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AMMINISTRAZIONE DIGITALE: NUOVE IDEE, VIZI ANTICHI

Il nuovo codice dell’amministrazione digitale approvato alla fine del 2010 rischia di replicare alcuni dei difetti tipici della nostra pubblica amministrazione: prescrizioni generiche e sanzioni aleatorie, assenza di standard e di incentivi nei confronti degli enti virtuosi, mancanza di una strategia di accompagnamento soprattutto verso i comuni minori. Peccato, perché il ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta sicuramente una opportunità per tutta la Pa e un traino per l’intero sistema paese.

Con il decreto legislativo 235/2010 il governo, alla fine dello scorso anno, ha dato il via libera al nuovo codice dell’amministrazione digitale (Cad). Secondo il ministero, la necessità di una nuova normativa – che segue e aggiorna il vecchio codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82) – deriva sia dall’evoluzione delle tecnologie informatiche sia dai contenuti della “riforma Brunetta” (decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150) e dai suoi principi ispiratori: meritocrazia, premialità, trasparenza e responsabilizzazione dei dirigenti nella Pa. Come spiegano dallo stesso ministero, “i cittadini e le imprese richiedono mezzi più snelli, rapidi e meno costosi per comunicare con le pubbliche amministrazioni”, senza dimenticare che “è necessario mettere a disposizione delle amministrazioni e dei pubblici dipendenti strumenti (soprattutto digitali) in grado di incrementare l’efficienza e l’efficacia dell’intero sistema pubblico”. (1)

DALLA CARTA AL DIGITALE

Le intenzioni del nuovo codice sono del tutto condivisibili: le amministrazioni pubbliche – tutte – sono chiamate ad adeguarsi ai nuovi registri tecnologici rispettando indicazioni temporali precise. Vediamole: entro tre mesi le pubbliche amministrazioni dovranno utilizzare la posta elettronica certificata (Pec) o altre soluzioni tecnologiche per tutte le comunicazioni che richiedono una ricevuta di consegna; entro quattro mesi, dovranno individuare un unico ufficio responsabile dell’attività Ict; entro sei mesi le Pa centrali pubblicheranno sui propri siti istituzionali i bandi di concorso; entro dodici mesi saranno emanate le regole tecniche che daranno piena validità alle copie cartacee e, soprattutto, a quelle digitali dei documenti informatici. Un passaggio dalla carta al digitale in pochissimi mesi, dunque. Tanto più che, una volta che il sistema sarà entrato a regime, le pubbliche amministrazioni non potranno richiedere l’uso di moduli e formulari che non siano stati pubblicati sui propri siti istituzionali e il cittadino fornirà loro i propri dati una sola volta attraverso gli strumenti informatici. Sarà poi compito delle amministrazioni in possesso dei dati assicurare, tramite convenzioni, l’accessibilità delle informazioni alle altre richiedenti.
Sicuro sarebbe il risparmio e particolarmente decisivo in un contesto di crisi globale e ristrettezze economiche. Per citare uno studiopubblicato dalla Regione Lombardia, una specifica analisi svolta su un comune campione di 35mila abitanti ha evidenziato una spesa annua per le comunicazioni verso la sola pubblica amministrazione di oltre 35mila euro, a fronte di una spesa stimata in 50 euro annui se queste comunicazioni fossero gestite a mezzo Pec. (2)Milioni di euro potrebbero essere investiti in altro modo.

I LIMITI DEL NUOVO CODICE

Nell’elaborazione del nuovo documento, però, sembrano mancare alcuni elementi di importanza non secondaria: non è prevista alcuna autorità incaricata di controllare che i tempi e soprattutto i contenuti minimi previsti dalla legge vengano rispettati. E non è contemplata alcuna sanzione verso gli enti che non rispettino le prescrizioni del decreto. Limiti a cui il recente decreto legislativo, discusso dal Consiglio dei ministri il 21 gennaio 2011, non ha posto rimedio, scegliendo, anzi, di attenuare ulteriormente gli obblighi di accountability in capo ai dirigenti pubblici.
Che cosa accadrà se un comune, una provincia o un altro ente non rispetteranno le scadenze per le attività indicate nel Cad? In queste condizioni, è lecito dubitare che le intenzioni possano tradursi in risultati efficaci. Una sanzione avrebbe dato maggiori garanzie di un impegno serio nella direzione dell’innovazione. Meglio ancora sarebbe stata l’introduzione di un sistema di premi e incentivi per gli enti virtuosi.
In fondo, era già accaduto che prescrizioni come queste rimanessero lettera morta. Nel Cad si prevede che “le pubbliche amministrazioni utilizzeranno soltanto la posta elettronica certificata per tutte le comunicazioni che richiedono una ricevuta di consegna ai soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo”. (3)L’espressione: “soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo” lascia però perplessi. Si tenga presente, infatti, che il nuovo Cad è posteriore al decreto del 29 novembre 2008, n. 185, che già da tempo aveva stabilito l’obbligo, per le società di capitali, per le società di persone e per i professionisti iscritti in albi o elenchi e per le pubbliche amministrazioni, di dotarsi di una casella di Pec. Che fine ha fatto questa previsione?
Il caso riportato rappresenta uno solo degli esempi che si potrebbero citare per sottolineare la ridondanza del nuovo codice. Scorrendone il testo, infatti, ci si imbatte nella ripetizione di indicazioni e scadenze già introdotte da decreti e norme precedenti, che si collocano temporalmente tra il vecchio e il nuovo codice, e di cui il caso della Pec costituisce solo una delle incongruenze riscontrabili. Un altro aspetto che non viene approfondito è l’individuazione di linee guida per tutti i soggetti citati nel Cad, definite come “regole tecniche”. Più che di “regole”, servirebbero indicazioni operative chiare e comuni in grado di orientare ciascun ente verso il conseguimento dei risultati fissati entro le scadenze indicate. Nella stessa esigenza di concretezza si colloca la necessità, elusa dal codice, di formalizzare una governance condivisa, che supporti, in modo particolare, i comuni più piccoli, al fine di ridurre il digitaldivide fra enti di diversa dimensione. Si tratta di un problema tutt’altro che trascurabile, soprattutto alla luce delle attuali ristrettezze della finanza locale, se si pensa che i comuni con meno di 5mila abitanti, quelli che solitamente vengono definiti come “piccoli”, sono 5.962, 1.091 dei quali nella sola Lombardia.
Si tratta di criticità importanti, all’interno di un documento che avrebbe potuto realmente consentire un giro di boa per la Pa italiana e l’intero sistema dei suoi stakeholder, ma che rischia invece, alla stregua dei documenti che l’hanno preceduto, di restare lettera morta, rendendo necessaria l’elaborazione, a distanza magari di pochi anni, di un nuova normativa in grado di traghettare la pubblica amministrazione verso un reale rinnovamento. Del resto, lo stesso Renato Brunetta, lo scorso 20 gennaio, a margine di un accordo tra il ministero e la Regione Emilia Romagna, aveva ammesso la necessità di apportare alcune correzioni al nuovo codice. A un mese dal suo varo.

(1)http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/Codice_amministrazione_digitale/Nuovo_CAD.ppt

(2)http://www.semplificazione.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Redazionale_P&childpagename=DG_01%2FDetail&cid=1213388324692&packedargs=NoSlotForSitePlan%3Dtrue%26menu-to-render%3D1213388303470&pagename=DG_01Wrapper

(3)http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/Codice_amministrazione_digitale/Nuovo_CAD.ppt

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  1. Jacopo Nespolo

    L’arretratezza delle pubbliche amministrazioni per quanto riguarda le tecnologie informatiche divampa. Se mai si riuscira’ a passare ad una PA digitale, questo dovrà essere fatto utilizzando strumenti liberi e open source (FLOSS). La lontananza da questi obiettivi è evidente. Questo stesso articolo cita ben due ducumenti da governo.it in formato PPT, il formato proprietario di Microsoft per le presentazioni. Noi utenti, in questo modo, saremo costretti a acquistare prodotti costosi per visualizzare correttamente il contenuto delle PA. JN – http://www.gulp.linux.it

  2. Vincenzo Anfossi

    Molto interessante. Tra l’altro si crea un problema legato alle dimensioni delle città: chi vive in quelle più moderne e popolose si avvantaggerà degli effetti del Codice prima degli altri. Chi vive in un paesino dovrà attendere decenni. Il rischio è che si creino, come spesso capita, cittadini "di serie a" e cittadini "di serie b".

  3. michele

    E’ inutile abbandonare la carta e sponsorizzare i formati, protocolli e software proprietari, introducendo un nuovo capitolo di spesa. Se veramente si vuole ridurre la spesa pubblica, il Governo opti per formati e software gratuiti e open source, per lo standard di firma digitale open SSL, anzichè dover pagare un canone annuo per ogni firma digitale registrata. Il vantaggio della digitalizzazione della PA, non consiste nel risparmio della carta, quanto nella possibilità di controllo della spesa che l ‘informatica offre. Si pensi alla sanità, alla fine delle prescrizioni di farmaci e interventi a persone defunte, che hanno malattie per cui non possono fruirne, in numero maggiore alla capacità disponibile della struttura sanitaria, ecc.

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