusti potrebbero cambiare (frequenterà meno fumatori? Farà più sport? ) e per imitazione altri potrebbero seguirlo.

  7. giancarlo

    Se il problema riguardasse solo le decisioni economiche, poco male. Vi suggerirei di leggere l’ottimo neurologo/genetista italiano Edoardo Boncinelli. Un testo su tutti: "Mi ritorno in mente". Se ne deduce (se ne può dedurre) che lo spazio non solo dei processi decisionali, ma anche quello della coscienza si riduce a pochi secondi, all’incirca 3,5.

  8. Marcello Battini

    Ogni indirizzo di ricerca scientifica deve essere accolto con rispetto, ma anche con un sano scetticismo, al meno finchè non conduce a dimostrazioni scientificamente sicure, cosa che, nel campo delle scienze sociali è molto impegnativa. Personalmente non sono preda di facili entusiasmi, anche alla luce dell’esperienza negativa che le applicazioni neuroscientifiche hanno prodotto nel campo educativo.

  9. luciano pontiroli

    Si tratta di studi che, benché molto interessanti, non propongono davvero un nuovo paradigma. L’osservazione in laboratorio di processi cerebrali non spiega ancora perché si compiono certe scelte invece di altre: ammesso che una scelta d’investimento implichi aspetti emotivi, ciò non vuole ancora dire che questi prevalgono. Quanto agli euristici di cui parlano i cultori di behavioral economics, spesso conducono a scelte efficienti perché, in definitiva, sono costruiti sull’esperienza. Tutto ciò pone un problema serio, nel discorso di law and economics: se gli individui non decidono razionalmente, che ne è delle policies a sostegno della libera concorrenza, dell’iniziativa individuale, dell’empowerment dei consumatori? Sinora non sembra che ci siano indicazioni coerenti e ben argomentate. Non cediamo ad entusiasmi prematuri!

  10. BOLLI PASQUALE

    L’Economia, vista come razionalizzazione comportamentale dell’individuo nelle scelte per i suoi bisogni, rimane incompleta se non si raffronta con altre discipline: la Sociologia, l’Antropologia, la Psicologia e la Psichiatria. Se con più facilità ci si può raffrontare con Sociologia e Antropologia, il discorso diventa più difficile con la Psicologia e, ritengo, quasi impossibile, con la Psichiatria. I comportamenti dell’uomo in Psichiatria, più che la normalità, investono il campo dei disturbi mentali. Il prof.Andreoli, con una sua recente pubblicazione, ha correlato comportamenti sociali Economia – Psichiatria. Come si può trascurare, nell’attualità della nostra società, il legame mente-denaro? Il denaro, nella mente umana, crea sconvolgimenti molto importanti: ansie, paure e diversi altri atteggiamenti distorti. La nostra società,, che ha alla sua base il denaro e non la spiritualità, è psicologicamente angosciata ed ogni sua azione ne è condizionata. Non a caso, è stata richiesta la rimozione in piazza Affari di Milano, del dito medio dello scultore Cattelan: la cui muta presenza, porterebbe danno alle contrattazioni di Borsa. E’ da tener, poi, sempre presente che ogni mente è un unicum.

  11. Luciano Campagnaro

    È interessante notare come la concezione dell’attività mentale come architettura di scopi e credenze sia comune sia alla teoria cognitiva che alla teoria economica. Per la concezione cognitiva il pensiero non è altro che la scelta delle azioni ritenute più idonee al raggiungimento degli scopi dell’individuo. L’attività umana è sempre finalizzata a uno scopo (è quindi utilitaristica) e questi scopi sono consapevoli. La mente monitora continuamente il grado di soddisfazione di questi scopi e aggiusta il comportamento umano in base a quanto questi scopi siano stati soddisfatti. Cioè in base ai risultati raggiunti, secondo un vero proprio regime intenzionalmente utilitario. Il termine tecnico per indicare questo schema è unità TOTE (Test-Operate-Test-Exit), laddove “exit” è il risultato, “operate” i piani di azione e test la verifica del grado di adesione della realtà ai propri scopi. Miller, Galanter e Pribram sono i tre scienziati che introdussero questo termine nel 1960, e sono tra gli iniziatori della teoria cognitiva della mente a loro insaputa i primi “economisti” del razional pensiero. Oggi il cognitivismo è antagonista dell’economia? Le emozioni sono il traino al consumismo?

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