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SE NEMMENO IL GOVERNO CI CREDE

Per cambiare le aspettative dei mercati servono due cose: mettere i conti in sicurezza e fare ripartire la crescita. Sul secondo punto il Governo sconta l’aver negato il problema fino a pochi giorni fa. Manca una strategia organica e i provvedimenti annunciati ne sono una dimostrazione. Sbagliato anche puntare tutto sulla concertazione.   

Gli attacchi speculativi sono scatenati dalle aspettative degli operatori finanziari sulla solvibilità del debitore. Nel caso italiano, ha preso quota la possibilità che il Governo non riuscirà a rimborsare il suo debito. Il problema è che queste aspettative si confermano da sole: se gli operatori non si fidano più dell’Italia, richiedono tassi alti per comprare il debito. Oltre un certo livello, l’aumento dei tassi diventa insostenibile e il default si realizza. Questa breve lezioncina di economia serve per mettere un punto fermo: si può fermare l’attacco speculativo ed evitare il default se – e solo se si invertono le aspettative dei mercati. E le aspettative si cambiano con un piano credibile di politica economica per il rimborso del debito pubblico.  Gli altri provvedimenti, come interventi di fondi europei o della Bce, possono dare un po’ di respiro, ma senza un piano di rientro credibile nella migliore delle ipotesi rimandano di qualche tempo il default.

UN PIANO APPOGGIATO SU DUE PILASTRI

Un piano credibile si deve necessariamente basare su due pilastri: una finanza pubblica sotto controllo e un ritorno a tassi di crescita superiori allo zero virgola registrati mediamente negli ultimi 15 anni. La politica economica del Governo Berlusconi è stata dettata dal ministro Tremonti e si è basata esclusivamente sul primo aspetto.Gli altri ministri con competenze economiche hanno latitato: Berlusconi “in tutt’altre faccende affaccendato”, Sacconi trincerato dietro lo slogan “più società meno mercato”, i ministri per lo Sviluppo economico non pervenuti e così via. La strategia del Governo è stata negare che esistesse un problema di crescita. La rimozione è continuata anche quando a sostenerlo sono state le stesse agenzie di rating, tipicamente interessate alla finanza pubblica più che alla crescita.

MISURE ANTI-COMPETITIVE E ANNUNCI VUOTI

Gli atti del Governo nel corso di questi tre anni sono stati la logica conseguenza di questa impostazione. Come abbiamo segnalato a più riprese su questo sito, i (pochi) provvedimenti presi o messi in cantiere spesso hanno avuto un carattere anti-competitivo. Sulle liberalizzazioni dei servizi professionali era stata avviata una controriforma, invece di rafforzare i provvedimenti delle “lenzuolate” di Bersani. Il mercato dei capitali è stato soggetto a varie restrizioni, riducendone la contendibilità. I casi più evidenti, e più dannosi, sono stati le vicende Alitalia e Parmalat. Sulla riduzione dei costi burocratici per le imprese si è proceduto per annunci, vari e confusi, accomunati dall’idea di facilitare l’accesso al mercato di nuove imprese. Il fine è nobile, ma non è il problema principale del nostro paese. La natalità d’impresa in Italia è in linea con gli altri paesi, mentre la dimensione media delle imprese è molto inferiore: più che di barriere all’entrata, bisogna ragionare sulle barriere alla crescita delle imprese. Il mezzo – cambiare il dettato costituzionale – è emblematico della politica dell’annuncio fine a sé stesso. Sorge il sospetto che sia preferito perché è politicamente indolore rispetto a liberalizzare veramente: chi li sente poi gli avvocati (o i tassisti, i negozianti,…), ben rappresentati in Parlamento? Meglio rimanere sul piano dei principi, su cui siamo tutti d’accordo. Sulla regolamentazione del mercato del lavoro, la cui importanza è stata portata alla ribalta dalla vicenda Fiat, tutto è stato demandato alle parti sociali. L’azione del Governo si è ridotta all’enunciazione di un disegno di legge delega di due pagine, un altro annuncio privo di contenuti operativi. Su questo aspetto, l’opposizione ha prodotto proposte concrete: varrebbe la pena partire da lì.

TUTTI D’ACCORDO, SALVO IL GOVERNO

La diagnosi sui problemi di crescita dell’economia italiana è ampiamente condivisa: in una frase, la produttività langue. Anche sulla terapia si registra un consenso ampio. Le liste di priorità abbondano e, a parte qualche differenza di enfasi, hanno tutte alla base gli stessi elementi: riforma del fisco che riduca la tassazione dei fattori produttivi; lotta all’evasione; riforma della pubblica amministrazione con più peso al merito, a iniziare dal settore della ricerca; riduzione dei carichi burocratici su cittadini e imprese; riforma del mercato del lavoro, riducendone la dualità; riduzione della spesa pensionistica attraverso l’innalzamento dell’età pensionabile; liberalizzazioni; misure per favorire la crescita delle imprese, la loro capitalizzazione e contendibilità. Purtroppo, una delle poche istituzioni che non ha condiviso questo approccio è proprio quella che lo dovrebbe implementare: il Governo. Questo spiega l’approssimazione con cui ha fatto fronte all’emergenza. Le proposte del Governo illustrate nella conferenza stampa del 5 agosto sono deboli e denotano un’assoluta mancanza di visione organica del problema. Costretti dagli eventi, Berlusconi e Tremonti hanno dovuto abbozzare, ma è chiaro che neanche loro credono veramente di poter rimettere in moto l’economia in quel modo. E se il governo non è convinto della propria strategia, come ci si può aspettare che ci credano i mercati?
Gli sviluppi della crisi imporranno di adottare altre misure impopolari. Posto di fronte a questa prospettiva, il Governo ha immediatamente chiamato in causa la concertazione con le parti sociali. D’altra parte, è questa la risorsa a cui si è sempre fatto ricorso nei momenti di crisi, dalla secessione della plebe romana sull’Aventino alla crisi del 1992.   La concertazione ha dato in passato buoni frutti e potrebbe essere anche in questo caso un tassello utile della strategia anti-crisi. Ma sarebbe sbagliato confidare unicamente su di essa. Cercare a tutti i costi il consenso unanime delle parti sociali è un lusso che non ci possiamo permettere. Ci vuole un Governo che ascolta le parti sociali ma che poi faccia il Governo: disegni una strategia organica per rilanciare la crescita e la metta in atto in tempi brevi. Questo Governo è in grado di farlo?

 

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CHI TROVA UN AMICO TROVA UN LAVORO

  1. nessuno

    L’unica via di uscita dalla crisi è la liberalizzazione dell’avvocatura e del notariato.

  2. LUCIANO GALBIATI

    Gentile Schivardi, i taxi in Italia sono già liberalizzati. Il Decreto Bersani (Legge n 248 del 4 agosto 2006) prevede più autisti con una sola licenza, liberalizzazione degli orari di servizio, concorsi a titolo oneroso per l’assegnazione delle licenze, attivazione di tariffe fisse da e per destinazioni ad alta attrattività. Regolazione del mercato non dissimile (e in alcuni casi più avanzata) a quella vigente nella maggioranza dei paesi industrializzati (USA e Regno Unito compresi). L’industria dei taxi in Italia è un settore saturato da un eccesso di offerta e ora nella morsa della fase recessiva (sono sotto gli occhi di tutti i parcheggi taxi delle nostre città pieni di vetture inattive). La tempesta finanziaria genera un esiziale clima di confusione, fretta di agire e (ben orchestrata) demagogia. I tassisti non sono disponibili al ruolo di facili bersagli e vittime designate della passata inazione e degli errori dei decisori (politici ed economisti). Allo stesso modo non potrà mai esserci aquiescenza verso false “riforme” e “liberalizzazioni” il cui esito è l’ulteriore impoverimento (e precarizzazione) del lavoro e che non fanno crescere il PIL di un solo euro.

  3. brigate grosse

    Questo articolo conferma definitivamente la strategia dell’attenzione da parte del grande capitale finanziario internazionale nei confronti di un governo considerato poco attento alle sue istanze: o Silvio si convince finalmente ad obbedire alle pressanti richieste dei nuovi dittatori (i “mercati” finanziari globali) o si deve fare da parte, altrimenti farà una brutta fine. Questo governo, che piaccia o no è legittimato dal voto popolare ed è quindi sostanzialmente democratico, se ne deve andare perchè non obbedisce ad un manipolo di elitari decisori che si lamentano perchè non riescono a mettere le mani (e il portafogli) sulle residue nicchie di mercato nazionale ancora dominate da corporazioni influenti. Quindi in nome del “mercato” la democrazia deve fare posto alla dittatura, quella dei pochi sui molti, del capitale sui cittadini, del governo UE non eletto sui governi eletti dei singoli stati, delle superlobbies commerciali sulle piccole caste locali. Siamo sicuri che ne avremo giovamento? Destino beffardo, a difendere Silvio “che”, ultimo e definitivo baluardo contro l’affondo mercatista, sono rimasti solo gli extraparlamentari rivoluzionari.

  4. Gianleo Frisari

    Questo governo (e secondo me l’Italiano-tipo) ha più volte dimostrato di essere fortemente anti-liberalizzazioni e, purtroppo va detto anche nei confronti delle lenzuolate di Bersani, gli sforzi dei precedenti si sono concentrati solo contro i poteri più deboli tra quelli corporativi – che per carità andavano comunque toccati. L’aver ripristinato le tariffe minime per gli avvocati è una vergogna, quando poi viene seguita dalla minaccia di rimuovere in toto l’ordine e gli esami di stato, è psicopatia! Perchè non possiamo avere avvocati/notai/medici/farmacisti che, una volta passato l’esame che ne certifica (o almeno tenta) la preparazione siano liberi di offrire le tariffe che vogliono? Stiamo tranquilli se un avvocato è un brocco e non ci vuole molto a farlo venir fuori, non lo vorrà nessuno manco pro-bono. Però intanto, nel senso della liberalizzazione, blocchiamo gli sconti sui libri…

  5. Giuseppe Pistilli

    Mi chiedo se una non meglio specificata, ma annunciata patrimoniale sulla ricchezza finanziaria non possa generare nei prossimi giorni un fulmineo e insidiosissimo ritiro di depositi e liquidazione di strumenti finanziari tali da mettere seriamente in difficoltà il sistema bancario italiano.

  6. Devis

    L’analisi del testo non fa una piega. Questo governo non è mai stato interessato ad aggiustare le cose perchè meno soldi o tanti soldi in mano a pochi, più persone anelanti briciole quindi più controllo. Affamare un paese è l’unico modo per tenerlo imbrigliato senza usare la forza bruta, militare. Anche se è stata utilizzata in vari esempi contro popolazione inerme. Questo è quanto si aspettavano gli economisti fin dal 94 vedendo i primi intenti e i primi problemi finanziari del magico silvio che non ha mai fatto nulla per gli altri ma solo per sè stesso. Le sue aziende sono fallite una dopo l’altra. Il paese fa la fine delle sue aziende perchè si da il caso che quì i conti manomessi nel 2004, nel 2006 e nel 2009, siano costati miliardi in multe che comunque sono ricaduti sui cittadini attraverso l’aumento della tassazione per ben 4 volte in soli tre anni. Come disse l’Ocse: Italia unico paese al mondo ad aver aumentato le tasse e tagliato i servizi essenziali e la crescita in tempo di crisi. Come noi, neppure lo Zimbawe….. Lui ha fatto regalie ai poteri forti finanziari, ai megaevasori, ai disonesti: noi paghiamo il contro. Semplice. Il fallimento è vicino.

  7. Nicola Neri Serneri

    Leggo con sommo stupore il commento di chi è intervenuto immediatamente in favore della propria categoria. Il decreto Bersani, che ormai ha qualche anno sulle spalle, è la dimostrazione di come le categorie riescono a fermare qualsiasi liberalizzazione. Le tariffe in Italia sono più alte che nella costosissima Londra, per non parlare della Spagna o della Francia. Inoltre per norma i tassisti non emettono fatture, cioè lavorano “in nero” (categoria così forte da aver mantenuto questo privilegio perchè erogatori di servizio pubblico) a meno di non fare percorsi di oltre 50 chilomentri. E’ ovvio che una vera liberalizzazione non piace, perchè l’effetto sarebbe quello di incassare meno, e di pagare le tasse. E continuamo ad usare il taxi solo all’estero, preferendo l’auto privata quando siamo in Italia. E tutte le corporazioni funzionano così.

  8. LUCIANO GALBIATI

    1)Le tariffe sono alte:le tariffe italiane si pongono nella zona mediana della classifica internazionale. Roma (0,92 euro/km) e Milano (0,98 euro/km) sono molto distanti da Londra (1,5 euro/km) o Amsterdam (2,20 euro/km). confronti aggiornati nel sito unicataxi.
    2)I taxi sono pochi:in termini di rapporto taxi/abitanti,Milano e Roma, sono alla pari di altre capitali. Anche in questo caso nella zona mediana della classifica.
    3)Il valore della licenza indica cattiva regolazione :il fatto che i permessi assumano valore economico positivo non è di per sè indice di cattiva regolazione (al pari di concessioni,slot,diritti cedibili,ecc).Analisi sul valore delle licenze USA rivelano incidenza di mezzo dollaro a corsa (frazione insignificante dei costi fissi) Uguali risultati per Roma (Visco Comandini,Gori,Violati,2004).
    4) Fiscalita’ agevolata: la certificazione dei corrispettivi è a richiesta dell’utente come nel resto d’Europa e negli USA. Fatturazione svolta dal singolo operatore o (per suo conto) dalla società radiotaxi. Art 22 Dpr 633/73 e DM del 29/07/1994; confermati dalle direttive comunitarie.

  9. silvana

    Crederò nella liberalizzazione del taxi quando alzando il braccio in qualsiasi strada delle città d’italia si fermerà un taxi come avviene a Londra e a New York.

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