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L’ORDINE NON SI TOCCA

Il testo originale della manovra finanziaria prevedeva alcuni interventi di liberalizzazione delle professioni. Ma ventidue senatori-avvocati della maggioranza hanno minacciato di non votare l’intero provvedimento se quelle norme non fossero state cancellate. E sono stati subito accontentati. Insomma, anche in un momento drammatico sembrano aver prevalso gli interessi di lobby. Eppure, questa era l’occasione giusta per avviare una riforma che, insieme ad altre, potrebbe incoraggiare la crescita economica dell’Italia.


È opinione diffusa che i tanti tentativi di riforma delle professioni siano stati bloccati dalle folte e ben rappresentate lobby di avvocati, notai, commercialisti, preoccupati più di difendere i propri interessi che di tutelare l’interesse comune. Eppure, gli ordini professionali sostengono che non è così e in molti, compreso chi scrive, sarebbero disposti a credere loro e avviare insieme un dibattito serio su quali interventi di riforma siano necessari.
È difficile, però, non dare l’impressione di una casta chiusa e refrattaria a ogni cambiamento se i fatti sono quelli che ci consegna la cronaca di questi giorni relativa al dibattito sulla manovra. Nella sua formulazione iniziale essa prevedeva alcuni interventi di liberalizzazione delle professioni, alcuni dei quali molto radicali. Si andava dall’abolizione del divieto di incompatibilità tra attività commerciale e professionale, all’impossibilità di vietare da parte degli ordini la pubblicità per ragioni di decoro, fino all’abolizione dell’esame di stato per avvocati e commercialisti. Ma 22 senatori-avvocati del Pdl hanno inviato al presidente del Senato una sconcertante lettera nella quale si dicevano pronti a non votare il provvedimento, rischiando di far cadere il ministro Tremonti e di gettare il paese in una catastrofica crisi finanziaria, se quelle norme non fossero state cancellate. I senatori erano supportati da un nutrito gruppo di deputati liberi professionisti (58 in totale: 44 avvocati, 13 medici e 1 notaio) che si sarebbero opposti all’iter della manovra alla Camera. Detto fatto, grazie anche offerto alle parole di sostegno del ministro-avvocato Ignazio La Russa. Ed è significativo che i ventidue avvocati rivoltosi non abbiano tanto espresso perplessità sul come si interveniva per liberalizzare il settore, ma abbiano semplicemente chiesto di derubricare l’argomento.
Il gruppo dei 22 alla fine ha avuto ragione grazie alla mediazione del Presidente del Senato-avvocato Renato Schifani. Il governo si è però impegnato entro 8 mesi dall’entrata in vigore della manovra a legiferare in materia di ordini professionali. Altrimenti “ciò che non sarà espressamente vietato sarà libero’’.

 UNO STUDIO SUI PROBLEMI DEGLI ORDINI

In un rapporto preparato per la Fondazione Rodolfo Debenedetti sul tema delle professioni regolamentate, abbiamo evidenziato che gli ordini servono a garantire la qualità dei servizi offerti in mercati nei quali è difficile per il consumatore valutare la capacità degli operatori e la qualità dei servizi prodotti (1). Quelle stesse norme, tuttavia, generano limitazioni della concorrenza con potenziali effetti negativi sul benessere collettivo. Alla politica spetta la decisione di dove collocare il paese in questo trade-off tra qualità e concorrenza.
Difficile procedere con un dibattito costruttivo se non si riconosce questo duplice aspetto della regolamentazione e si continua a sostenere che non vi è alcun problema di concorrenza nelle professioni.
Nel rapporto presentiamo una serie di analisi empiriche che suggeriscono che qualcosa non funziona nelle procedure di selezione all’ingresso in molte professioni e non sempre entrano necessariamente gli operatori più qualificati. Questo è il caso delle professioni (commercialisti e consulenti del lavoro) in cui osserviamo un peggioramento della qualità dei servizi offerti al crescere di una misura di familismo della professione che si osserva nel rapporto stesso. Da qui alcune proposte di riforma: andrebbero eliminati, ad esempio, potenziali conflitti d’interesse nell’esame di abilitazione, evitando che sia preparato o corretto dagli stessi professionisti che saranno concorrenti diretti di chi l’esame lo supera. In un precedente contributo su questo sito abbiamo dimostrato come questo tipo di riforma abbia avuto effetti significativi nella selezione degli avvocati, in particolare annullando il ruolo giocato dai cognomi nell’esame di stato. Inoltre, sarebbe auspicabile separare il ruolo di auto-regolamentazione degli ordini da quello di rappresentanza degli interessi di categoria.

 UNA QUESTIONE DI CREDIBILITÀ

In seguito alla presentazione del nostro studio siamo stati investiti da una miriade di attacchi (si veda la rassegna stampa sul sito della Fondazione Debenedetti) spesso molto duri, ma mai nel merito dell’analisi, e in alcuni casi esplicitamente offensivi.
Gli attacchi, così come l’episodio dei ventidue avvocati del Pdl, evidenziano quanto sia diffuso l’atteggiamento di difesa a priori dello status quo. Si tratta, invece, di migliorare il contesto istituzionale di un settore che, se liberalizzato, potrebbe contribuire fino all’ 11 per cento del PIL nel lungo periodo, come sostenuto in uno studio della Banca d’Italia (2). Si tratta, invece, di migliorare il contesto istituzionale di un settore che, come sostiene l’Antitrust, costa al paese quanto il conto energetico. Nella manovra si sarebbe potuto affrontare la questione con una riforma a costo zero che, insieme ad altre, avrebbe il potenziale di incoraggiare la crescita economica dell’Italia, condizione indispensabile per non ritrovarci a breve a dover di nuovo fronteggiare situazioni finanziarie critiche come quelle di questi ultimi giorni.
L’episodio dei ventidue avvocati è preoccupante anche perché rischia di mandare un messaggio negativo sulla credibilità dell’intera manovra, i cui contenuti, anche in un frangente così delicato, sono soggetti alle intemperanze di alcuni parlamentari. Per sostenere la credibilità delle misure in discussione, la maggioranza, di cui questi parlamentari fanno parte, avrebbe dovuto mettere i “dissidenti” di fronte all’aut-aut votare o dimettersi, invece di dare loro seguito per voce di autorevoli esponenti del governo.
Come è possibile convincere i mercati che l’Italia manterrà gli imponenti impegni assunti con questa manovra, se la nostra politica si mostra così debole?

(1)  Lo studio della Fondazione Rodolfo Debenedetti “Legami familiari e accesso alle professioni in Italia”, presentato lo scorso 4 luglio presso l’Università Bocconi, è a cura di Michele Pellizzari. Vi hanno contribuito Gaetano Basso, Andrea Catania, Giovanna Labartino, Davide Malacrino e Paola Monti.
(2)
Lorenzo Forni, Andrea Gerali and Massimiliano Pisani, “Macroeconomic effects of greater competitionin the service sector: the case of Italy”, Temi di discussione, n. 706, Marzo 2009. In un altro studio della Banca d’Italia, Guglielmo Barone e Federico Cingano (Temi di discussione, n. 675, Giugno 2008) stimano che il differenziale di crescita tra due settori diversamente dipendenti dai servizi professionali è dello 0.8 per cento più alto in un paese con servizi professionali poco regolamentati (ad esempio, l’Inghilterra) rispetto a uno maggiormente regolamentato (ad esempio, la Spagna).

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I NUOVI NUMERI DELLA MANOVRA

16 commenti

  1. daniele

    Sono un avvocato, ed essere costretto a far parte di un ordine, qualsiasi, questo in particolare, è una barriera limitante della mia splendida professione. Un piccolo esempio: il mio Consiglio dell’Ordine è composto da anni sempre dagli stessi consiglieri, che si presentano alle elezioni con liste bloccate, e svolgono il mandato in modo ormai stabile, proprio come succede in politica. Ebbene, chi trae vantaggio da ciò? il cittadino o il consigliere?

  2. sergio

    Sono assolutamente d’accordo col pensiero che “l’ordine” non sia affatto garanzia di qualità. Se questo è il motivo per cui esiste aboliamolo immediatamente.

  3. basedati

    I commercialisti, DA SEMPRE, non hanno alcuna esclusiva di legge. Chiunque può aprirsi la partita Iva ed effettuare consulenze, non serve essere commercialisti, non serve nemmeno avere la laurea. Non serve nemmeno avere un diploma e nemmeno la licenza media. Non serve nemmeno la quinta elementare, la quarta, la terza, la seconda, la prima. Basta aprire la partita Iva con codice attività 69.20.13. La liberalizzazione non avrebbe cambiato nulla per i commercialisti.

  4. Massimo

    Premessa: sono un avvocato relativamente giovane. Ritengo che la questione di una rinnovata regolamentazione della professione esista. Non foss’altro perchè la legge professionale attuale risale agli anni ’30. Il disegno di legge delega che si è tentato di far approvare con la manovra mi ha creato un certo disagio. Non si può avviare una riforma così dirompente nel contesto di un provvedimento di tutt’altro genere, per di più sottratto al dibattito parlamentare per le note ragioni di emergenza finanziaria. Forse il governo mirava solo ad accreditarsi di uno spirito liberale ben sapendo che la delega sarebbe decaduta. Va benissimo la liberalizzazione, ma essa deve essere accompagnata da un approccio più ad ampio raggio, che guardi anche e soprattutto al sistema universitario, ossia non solo al mercato a valle ma anche a quello a monte dell’università. Abolizione del valore legale del titolo di studio, maggiore concorrenza tra le università, filtri seri all’ingresso parametrati anche all’effettivo tasso di assorbimento del mercato. Poi anche interventi a valle sull’accesso alla professione, abolendo l’esame di stato e se si vuole anche gli ordini. Much adoo about nothing.

  5. Emanuele Montresor

    Sbagliate ad applicare le logiche di mercato alle professioni. Parliamo di avvocati: sono troppi, talvolta scarsamente professionali, tanti banditi e professionisti-imprenditori pronti a tutto per arraffare clienti e per i soldi. Alla faccia della qualità. Inoltre i praticanti che provano l’esame sono ormai talmente tanti che non esiste la selezione: si limita il numero di chi accede ma dentro passa chiunque: bravi, scarsi, così così. Infine, il cliente ha il gap informativo. Non sa se l’avvocato che sceglie è bravo, e non lo saprà nemmeno dopo perché non sa valutarne l’operato. Poteva ottenere di più? Sembra sia andata male e invece è stato un trionfo? Non lo saprà mai. Rischia di farsi girare la frittata dal professionista più bandito e furbo. Concorrenza e pubblicità non servono. Perchè favoriscono furbi, banditi e chi ragiona come imprenditore. L’unica soluzione è recuperare la professionalità. Artigiani del diritto, e non imprenditori banditi. Quindi più controlli a monte all’Università e all’esame. E introdurre controlli a valle.

  6. Davide

    Sono un giovane commercialista e posso assicurarvi che la liberalizzazione, intesa quale abolizione dell’esame di ingresso, del minimo tariffario e divieto di pubblicità, per l’ordine dei commercialisti non cambierebbe nulla. Vedi l’assenza di commercialisti tra i deputati contrari alla riforma. Mi farebbe risparmiare il contributo annuale. Oggi l’esame di ingresso non è a numero chiuso e il libero mercato è assicurato dal numero e dai tipi di competitor: numero degli iscritti, competitor non iscritti, associazioni di categoria e la possibilità in molti casi del “fai da te”. Oltretutto fa riflettere l’abolizione dell’ordine dei commercialisti proprio mentre si sta creando un super-ordine dei revisori (lobby delle società di revisione? ottimo argomento).

  7. TEU

    Pensare che la professionalità di un professionista sia garantita soltanto dalla sua iscrizione ad un ordine professionale è quanto di più ridicolo si possa pensare. Gli ordini professionali servono solo a difendere alcune lobby dalla concorrenza, mantenendo i prezzi delle relative prestazioni artificiosamente alti ed il numero di professionisti che le possono esercitare eccesivamente basso. L’unica riforma che serve è un semplice tratto di penna!

  8. michele 81

    Due proposte:

    1. Non rieleggibilità dei presidenti degli ordini oltre 2 mandati consecutivi, salvo assenza di altre liste di candidati,
    2. Obbligo di pubblicazione su sito Internet del database locale e/o nazionale degli iscritti, contro gli abusi della professione.

  9. Emanuele Montresor

    Nessuno sostiene che l’iscrizione a un albo garantisca la professionalità. Ma la liberalizzazione totale porta alla carenza assoluta di professionalità. Se il sistema attuale è inadeguato alle mutate esigenze non è con un “libera tutti” che avremo professionisti qualificati. Anzi, già ora il sistema non tiene e si è aperto a banditi e speculatori. Il concetto degli albi (che poi il sistema non funzioni è un altro discorso e si può discutere su come modificarlo per migliorarlo) è inseguire la professionalità degli appartenenti. Questo concetto di fondo è imprescindibile. Perchè una questione delicata come la giustizia dev’essere affidata a professionisti qualitativamente qualificati e selezionati. Ora non è così. E bisogna cambiare. Ma eliminare l’esame d’accesso è follia. Porta al tracollo di qualsiasi professionalità. Pubblicità e un’esasperato concetto di concorrenza sono un’altra inutile innovazione perchè favoriscono non i più bravi, ma i più spregiudicati, banditi, maneggioni. Insomma, la parola d’rodine dovrebbe essere qualità. L’albo così non va bene? Riformiamolo come ente terzo di controllo o di più rigida vigilanza sui professionisti e sulle loro qualità.

  10. Giovanni Schiavin

    Mi domando se chi parla di liberalizzare l’accesso alla professione forense abbia chiaro in mente l’attuale situazione. Infatti si potrebbe ritenere necessaria una tale liberalizzazione nell’ipotesi in cui vi fosse un’offerta ridotta e conseguentemente le parcelle elevate. Non sembra essere questo il caso: premettendo che non esiste un vero e proprio numero chiuso, gli avvocati sono numerosissimi e di conseguenza guadagnano pochissimo. Ho conoscenza diretta di avvocati trenta-trentacinquenni che si ritrovano ad avere in tasca (post tasse e contributi) non più di 1000 euro al mese. Consiglio quindi ai vari economisti (loro sì operanti in un sistema, quello accademico, non concorrenziale!) di alzare gli occhi dai libri e guardare fuori dalla finestra.

  11. Giuliano Delfiol

    Sono un ingegnere senior, professionista da sempre. Leggo continuamente che:
    a) occorre “liberalizzare” l’accesso alle professioni, quando si sa che solo i notai hanno realmente un numero chiuso. Tutti gli altri (farmacisti inclusi, il numero chiuso riguarda le farmacie) si iscrivono a semplice richiesta una volta superato un esame di stato previsto costituzionalmente (nello spirito di scremare i troppo somari). L’accesso è quindi già libero, a patto di aver superato un esame. Sarebbe questo lo sbarramento illiberale?
    b) gli ordini sono cartelli a difesa di costi professionali esorbitanti. Per ingegneri e architetti le tariffe sono state abolite anni fa (da Bersani) anche nei LLPP, nel privato erano già inapplicate di fatto da moltissimo. Mi si spieghi, per cortesia, in che modo l’abolizione degli ordini di queste professioni aiuterebbe l’economia nazionale.
    c) Che gli ordini siano una forma di tassazione occulta. Gli ordini sono finanziati integralmente dagli iscritti, così come le relative Casse previdenziali. I professionisti vanno in pensione con assegni determinati su base strettamente contributiva. Vorrei sinceramente capire dove secondo voi sia il problema.

  12. francesco piccione

    Ritengo che gli ordini non siano da abolire ma, semmai, si debba consentire l’esercizio della professione anche a chi non vi è iscritto. L’ordine dovrebbe mantenere la propria funzione di verifica della correttezza dell’esercizio della professione; professione che – però – potrebbe essere esercitata anche da chi non è iscritto all’albo. Resterebbero gli ordini (con la funzione d controllo e di garanzia del consumatore, oltre a selezionare chi voglia iscriversi all’ordine stesso; in questo caso l’iscrizione avrebbe la valenza di una certificazione di qualità) per il controllo dell’attività, tanto se svolta da chi è iscritto quanto da chi non lo è. Ciò detto non avremo, comunque, garantito nuovi spazi di lavoro ai giovani. Il problema riguarda, infatti, i percorsi attraverso cui si incanala il lavoro: grandi concentrazioni realizzate attraverso amicizie, familismo e consorterie. Se il governo riuscisse a scardinare questa prassi sarebbe veramente bravo.

  13. Paolo T.

    Quando si parla della necessità di liberalizzare la professione di avvocato, sembra che l’Italia sia l’unico Paese che richieda di passare un esame di stato per per poter esercitare la professione. Potrei sbagliarmi ma se non ricordo male sia in Francia che in Germania hanno un esame sia per poter iniziare la pratica forense sia uno da effettuarsi al termine di essa. Negli Stati Uniti hanno di fatto una doppia selezione: per accedere alle Law School è necessario passare un test di ingresso (LSAT) e poi per diventare avvocati è necessario passare il bar exam. Insomma, mi sembra che in Italia non siamo poi così diversi dagli altri. Si tenga poi presente che dall’anno scorso anche la Spagna ha introdotto l’esame di stato. Andrebbero piuttosto affrontate altre questioni come il fatto che l’università ha un approccio troppo teorico (il che va bene per farsi le basi… ma non per tutti e 5 gli anni!) la pratica dovrebbe essere meglio regolamentata (2 anni senza essere pagati o con un semplice rimborso spese – come avviene in molti studi – è una cosa che non si può più permettere nessuno e non è degna di un paese occidentale) e l’esame dovrebbe essere meno aleatorio.

  14. Rosario Cucinotta

    Il metodo di analisi adottato nella nota non appare scientificamente corretto: non possono, infatti paragonarsi professioni aperte (avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti) con professioni tutelate dal numero chiuso (notati, farmacisti); il rapporto professionisti/utenti é tale da rendere sotto il profilo economico sociale del tutto inaffidabile l’assimilazione delle due tipologie nella categoria cd dei “professionisti”. Laddove vi è un avvocato ogni 150 abitanti la concorrrenza é già perfetta perchè questi dovrà procurarsi clientela soprattutto mediante il contenimento dei costi delle proprie prestazioni; in caso contrario non troverà alcuno spazio professionale. A riprova di ciò lo scarso (inesistente) successo delle “lenzuolate” di bersaniana memoria: il patto di quota lite, e tutte le altre disposizioni tendenti a favorire l’utenza, non hanno avuto alcun effetto pratico (non vi é alcun contenzioso e/o giurisprudenza rilevante in merito). Per la verità di banche ed assicurazioni hanno ridotto lgli onorari dei propri legali, ma ciò non sembra aver influito sui costi dei servizi bancari ed assicurativi.

  15. wass

    Come al solito in Italia il concetto di competizione e concorrenza equivale sempre alla lotta tra poveri. Cancellare il valore legale della laurea o gli ordini professionali significa soltanto che il laureato che non proviene da una famiglia di professionisti con studio avviato vedrò svalutare ulteriormente i propri anni di studio e le proprie aspirazioni non tanto di mobilità sociale (già quasi inesistenti, visto che gran parte dei giovani “professionisti” sono in realtà dei veri e propri dipendenti precari negli studi professionali) ma almeno di una vita decente. Non sapete più come arginare la massa, volete un’università elitaria, professioni elitarie, la bella borghesia di inizio ‘900. E il pubblico pecorone vi viene dietro.

  16. Paolo

    Secondo me, per pochi mesi ancora giovane avvocato e a brevissimo imprenditore, l’Ordine è giusto che vada toccato poichè una possibile soluzione al default del sistema giustizia è quella di ridefinire il ruolo di avvocato. Un avvocato non necessariamente può e deve essere solamente un personaggio che va in udienza con il codice in mano o che si occupa di contratti in grandi studi internazionali. Potrebbe anche essere qualcuno che: a titolo meramente esemplificativo e come avviene nei maggiori paesi industrializzati, esercita attività di lobbying, fa intermediazione (immobiliare o creditizia, per esempio) su operazioni di un certo livello, gestisce per sè o per altri operazioni imprenditoriali di una certa complessità, si occupa di bandi di finanziamento e procedure di gare d’appalto. Il numero esorbitante dei legali in Italia richiederebbe che una buona parte di essi sia riqualificato in altri ambiti ma gli attuali Ordini rifiuterebbero categoricamente una tale soluzione poichè suonerebbe (e giustamente) come una sonora bocciatura del loro operato in passato. L’alternativa è appunto quella di abolire gli Ordini.

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