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SALVIAMO DALLA POLITICA IL DIRIGENTE ESTERNO

La dirigenza in quota esterna nella pubblica amministrazione può ancora rivelarsi fattore di innovazione e stimolo al cambiamento interno. A patto che si limitino gli aspetti clientelari o di scarsa trasparenza. L’obbligo di pubblicazione dei curricula è un deterrente alla nomina di figure professionalmente deboli. E la necessità di una esplicita motivazione circoscrive la discrezionalità. Tuttavia, occorre una riscrittura della norma per porre chiari paletti alla politica insieme a un regolamento che disciplini il momento di selezione e individuazione del profilo.

L’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 165/2001, ha introdotto per la prima volta la possibilità per la pubblica amministrazione di far ricorso a professionalità esterne, con contratti di diritto privato a tempo determinato, per ricoprire posizioni dirigenziali. Chiara la ratio della norma: introdurre una leva di cambiamento della macchina amministrativa attraverso l’immissione di professionalità estranee in possesso di qualità e caratteristiche che contribuiscano a un arricchimento interno per il migliore raggiungimento degli obiettivi. La realtà dei fatti, tuttavia, presenta considerevoli aspetti critici che attendono ancora una soluzione.

L’INVADENZA DELLA POLITICA

In primo luogo, è da rilevare l’ineliminabile fattore rappresentato dagli appetiti della politica che, nella grande maggioranza dei casi, ha affidato tali incarichi a individui di assoluta fiducia personale e lealtà politica, talvolta sconfinando nel perimetro della dirigenza di seconda fascia, la cui nomina attiene al direttore generale, costituendo elemento ad altissimo rischio per la corretta dinamica dell’azione amministrativa e per il rispetto dei principi di buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Si aggiunga il pressoché continuo e generalizzato rinnovo di rapporti che, per loro natura, dovrebbero essere improntati alla temporaneità, dettata dalla momentanea non rinvenibilità delle competenze all’interno delle amministrazioni e si metta, inoltre, in conto il danno per la scelta di profili di insufficiente spessore che non apportino reali contributi di natura professionale. Infine, va ricordata l’ulteriore stortura rappresentata dal conferimento di incarichi al personale interno non dirigente, con un utilizzo abnorme dell’istituto che espone nominato e nominante al sospetto di scambio su base di vicinanza e fedeltà amicale e politica.

È evidente la contraddizione con lo spirito della norma, che vorrebbe creare le condizioni per un fecondo dialogo fra il settore privato e quello pubblico, arricchendo quest’ultimo di culture che si sono sviluppate al di fuori del solco burocratico di ancor significativa matrice weberiana. Essa mantiene, infatti, una sua innegabile validità, pure in un quadro di irrinunciabile accesso ai pubblici uffici attraverso procedure competitive e di necessaria separazione fra la dimensione politica e amministrativa. Va ricordato, peraltro, che l’obbligo di pubblicazione dei curricula operato dalla riforma Brunetta costituisce un potente deterrente alla nomina di figure professionalmente deboli, in quanto la si sottopone al giudizio dei pari e della collettività, e che la novità per cui il conferimento dell’incarico in quota esterna deve godere di “esplicita motivazione” costituisce ulteriore obbligo che circoscrive la discrezionalità della nomina. Tuttavia, occorrono passi ulteriori, quali una definitiva riscrittura della norma, allo scopo di porre finalmente chiari paletti alla politica e un intervento di natura possibilmente regolamentare che disciplini adeguatamente il momento di selezione e individuazione del profilo.

COME RISCRIVERE LA NORMA

Per quel che riguarda la formulazione della norma, dovrebbe espungersi ogni riferimento al settore pubblico, circoscrivendo l’area di interesse al solo settore privato e a ciò aggiungendo il requisito relativo alla specializzazione universitaria, declinato nel conseguimento di un master almeno biennale o di un dottorato di ricerca. Si individuerebbe, così, un unico profilo che assommi l’esperienza maturata nel settore privato e la specializzazione di natura accademica (resterebbero “in gara” anche gli appartenenti al mondo dell’accademia e delle magistrature). La Pa, infatti, ha certamente facoltà di ricercare la professionalità di cui ha bisogno (ricoprire le posizioni di cui si tratta non è certamente un obbligo), ma in settori necessariamente diversi dal proprio. Inoltre, la movimentazione deve essere di natura sostanzialmente orizzontale, e non, certamente, verticale: va ricoperta una posizione con professionalità analoghe, seppure afferenti a settori diversi, e non grazie a una sostanziale promozione, magari di personale interno. Le legittime aspirazioni del personale delle aree funzionali vanno soddisfatte attraverso procedure concorsuali.

Dal punto di vista operativo, resa manifesta la disponibilità della posizione vacante attraverso il proprio sito internet e perseguita ogni procedura di interpello interno, occorre una manifestazione di interesse dell’amministrazione ad accogliere candidature di soggetti esterni, con una chiara procedura di esame e selezione dei curricula, pubblicata sul proprio sito nonché in apposita sezione del sito internet della Funzione pubblica, rendendo disponibili, per la durata della fase di selezione, i cv dei candidati. Le motivazioni che hanno condotto al conferimento di incarichi a soggetti esterni andrebbero adeguatamente esplicitate anche all’interno della relazione sulla performance di cui al Dlgs 150/2009, in una corretta ottica di gestione del ciclo della performance.

La dirigenza in quota esterna può ancora rivelarsi fattore ad alto tasso di innovazione e stimolo al cambiamento interno: tuttavia, limitare al massimo grado aspetti clientelari o di scarsa trasparenza è passo irrinunciabile e non più differibile per un corretto funzionamento della Pa e garantire così la cittadinanza relativamente al raggiungimento degli obiettivi propri delle organizzazioni pubbliche.

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16 commenti

  1. Luigi Oliveri

    La riforma-Brunetta ha anche imposto agli enti locali il medesimo limite percentuale, pari all'8% dei dirigenti di seconda fascia, previsto dall'articolo 19, comma 6, per le amministrazioni statali. Un rimedio all'abuso della dirigenza esterna, che in alcuni enti è giunta a coprire il 100% dei posti della dotazione organica, in totale spregio al principio di continuità ed imparzialità amministrativa.
    Piuttosto che prendere atto della crisi del sistema degli incarichi esterni, le associazioni di comuni e province (Upi e Anci) continuano a chiedere a gran voce una correzione alla riforma, per ampliare il numero dei dirigenti di fiducia. Come se fosse questo il problema principale delle autonomie locali, specie in questa fase.

  2. Elio Gullo

    Alzare l’asticella (solo privati con master o dottorato) non risolve il problema del vestito su misura cucito sul predestinato alla scelta per logiche di appartenza/fedeltà. Rende solo più difficile promuovere veri "inetti", ma non elimina i problemi di indipendenza del corpo dirigenti dai vertici politici. Altre due osservazioni: 1. un dirigente privato con curriculum di alto profilo perchè mai dovrebbe entrare in una PA e guadagnare di meno? 2. ammettere che le professionalità da ricercarsi all’esterno siano solo quelle in possesso di "privati con alto curriculum", poiché le professionalità "da PA" devono essere già nella PA mi pare un circolo vizioso. L’autore dice che "la Pa, infatti, ha certamente facoltà di ricercare la professionalità … ma in settori necessariamente diversi dal proprio". E qual è il settore "proprio" di un Comune? O di una ASL? O di un Ministero? Ad una organizzazione complessa e articolata come una PA servono esattamente le stesse professionalità di un’organizzazione privata. E delle due l’una: o i dirigenti devono solo essere assunti per concorso (e non sarebbe male…) oppure la professionalità deve poter essere individuata ovunque.

  3. alessio

    Si può anche essere d’accordo a limitare i dirigenti esterni solo al settore privato ma si fa con personale di ruolo della PA che di fatto avrebbe le competenze per ricoprire il ruolo di dirigente? esempio: enti locali – istruttore direttivo D3 – laurea e master di specializzazione che viene chiamato come dirigente esterno in altro ente locale, oggi è possibile domani con la proposta del dott. Ferrante non lo sarebbe più. Basta essere consapevoli di rinunciarvi. In secondo luogo non è il titolo di studio che fa la professionalità (al massimo le competenze) a meno che non si intenda per master biennale la laurea magistrale. a questo proposito basta un esempio. ingegnere ambientale con laurea e 10 anni di esperienza scelto come dirigente esterno – in assenza di master e dottorato non potrebbe ricoprire quella posizione?

  4. roberta d'arcangelo

    Dott. Ferrante, non sono d’accordo con lei, né con la riforma Brunetta che in pratica niente ha fatto per sconfiggere nella PA la mala prassi di asservirsi alla politica, con amici, parenti e fedelissimi infilati in ogni dove, a suon di milioni. Uno strumento per innovare, stimolare e rinnovare la PA esiste, ed è costituzionalmente garantito nell’art. 97: sono i concorsi che dovrebbero far emergere le eccellenze, giovani e meno giovani, da qualunque settore esse provengano, con titoli adeguati alla posta in gioco. Ho regolarmente vinto un concorso pubblico, molto selettivo, durato oltre un anno e mezzo, con altre 106 persone, tutte in possesso di laurea e spesso master, conoscenze linguistiche ed informatiche di alto livello: solo 4 sono stati assunti, e per gli altri ora c’è l’incognita della soppressione dell’ente, parlo dell’Istituto del Commercio Estero. Le nostre legittime aspirazioni dove le mette?

  5. Dario Quintavalle

    Più che riscritto, il "diciannovecommasei" andrebbe abolito. Una norma che era stata originariamente introdotta per arricchire la PA di personalità del calibro di Mario Draghi (Direttore Generale del Tesoro), è stata usata per distribuire in modo clientelare incarichi di alta amministrazione, deprimendo le aspirazioni della dirigenza selezionata per concorso a fare una carriera trasparente e fondata sul merito. Soprattutto, il frutto avvelenato di tutta quella riforma è stato di trasformare la PA in una proprietà privata del politico, che similmente all’imprenditore si ritiene in diritto di nominare i dirigenti a lui più graditi… senza però il rischio d’impresa proprio del privato. La c.d. Riforma Brunetta ha fatto pochissimo in termini di meritocrazia, limitando al solo 50%, chissà perché, il numero di posti da direttore generale da mettere a concorso (norma facilmente aggirabile, liberando un posto per volta) e nulla per favorire la mobilità interna alla PA). In altri termini, occorre finalmente capire che a dover essere riformata non è la PA (estenuata e avviata all’estinzione causa ripetuti blocchi del turn over), ma la politica che ad essa sovraintende.

  6. giuliano nozzoli

    La norma si è rivelata "una boiata pazzesca" per dirla con Fantozzi. I punti di caduta sono quattro: vengono assunti dirigenti di provata fede politica che sono disponibili a firmare qualsiasi provvedimento per compiacere il politico di riferimento; i titoli di professionalità sono assolutamente aleatori, spesso non hanno neppure la laurea; gli incarichi sono rinnovati all’infinito (nel comune di Torino, grazie alla continuità del colore dell’amministrazione, siamo arrivati al quarto rinnovo consecutivo); si promuovono a dirigenti funzionari interni dell’amministrazione che, per esempio, non hanno superato il concorso pubblico.

  7. Barbara Malipiero

    Il titolo è un ossimoro: perché il "dirigente esterno" è la longa manus della politica. Non ha bisogno di essere salvato, perché è dalla politica che dipende, ed è ad essa che deve obbedienza e fedeltà. In un mondo migliore, come quello disegnato con gli occhiali rosa dall’autore, tale strumento potrebbe essere effettivamente usato meglio, ma nelle condizioni attuali l’unica cosa buona da fare è abolire la possibilità di accedere alla PA o alle promozioni fuori dallo strumento costituzionalmente previsto del concorso. Tra l’altro la maggior parte dei dirigenti così nominati non sono affatto "esterni" alla PA, ma funzionari surrettiziamente promossi alla dirigenza che vengono tenuti per anni sotto la minaccia di una retrocessione se saranno disobbedienti. Quanto all’idea di salvaguardare i frequenti accessi alla dirigenza dalla Magistratura, ordinaria ed amministrativa, non abbiamo sufficienti controprove di quanto ciò sia motivo di inquinamento della terzietà del magistrato? Il nome di Alfonso Papa (magistrato e Direttore Generale del Ministero Giustizia) non le dice niente, dott. Ferrante?

  8. Dario Quintavalle

    Davvero non si sentiva il bisogno di una simile proposta. Non si tratta di essere corporativi, ma di salvaguardare il principio di una PA di tutti, imparziale, cui si accede e si progredisce per concorso. Particolarmente fuori luogo nell’articolo, la preoccupazione di salvaguardare le aspirazioni di carriera di accademici e magistrati, categorie che certo non hanno bisogno dell’interessamento premuroso del dott. Ferrante per continuare a far man bassa di lucrosi incarichi. In particolare sarebbe auspicabile semmai mettere finalmente in discussione la cultura dei doppi incarichi, e quelle navette tra magistratura, alta amministrazione e politica che sono un terreno di coltura di malcostume, e che mal si addicono alla terzietà che si deve presumere in un giudice.

  9. Marco Spampinato

    L’idea della trasparenza del CV è ottima, e costituisce una misura minima contro i casi più eclatanti di uso clientelare di posizioni nella pubblica amministrazione. Mi sembra corretto anche che si eviti l’uso di posizioni "a termine" per remunerare personale interno, di livello funzionario o dirigente. L’aspetto più importante, per ciò che riguarda alcuni organismi della PA, è però la natura degli incarichi, le competenze richieste, la chiarezza dei compiti da svolgere. Quando prevale una logica clientelare o solo fiduciaria ciò non si vede solo dai curricula, ma anche dalla de-specializzazione delle strutture, dalla bassa competenza richiesta/apprezzata, dalla scarsa rilevanza delle attività, dalla marginalizzazione dei più motivati, dal blocco posto alle attività più rilevanti e difficili (analisi, valutazioni); l’amministrazione diventa un corpo silente, passivo, incapace di una minima progettualità autonoma e del tutto subordinato/imbrigliato dalle richieste più estemporanee della politica. Sui criteri formali una osservazione: dottorati e master sono di tipi/valori diversi. Non basta quindi guardare ai titoli, ma al complesso del CV e alla sua veridicità.

  10. Maurizio Gaetano

    Perché la PA fa ricorso a professionalità esterne, con contratti di diritto privato a tempo indeterminato per ricoprire posizioni dirigenziali? La logica organizzativa indurrebbe a rispondere:
    i) perchè quelle professionalità non esistono all’interno della PA;
    ii) perchè non c’è un rapporto di fiducia con le professionalità di quel tipo già esistenti nella PA;
    iii) perchè si vuole ricorrere a quelle professionalità per un tempo limitato.
    Tutte e tre le risposte implicano una carenza organizzativa della PA:
    i) nei termini della mancata acquisizione tramite concorso di risorse ritenute necessarie allo sviluppo dell’organizzazione;
    ii) come riflesso di una sfiducia nelle risorse esistenti (sfiducia nelle qualità personali? professionali? o di adattamento alle richieste?);
    iii) nel mancato ricorso ad una consulenza, di minore costo, che potrebbe creare sinergie ed apprendimento nelle esistenti strutture organizzative. Perchè quindi il ricorso al contratto esterno.
    L’articolo non da risposte, ma sembra razionalizzare a posteriori quelle soluzioni che dovrebbero invece essere trovate ex ante, nella selezione dei dirigenti pubblici.

  11. michele

    Per tutti gli incarichi dirigenziali o di consulenza nella pubblica amministrazione dovrebbero valere i requisiti di moralità e onorabilità, richiesti per partecipare a qualsiasi concorso pubblico ovvero per iscriversi agli albi professionali. In altre parole, chi non ha la fedina penale pulita non potrebbe beneficiare di consulenze o incarichi quantomeno a livello dirigenziale. Diversamente, senza questo filtro, la possibilità di una chiamata diretta e nominativa potrebbe diventare un modo più semplice (e lecito) di un concorso ad hoc, per premiare personaggi dal passato non troppo limpido. La norma non dovrebbe essere retroattiva. Tuttavia, il successivo conferimento di incarichi in deroga a questi requisiti comporta una sospensiva d’urgenza in pendenza di giudizio, un decadimento a vita non appena è accertata la presenza di condanne in via definitiva per reati di rilevanza penale, la responsabilità contabile degli eletti che conferiscono tali incarichi senza accertare l’assenza di reati penali in capo ai beneficiari, ovvero essendone a conoscenza, e soprattutto la decadenza a favore della pubblica amministrazione degli obblighi di pagamento per il lavoro svolto.

  12. michele

    Dobbiamo ricordare che master o dottorati sono titoli senza valore legale nell’odinamento, che riconosce come massimo grado degli studi la laurea di secondo livello. Ulteriori qualifiche non fanno punteggio per concorsi o graduatorie. Pertanto, ciò dovrebbe valere anche per dirigenti pubblici. Una garanzia di ulteriore qualifica potrebbe essere per determinati incarichi dirigenziali, l’iscrizione ad albi professionali e l’esercizio della libera professione per un determinato numero di anni. Da introdurre assolutamente una norma antinepotismo, simile a quella esistente per gli atenei, che vieta ai politici eletti (o che hanno lasciato la carica da meno di un anno) di assegnare incarichi dirigenziali e consulenze a parenti entro il terzo grado nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza. Ulteriore criterio, per garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione, a partire dalla sua dirigenza, e che il rinnovo/decadenza degli incarichi dirigenziali diventi un premio per una condotta fedele o indipendente ad indicazioni della politica, è la conversione a tempo indeterminato (non retroattiva) degli incarichi dopo la durata di 3 anni.

  13. Dario Quintavalle (Dirigente Ministero della Giustizia)

    Personalmente credo che la validità di un istituto si giudichi dai risultati, non da una fumosa "ratio" o "volontà del legislatore", esattamente come il buon seme si vede dai frutti. E allora una proposta: perché non fare un censimento di tutti gli incarichi e vedere che tipo di persone abbiamo assunto in questi anni? Poi, anch’io credo che la PA non debba essere autoreferenziale ed aprirsi all’esterno, ma non capisco che nesso c’è con i dirigenti contrattualizzati. Per immettere sangue fresco ed aprirsi all’esterno, una risposta c’è, e si chiama "concorsi e assunzioni". Sfugge ai molti che parlano di PA quanti siano ormai i buchi in organico. In nove anni da dirigente ho accompagnato alla pensione moltissimi impiegati, ma mai accolto un neoassunto. Nel mio Ministero non si fa un concorso dal 1997, e la forza lavoro è calata del 20%. "Blocco del turn over" questo vuol dire: meno posti di lavoro = meno opportunità per intere generazioni di giovani. C’è un nesso diretto tra blocco del reclutamento ordinario, e assunzione straordinaria, quindi credo che la vera priorità sia di programmare regolarmente nuove assunzioni, cioè assicurare il futuro della PA.

  14. Massimo Lanfranco

    D’accordissimo con la necessità di riscrivere l’accesso esterno alla dirigenza ma vorrei ricordare che ministeri ed enti locali (Regioni, Provincie e Comuni) sono realtà ben diverse. Posso capire la necessità di figure di altissima professionalità per i ministeri (e forse per alcune figure nelle Regioni) ma il discorso è ben diverso nelle realtà minori dove è invece fondamentale conoscere e comprendere il funzionamento della macchina amministrativa. Qui master e dottorati non hanno l’importanza di una sana esperienza come funzionario, capo ufficio, capo servizio. E comunque metterei al primo posto di accesso la mobilità, è l’unico modo di incentivare chi ha veramente voglia di migliorare. Concordo pienamente con le note di Dario Quintavalle: niente professori e niente giudici, grazie. Ne abbiamo già abbastanza di averli come consulenti.

  15. Samanta Colli

    Sono nella PA-Enti locali da 12 anni (ex-8° livello, ora D5). Sono entrata vincendo brillantemente un corso-concorso con prova preselettiva severissima (14 posti, 12 idonei). Ho lavorato inun Capoluogo, poi in Provincia e Regione. In tutti gli Enti ho visto assumere a go-go come dirigenti esterni degli incompetenti-incapaci, non prendevano una decisione neanche a spingere per paura del politico. Sulla professionalità si va al turpiloquio. In Comune presero un bocciato al mio concorso, poi un neo-laureato introdotto in Curia, poco dopo la nipote del Capo di Gabinetto del Sindaco. Nei rari casi in cui ho visto (non nella mia area) funzionari "incaricati" di dirigenza mediamente c’era capacità e professionalità. Sono d’accordo con Spampinato, Quintavalle, Malipiero e Gullo. Anche sui concorsi c’è da fare. Di recente ho passato 2 prove preselettive di concorsi interni di altre Direzioni (per la mia non c’era), la migliore rispetto ai colleghi della mia Dir, 3 dirigenti-funzionari bocciati. Allo scritto aspettavo dei quiz, invece un tema: bocciata. Ho chiesto l’accesso agli atti, viste cose inimmaginabili. Casualmente i 6 promossi sono "superinterni" di quella Direzione, per 6 posti.

  16. Alfredo Ferrante

    Intanto mi si permetta di ringraziare tutti per gli interventi e le repliche alla mia proposta. Sono ben conscio delle clamorose storture che hanno afflitto l’istituto e naturalmente, anche in qualità di ex allievo dei corsi-concorso dirigenziali della SSPA, trovo corretto il richiamo al valore della norma costituzionale in materia di concorsi pubblici, che deve restare la pietra angolare del sistema. Allo stesso tempo, un approccio formalistico (titoli) non risolve il problema. È molto semplice cancellare la norma, me ne rendo perfettamente conto. Tuttavia, a rischio di inforcare gli "occhiali rosa", vorrei fare uno sforzo di prospettiva. Credo che la PA sia un organismo vivente, complesso e difficile, in cui convivono spinte configgenti ed interessi molto concreti: di fronte alla mala reputazione di cui – purtroppo – si gode presso i cittadini non possiamo correre il rischio della autoreferenzialità, male sempiterno delle Amministrazioni.Esterni D.O.C. la soluzione? No, certamente. Reputo necessario, tuttavia, trovare un modo per assicurare che contributi dal di fuori vi siano, e che siano di vantaggio alla collettività tutta.Sul come il dibattito resta aperto. Grazie ancora. AF

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