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SE IL MUTUO LO PAGA LA REGIONE

La misura che ha ridotto le risorse statali destinate alla Regioni a statuto ordinario ha riflessi anche sul settore della casa. Priva le Regioni di una potenziale fonte di finanziamento delle politiche abitative, ma soprattutto le costringe a finanziare con proprie risorse il pagamento di mutui agevolati per la prima casa accesi in attuazione di leggi statali. Il danno sarà tanto maggiore quanto più recenti sono i mutui: per alcune potrà essere anche di molti milioni di euro all’anno. E per molti anni.

Inizia a produrre i suoi effetti la previsione del comma 2 dell’articolo 14 del decreto legge 78/2010 (legge 122/2010) sulla stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, che ha ridotto le risorse statali destinate alla Regioni a statuto ordinario di 4 miliardi di euro nel 2011 e di 4,5 a partire dal 2012. L’attuazione di quella previsione riversa i suoi effetti negativi anche nel settore della casa: oltre a privare le Regioni a statuto ordinario di una potenziale fonte di finanziamento delle politiche abitative, le costringe a finanziare con proprie risorse il pagamento di mutui agevolati per la prima casa accesi in attuazione di leggi statali.

IL FINANZIAMENTO STATALE DEI MUTUI AGEVOLATI

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ci fu un periodo relativamente proficuo per le politiche pubbliche per la casa. Nel 1978 fu approvato, con la legge 457 dell’8 agosto, un piano decennale di sostegno all’accesso all’abitazione in proprietà, da parte di famiglie con redditi medi e bassi, attraverso la concessione di mutui agevolati. La gestione amministrativa di quelle leggi fu affidata alle Regioni, alle quali lo Stato si impegnò a trasferire i fondi per il pagamento alle banche di una parte degli interessi fino al totale ammortamento dei mutui. E per ognuno degli anni dal 1978 e fino al 1990, lo Stato iscrisse nel proprio bilancio una determinata cifra, impegnandosi a riscriverla con lo stesso importo per i successivi ventiquattro anni (in termini più tecnici, iscrisse ogni anno un limite d’impegno venticinquennale). Le Regioni concessero un numero di mutui tale che gli interessi da pagare con le rate del primo anno di ammortamento assorbisse l’intero importo del finanziamento statale a ognuna di esse attribuito. Via via che l’ammortamento dei mutui procede (con il sistema alla francese: rata costante nel tempo, capitale crescente e interesse decrescente) si riduce progressivamente l’importo degli interessi da pagare. Poiché il finanziamento statale resta costante per tutta la durata della sua iscrizione a bilancio, si determinano economie crescenti.
Per semplificare il meccanismo operativo sintetizzato si può osservare il grafico 1. È disegnato ipotizzando l’iscrizione di 1 milione di euro a partire dal bilancio statale del 1990 e per i successivi 24 anni (linea fucsia). Al tasso di interesse del 10 per cento, di cui la metà a carico dei beneficiari dei mutui e metà a carico dello stato, sarebbe stato possibile mutuare 20,6 milioni di euro di capitale. Con un piano di ammortamento a 25 anni l’importo annuo delle due rate semestrali sarebbe stato di 2.216.947 euro (linea verde). La linea celeste indica la quota capitale crescente delle rate, quella gialla la quota decrescente del totale degli interessi e quella blu la quota, anch’essa decrescente, degli interessi pagati dal settore pubblico. Le economie sono costitute dall’area compresa tra le linee fucsia e blu.

ECONOMIE ADDIO

Il decreto legislativo 112/1998 (di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali) dispose, all’articolo 61, il trasferimento alle Regioni, a ognuna per l’importo a essa spettante, delle economie accumulate sugli stanziamenti annuali fino al 1997 e, a partire dal 1998, dell’intero loro importo. Fino al 2010 l’attribuzione dei finanziamenti alle Regioni creò le condizioni, con l’impiego delle economie, per sopperire, almeno in parte, alla latitanza finanziaria dello Stato nel campo delle politiche abitative, iniziata successivamente alla fine della programmazione dei fondi del piano decennale.
Con l’emanazione, in attuazione della legge 122/2010, del decreto ministero dell’Economia e finanze 14995/2011, questa possibilità viene meno.
La tabella 1, tratta dall’allegato a quel decreto, riporta l’importo delle risorse che avrebbero dovuto essere trasferite alle Regioni nel 2011. La tabella 2 quantifica per ogni anno l’ammontare complessivo degli stanziamenti di bilancio con i quali lo Stato avrebbe dovuto finanziare la legge 457/78 per l’insieme delle Regioni a statuto ordinario negli anni tra il 2011 e il 2020: si tratta di 2.571 milioni di euro. Le Regioni avrebbero dovuto beneficiare, al netto della restituzione dei loro “debiti” nei confronti dello stato, di 1.869 milioni di euro. (1) Con una parte di quest’ultimo importo avrebbero pagato alle banche il contributo sugli interessi dei mutui agevolati fino al loro completo ammortamento; la restante parte avrebbe costituito un’economia utilizzabile per finanziare le loro politiche per la casa.
La proporzione tra le due parti, dell’importo a ognuna di esse spettante, varia da Regione a Regione. Per la Regione Toscana è reperibile una previsione relativa agli anni dal 2011 al 2019 della distribuzione tra pagamenti di interessi e economie. Ipotizzando che la percentuale delle economie per la Toscana nel 2020 resti la stessa del 2019 e che in tutte le Regioni a statuto ordinario la ripartizione sia la stessa della Toscana, si può stimare che nel complesso le economie si sarebbero potute attestare intorno a 1.770 milioni di euro. A tanto, in sostanza, ammonta la cifra che nei prossimi dieci anni le Regioni avrebbero potuto trasformare in programmi per realizzare nuove case o per recuperare quelle esistenti da destinare ai meno abbienti. È una cifra più che doppia rispetto ai poco più dei 700 milioni di euro con cui il governo ha finanziato il piano casa nazionale.

UN ONERE AGGIUNTIVO

I 1.770 milioni di euro potrebbero risultare una stima per eccesso. Alcune Regioni potrebbero avere avviato i programmi in ritardo rispetto al momento in cui furono attribuiti i fondi, con la conseguenza che nelle rate di ammortamento dei mutui la quota interessi potrebbe essere più consistente di quella ipotizzata.
Paradossalmente, queste saranno le più penalizzate dall’applicazione della legge 122/2010. Fino al totale ammortamento dei mutui tutte le Regioni dovranno, infatti, far fronte con mezzi propri al pagamento alle banche del contributo sugli interessi sui mutui agevolati. Quindi, oltre a perdere la potenziale fonte di finanziamento per le politiche abitative costituita dalle economie, le Regioni dovranno anche trovare nei loro bilanci le risorse necessarie per pagare gli interessi su mutui che furono concessi in attuazione di leggi statali. Il danno sarà tanto maggiore quanto più di recente sono stati accessi i mutui: per qualcuna potrà essere anche di molti milioni di euro all’anno per un discreto numero di anni.

Grafico 1. Esempio di ammortamento venticinquennale del capitale mutuabile con un limite d’impegno di 1 milione di euro al tasso di interesse totale del 10% e tasso agevolato del 5%

Tabella 1. Importo dei limiti d’impegno non trasferiti alle singole Regioni a statuto ordinario nel 2011

Regione Stanziamentodel bilancio statale (Limite d’impegno) Giro fondi (si veda nota 2) Limite d’impegno al netto delgiro fondi
Abruzzo 11.548.080,00 2.450.717,00 9.097.363,00
Basilicata 7.803.406,00 707.985,00 7.095.421,00
Calabria 20.621.039,00 2.477.947,00 18.143.092,00
Campania 53.906.428,00 3.857.610,00 50.048.818,00
Emilia 44.212.171,00  9.939.019,00 34.273.152,00
Lazio 61.199.006,00 9.221.958,00 51.977.048,00
Liguria 14.489.302,00 3.313.006,00 11.176.296,00
Lombardia 71.249.516,00 14.967.528,00 56.281.988,00
Marche 11.295.171,00 3.394.697,00 7.900.474,00
Molise 3.545.115,00 617.218,00 2.927.897,00
Piemonte 43.170.219,00 9.639.487,00 33.530.732,00
Puglia 35.785.815,00 4.792.513,00 30.993.302,00
Toscana 34.911.402,00 6.526.169,00 28.385.233,00
Umbria 14.591.508,00 3.648.845,00 10.942.663,00
Veneto 27.877.724,00 6.916.468,00 20.961.256,00
Totale 456.205.902,00 82.471.167,00 373.734.735,00

Fonte: Dati tratti dall’allegato al decreto ministeriale 14995/2011.

Tabella 2. Importo dei limiti d’impegno non trasferiti all’insieme delle Regioni a statuto ordinario dal 2011 al 2020

Anno Stanziamento del bilancio statale (Limite d’impegno) Giro fondi (si veda nota 2) Limite d’impegno al netto del giro fondi
2011 456.205.902 82.471.167 373.734.734
2012 382.076.674 53.350.375 328.726.298
2013 382.076.674 102.254.886 279.821.787
2014 333.777.728 102.254.886 231.522.842
2015 289.497.229 74.947.918 214.549.311
2016 241.191.569 57.796.243 183.395.326
2017 188.862.608 68.643.778 120.218.830
2018 128.678.852 33.244.127 95.434.726
2019 128.678.852 92.236.914 36.441.938
2020 40.122.504 34.933.522 5.188.982
Totale 2.571.168.591 702.133.817 1.869.034.774

Fonte: Nostre elaborazioni su dati dell’appendice all’intesa Stato-Regioni del 18 ottobre 2007 per l’applicazione del Dlgs 122/1998 sul trasferimento dei limiti d’impegno. Il testo dell’intesa.

(1) A metà degli anni Novanta del secolo scorso, per raggiungere gli obiettivi di cassa richiesti per entrare nell’euro contemporaneamente agli altri grandi paesi, fu sospesa, per alcuni anni, l’iscrizione nel bilancio statale degli stanziamenti da trasferire alle regioni per pagare i mutui agevolati, allungando al contempo al 2020 la scadenza dei limiti di impegno. I fondi necessari per eseguire i pagamenti di interessi furono “prestati” alle Regioni (giro fondi) dal capitolo di bilancio della Cassa depositi e prestiti sul quale erano versati i fondi Gescal, con l’impegno alla successiva restituzione diluita nel tempo.

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DOMANDA DEL MATTINO

  1. Vincesko

    Il governo Berlusconi, non appena insediato, ha varato il “Piano casa”, che si è rivelato un bluff, perché è tale solo nel nome, essendo un piano di aumento delle… volumetrie; in più ha tagliato, per il 2009, 550 milioni già stanziati allo scopo dal governo Prodi nel 2007. In Italia, ci sono circa 955.000 alloggi popolari, ma dalla fine degli anni ’80, anche se i lavoratori pagavano per l’edilizia pubblica i contributi Gescal (fino al 1994), se ne costruiscono pochissimi: in media 2.000 all’anno, contro 10 o 15 o 20 volte tanto in altri Paesi europei, come la Francia, la Germania o i Paesi scandinavi. Negli altri Paesi europei, infatti, vengono costruiti molti più alloggi popolari, per calmierare i prezzi degli affitti e tutelare i ceti più poveri. Occorrerebbe reintrodurre l’ICI sulla prima casa dei ricchi e degli abbienti (2,5 mld) per finanziare un corposo piano di alloggi pubblici di buona qualità. La proprietà della casa, a ben vedere, o un affitto agevolato (affitto sociale) sono spesso per milioni di persone percettrici di redditi bassi (salari o pensioni) ciò che fa o potrebbe fare la differenza tra un’esistenza difficile ma economicamente sostenibile e la povertà.

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