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CNEL: FARLO DIVENTARE DAVVERO UTILE

Contenuto nella manovra di agosto, il taglio di consiglieri e risorse del Cnel potrebbe favorire una utile riforma dell’organismo, previsto dalla Costituzione, sottraendolo all’immagine di ente inutile. Tra le modifiche di prassi, si dovrebbe arrivare a un innalzamento della quota di consiglieri donne e a una maggiore trasparenza dei criteri con cui le parti sociali designano i propri candidati. La presenza di riconosciute personalità tecniche e scientifiche contribuirebbe poi a migliorare la qualità, l’incisività e l’autorevolezza dei lavori del Consiglio.

Non capita spesso che provvedimenti di taglio alla spesa pubblica, motivati da urgenze di manovra di bilancio, diventino occasione per varare o almeno avviare piccole riforme strutturali. Forse questo sembrava essere il caso del Cnel, per cui l’articolo 17 del decreto legge n. 138, convertito il legge con voto di fiducia l’8 settembre, stabilisce il quasi dimezzamento del numero dei consiglieri (da 121 a 70 più presidente e segretario generale) e un vincolo al numero di commissioni permanenti, da cui derivano oneri di indennità presidenziali e rimborsi spesa. Speciali osservatori e gruppi di lavoro, resi necessari anche su richiesta di governo e parlamento (es. osservatorio sulla criminalità, sulla valutazione di efficienza del pubblico impiego), continueranno a operare ma senza oneri per il bilancio.

PIÙ SPAZIO ALLE DONNE

In realtà la dotazione annuale del Cnel a carico del Tesoro era già stata sensibilmente ridimensionata per il 2011 e 2012, creando non pochi problemi per il finanziamento di ricerche-missioni-eventi, dati i costi fissi della struttura e dei compensi dei consiglieri. La drastica riduzione del numero dei consiglieri, consentendo il modesto risparmio di circa due milioni di euro lordi (1,3 netti per lo Stato) dovrebbe restituire a regime il necessario respiro per voci di spesa diverse da quei costi fissi.
Per assicurare una vera incisiva riforma che rilanci questo organismo, previsto dall’articolo 99 della Costituzione, sottraendolo all’immagine (parzialmente ingiustificata) di “ente inutile”, ci vorranno naturalmente ulteriori modifiche di legge, di regolamento e di prassi condivisa dalle “parti sociali”. Organismi similari sono presenti in larga parte dei paesi europei e stanno rapidamente crescendo fra i paesi emergenti di quattro continenti: oggi l’Associazione internazionale dei Consigli economici e Sociali (Aicesis) conta circa 70 membri nel mondo.
Tra le modifiche di legge e regolamentari, alcune delle quali proposte come emendamenti votati da una  assemblea straordinaria convocata dal presidente Marzano il 29 agosto ma del tutto ignorate dal Senato nel testo finale della legge, vi sono: la previsione di pareri obbligatori non vincolanti su materie di politiche sociali e del lavoro (pareri che il Cnel dovrebbe fornire a Governo e Parlamento in tempi rapidi e senza il vincolo paralizzante dell’unanimità dei consiglieri), una tempistica di lavoro coerente con i ritmi del semestre europeo e della relativa dialettica fra governi nazionali e Consiglio europeo, un raccordo con la Conferenza unificata Regioni ed enti locali nella logica del federalismo, una esplicita previsione di sinergie con gli staff tecnici di altri apparati pubblici (per esempio Istat, Banca d’Italia, enti previdenziali) che supplisca alla cronica scarsità di competenze tecniche interne alla struttura stabile dell’ente e al conseguente pesante vincolo alla qualità e allo spessore dei documenti e dei pareri che periodicamente l’assemblea è chiamata ad approvare.
Tra le modifiche di prassi, non sarebbe trascurabile un innalzamento della quota di consiglieri donne, che nel Cnel (attualmente 8 donne su 121, meno del 10 per cento) appare scandalosamente bassa rispetto al 16 per cento nel Ces spagnolo e il 21 per cento in quelli di Francia e Olanda, per non parlare di molti Ces di paesi emergenti. Ma forse quella più rivoluzionaria consisterebbe in una maggiore trasparenza dei criteri con cui le parti sociali designano di volta in volta i propri candidati alla consiliatura, poi formalmente nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del governo. Troppe volte infatti la ben nota prassi di “dare un contentino” a propri ex-funzionari, obbedendo a logiche di anzianità e di appartenenza a correnti interne, fa premio su una selezione basata non solo sull’esperienza (età) ma anche su competenze specifiche, essenziali per concorrere efficacemente all’elaborazione critica dei pareri e delle istruttorie a cui il Cnel è chiamato.

CATEGORIE E CONSIGLIERI

Tra gli emendamenti al decreto approvati dalla citata assemblea del 29 agosto vi era anche quello che mirava a salvare l’attuale ripartizione percentuale per categorie: lavoratori dipendenti, imprese, lavoratori autonomi, terzo settore, esperti indipendenti. Ripartizione percentuale che il testo originario del Dl 138 stravolgeva, innalzando la quota degli “esperti di chiara fama” (dall’attuale 10 al 16 per cento) e dei rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato (dall’attuale 8 al 14 per cento), a scapitodi una pesante riduzione delle quote riservate ai sindacati dei lavoratori dipendenti (dal 44 al 24 per cento), delle imprese (dal 37 al 18 per cento) e ancor più dei lavoratori autonomi (cooperative, artigiani, libere professioni: complessivamente dal 18 a un misero 6 per cento). La legge votata in Parlamento, con una innovazione alquanto irrituale, non stabilisce la futura composizione dell’assemblea, che viene demandata a futuri DPR su proposta del governo, fermo restando il vincolo derivante dall’art. 99 della Costituzione secondo cui il CNEL “è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa”.
Al di là della disquisizione giuridica si può dire che, mentre il testo originale del decreto avrebbe prodotto evidenti forzature, il rigido mantenimento dell’attuale composizione rifletterebbe una logica conservatrice degli equilibri di consenso esistente tra le rappresentanze sindacali consolidate, approccio non del tutto condivisibile in una prospettiva secondo cui il Cnel – come argomentato in un rapporto Astrid di qualche mese fa – dovrebbe essere sempre più camera di rappresentanza delle “forze vive del paese” e riflettere una stratificazione sociale e di interessi organizzati in continuo movimento. Da questo punto di vista, la suddetta innovazione irrituale, che non fissa per legge una volta per tutte la composizione ma si affida al potere politico in carica, potrebbe avere i suoi vantaggi, salvo dubitare della capacità e della imparzialità del governo chiamato a decidere in materia nel rispetto di quel vincolo indicato dalla stessa  Costituzione.
Se in particolare parliamo degli esperti non diretta espressione delle parti sociali (categoria a cui chi scrive appartiene in quanto uno degli otto nominati dalla Presidenza della Repubblica) e guardiamo ai Consigli di altri paesi avanzati, forse non è un caso che l’incidenza percentuale dei membri appartenenti a questa categoria vada dal 10 per cento in Spagna al 16-17  per cento in Francia e Irlanda, al 33 per cento in Olanda (incluso il governatore della banca centrale e il direttore generale dell’Istituto di analisi economica). La partecipazione di affermate personalità sotto il profilo tecnico e scientifico (anche qui sarebbe benvenuta più trasparenza e pubblicità delle candidature) non va visto come un “furto” alle autentiche rappresentanze del mondo del lavoro e delle imprese, ma come un potenziale contributo a migliorare la qualità, l’incisività e l’autorevolezza dei lavori del Consiglio.

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COME FINIRÀ LA SAGA DEI DEBITI SOVRANI

  1. Andrea

    il Cnel non è mai servito a nulla. Serve solo a stipendiare politici, sindacalisti e amici vari dei politici.

  2. Giovanni

    Visto quello che hanno fatto o meglio, non hanno fatto fino ad oggi, non sarebbe meglio sopprimerlo? Tanti tentativi, andati puntualmente a vuoto, sono stati fatti in passato per sopprimere o anche ridimensionare questi enti che servono soltanto come poltronificio per ex sindacalisti. Sono sempre vivi e vegeti.

  3. giorgio ponzetto

    In un mondo ideale come quello delineato dai costituenti, in cui le istituzioni collaborano fra loro ed i partiti non sono così invasivi, il Cnel avrebbe potuto avere un ruolo importante .L’esperienza concreta è un’altra:è difficile trovare qualche provvedimento governativo o parlamentare di intervento riformatore in materia di economia e lavoro per cui sia stato significativo il ruolo del Cnel. I Ministri si avvalgono dei loro consulenti e i parlamentari seguono le indicazioni dei rispettivi partiti. Non è pensabile, purtroppo, che una riforma possa modificare questa situazione. Tanto vale abolirlo. Cosi almeno si risparmia e si supera anche l’altro aspetto che ha caratterizzato il Cnel: essere diventato il luogo dove sindacati e associazioni di categoria collocano i loro dirigenti da sostituire per il ricambio interno. Curioso e sintomatico dello scarso rispetto delle regole che caratterizza il nostro tempo è poi il fatto che mentre la Costituzione stabilisce che la composizione del Cnel sia fissata con legge, si pensi di ignorare questo vincolo, prevedendo che bastino Decreti Presidenziali su proposta del Governo, non è una differenza da poco e neppure una questione solo formale!

  4. Renato

    Il CNEL non serve a nulla, è un cimitero degli elefanti dove si distribuiscono stipendi a sindacalisti e politicanti L’unica soluzione è chiuderlo.

  5. renata negri

    Ma sapete che il Presidente si prende come stipendio una cifra stronomica. Che ogni consigliere ha a disposizione un servizio apposito – persone adetti vari stanze riunioni ecc.) e che produce materiale quasi mai visibile per il mondo che lavora?

  6. bellavita

    Il Cnel è stato inserito nella costituzione da chi riteneva che non tutto del corporativismo fosse da buttare. Invece era proprio da buttare. Se si dovesse finalmente cambiare l’altra anomalia italiana, di avere due camere con identici compiti, il che allunga di 3 volte i tempi di approvazione di una legge (una camera, l’altra emenda, la prima ratifica), i compiti del CNEL potrebbero rientrare tra quelli del Senato.

  7. AM

    Non è escluso che produca qualche utilità, ma certamente non in misura tale da giustificarne i costi, soprattutto in un momento di tagli alla spesa pubblica. Chiudiamolo!

  8. silvano veronese

    Condivido lo sforzo di Onida a sostegno di una riforma per il CNEL al fine di garantire all’Istituzione autorevolezza ed incisività. Non si tratta però di fare del Consiglio un Centro Studi pubblico o un secondo ISTAT che – tra l’altro – la politica dimostra di non volersene servire. Se il suo ruolo – come pensavano i costituenti – è quello di offrire alla poltica una sede dove le rappresentanze delle forze produttive e del lavoro contribuiscono alla legislazione – attraverso pareri e proposte – in materia economica e lavoristica – serve (come propone Onida) che questo contributo preventivo divenga per legge obbligatorio e che Governo (e Parlamento) politicamente vogliano tenerne conto, ma è altrettanto necessario che ne siano convinti gli attori interessati (cioè le forze sociali) rivendicandolo con forza. Se invece si accontentano delle inutili “sceneggiate” di confronto con il Governo presso la “Sala verde” di Palazzo Chigi…. contenti loro… ma il CNEL non avrà il ruolo che Onida giustamente auspica.

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