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IL REGALO DEL RETRIBUTIVO

Le pensioni retributive sono caratterizzate da uno scarso collegamento tra contributi versati e prestazioni ricevute. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di un vero e proprio regalo a carico della collettività. Calcolarne l’ammontare non è semplice perché dipende da molti parametri. Se ne può ottenere una stima attraverso un indicatore della generosità dei sistemi pensionistici. Che conferma i notevoli benefici garantiti a chi è già in pensione o vi andrà nei prossimi anni. Scompariranno del tutto solo nel 2030, quando il contributivo sarà finalmente a regime.

La legge 15 luglio 2011 n. 111 ha introdotto due modifiche temporanee alla normativa previdenziale: i) ha eliminato per gli anni 2012-2013 l’indicizzazione all’inflazione dell’ammontare delle pensioni superiore a cinque volte l’importo del trattamento minimo Inps (circa 2.337 euro); ii) ha introdotto per il periodo agosto 2011-dicembre 2014 un contributo di perequazione sui trattamenti superiori a 90mila euro lordi (circa 4.470 euro mensili netti), pari al 5 per cento della quota tra i 90mila e i 150mila euro (circa 7.100 euro mensili netti) e al 10 per cento per la quota eccedente i 150mila euro.

DOV’È L’EQUITÀ?

Si tratta di un provvedimento dettato dalla straordinarietà della situazione, ma non particolarmente incisivo in termini di contributo al risanamento, giacché riguarda una platea assai ristretta. Secondo l’Inps, a superare i 2.500 euro mensili sono soltanto il 2,5 per cento delle pensioni in pagamento e ancora più esiguo è il numero di pensioni che superano le soglie previste dalla normativa sul contributo di solidarietà (cfr. tabella 1).
Un provvedimento ispirato all’equità, dunque: chi più ha, più deve pagare, in un momento in cui si chiedono sacrifici. Alla correttezza di questa interpretazione, se ne aggiunge però un’altra, meno immediatamente percepibile e che vale la pena di esplicitare, anche in vista di eventuali nuovi interventi di riforma, ad esempio sulle pensioni di anzianità. La ragione va ricercata nel metodo retributivo di calcolo delle pensioni, applicato sia a quelle attualmente in pagamento, sia a quelle in liquidazione nei prossimi anni, prima dell’entrata in vigore della nuova formula contributiva, dopo il 2030, introdotta con la riforma del 1995.
Le pensioni retributive, infatti, sono caratterizzate da uno scarso collegamento tra contributi versati e prestazioni ricevute: in alcuni casi, la differenza può essere interpretata come intervento assistenziale; in altri – e sono la stragrande maggioranza – configura un vero e proprio “regalo” messo a carico della collettività. Un sistema a ripartizione è finanziariamente sostenibile quando restituisce al lavoratore, sotto forma di pensione, i contributi versati, capitalizzati a un tasso pari al tasso di crescita dell’economia. La formula retributiva ha per troppo tempo sistematicamente violato il principio della sostenibilità, offrendo un “rendimento” (un interesse annuo sui contributi)   assai superiore a quello finanziariamente sostenibile.

L’ENTITÀ DEL REGALO

Calcolare il “regalo” non è semplice, in quanto differisce molto in base alla gestione previdenziale di appartenenza, all’età di pensionamento e ad altri parametri, come l’anzianità per l’accesso alle prestazioni, le aliquote contributive e il periodo retributivo di riferimento per il computo della pensione. Poiché la pensione retributiva è calcolata tenendo conto soltanto dell’ultima parte della carriera del lavoratore, quelle più dinamiche – con maggiore progressione salariale, che coincidono di solito con quelle più ricche – ne risultano favorite.
Una stima può essere ottenuta per mezzo di un indicatore della generosità dei sistemi pensionistici, denominato in gergo tecnico Present Value Ratio (Pvr). L’ indicatore misura, al momento del pensionamento, il “valore attuale atteso” dei benefici pensionistici ai quali l’individuo ha diritto a fronte del “montante contributivo” del lavoratore, fatto pari a 100 euro. Nelle nostre simulazioni, un valore superiore a 100 indica che il sistema remunera i contributi corrisposti nella vita attiva a un tasso di rendimento superiore a quello che il sistema “può permettersi”. Ciò comporta una redistribuzione di risorse alle generazioni anziane, dalle generazioni giovani, presenti e future.
Le tabelle 2-3 e il grafico 1 riportano le stime per i lavoratori dipendenti e autonomi (artigiani e commercianti) calcolate utilizzando i due metodi di calcolo,  retributivo e contributivo, che riguarderà le generazioni che si ritireranno dal mercato del lavoro a partire dal 2030. (1)
La tabella 2 rivela per l’appunto la generosità del metodo retributivo. Il trattamento più prodigo spetta ai lavoratori autonomi: a fronte di un montate di 100 euro di contributi versati sono corrisposti benefici previdenziali per 346 euro, se uomini, e per 368 euro, se donne. I dipendenti pubblici (Inpdap) percepiscono in media due volte e mezzo quanto sarebbe giustificato sulla base dei criteri di equità attuariale (il Pvr è pari a 268 per gli uomini e 249 per le donne). Per i dipendenti privati (Inps-Fpld) il regalo è meno consistente, ma ammonta comunque al 60-90 per cento di quanto versato (il Pvr è pari a 162 per gli uomini, 188 per le donne).
I valori riportati nella tabella 2 sono valori medi. Guardando più nel dettaglio la situazione dei diversi individui, emerge come il regalo previdenziale dipenda fortemente dall’età di pensionamento. Nel grafico 1, a scopo esemplificativo, riportiamo il Pvr per diverse età di pensionamento per i lavoratori di genere maschile della gestione Inps-Fpld. Come si vede, il regalo è tanto più alto quanto più bassa è l’età a cui l’individuo si ritira dal mondo del lavoro: ad esempio, a un’età di pensionamento di 55 anni si associa un Pvr pari a 178, mentre al lavoratore che va in pensione a 60 anni si associa un Pvr pari a 150.
L’entità del “regalo” dipende poi dal profilo di carriera. I profili di carriera dinamici, ossia quelli a cui si associa una maggior crescita salariale nel tempo, godono, per effetto della regola retributiva, di benefici comparativamente più alti. Come si vede dalla tabella 3, prendendo nuovamente ad esempio i lavoratori dipendenti privati (Inps-Fpld), gli individui con carriere più dinamiche hanno Pvr medi pari a 165. I lavoratori, che, all’opposto, hanno mostrato tassi di crescita del proprio profilo di reddito più bassi (profilo piatto), hanno un Pvr in media pari a 159.
Tutte le considerazioni sinora effettuate riguardano chi oggi è pensionato o in prossimità del pensionamento. Man mano che la riforma Dini entrerà a regime, le regole del sistema diventeranno sempre meno generose. Come si osserva dalla tabella 1, ultima riga, le generazioni di lavoratori che ricadono pienamente nel sistema contributivo – quelli nati dopo il 1970, che oggi sono ben lontani dal pensionamento – avranno un Pvr circa pari a 100. Ad essi non verrà elargito alcun “regalo” e scompariranno, fortunatamente, anche i trattamenti differenziali tra categorie. Un elemento decisamente a vantaggio del metodo contributivo e della sua applicazione senza ulteriori indugi. (2)
In condizioni di normalità, vale la regola (non scritta) che una riforma non deve toccare le pensioni in essere. In condizioni di stress finanziario, la regola può essere rivista e anche i pensionati possono essere chiamati a contribuire. L’analisi economica suggerisce che, se si decide di intervenire, è certamente opportuno tener in considerazione il “regalo” che norme generose hanno in passato accordato. È ovvio che ciò non debba però riguardare gli interventi “assistenziali” indirizzati ai lavoratori più sfortunati, nei cui riguardi devono prevalere considerazioni di equità, a prescindere dall’ammontare del regalo ricevuto. 


(1) Si tratta di una simulazione condotta presso il Cerp i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso anno sul Journal of Pension Economics and Finance. Ulteriori dettagli sono disponibili presso il centro.
(2) Si veda la proposta di riforma Cerp: http://fileserver.carloalberto.org/cerp/propostaCeRP2011_211.pdf.

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25 commenti

  1. Alessandro Figà Talamanca

    Le cifre mi sembrano incredibili: se, in media, la pensione dello statale è 1379 euro (immagino lordi) al mese e questa pensione è due volte e mezzo la pensione che spetterebbe con il sistema contributivo, questo significa che, con il contributivo, il pensionato statale percepirebbe, in media 551 euro, una cifra di poco superiore alla pensione sociale. Mi sembra troppo poco se si considera che i contributi dovrebbero essere il 30% dello stipendio lordo. Supponendo che la media sia vicina alla mediana, questo significa che la metà delle pensioni statali dovrebbero essere integrate per arrivare alla pensione sociale. Inoltre non mi convince che non siano state prese in considerazione le aspettative di vita. I magistrati, ad esempio, vanno in pensione a 75 anni, e spesso con 50 anni di contributi. A occhio e croce il 30% dello stipendio lordo dovrebbe ammontare ad una media di 40.000 euro di contributi l’anno, che in 50 anni fanno due milioni di euro. Un bel po’ da distribuire su un’aspettativa di vita di poco più di dieci anni.

  2. petrozzi stefano

    Qualcuno mi può spiegare come mai dal fondo pensioni sono stati regolarmente prelevati i contributi, accantonati per pensioni di tutti i lavoratori, usati per la cassa integrazione? Forse sarà mica questo uno dei principali motivi che hanno fatto sgretolare il sistema pensionistico?

  3. Ivano Mosconi

    Concordo con il Prof. Talamanca: penso che chi per 40 anni ha versato il 33% del suo stipendio ai fini previdenziali la sua pensione se la sia ben pagata. Se poi i suoi quattrini sono stati utilizzati per pagare le pensioni distribuite con il metodo retributivo, favorendo le carriere più articolate e quindi i redditi maggiori, si tratta di una distorsione che non deve ricadere sulle spalle del singolo. Circa i confronti con Germania, Francia ecc. bisognerebbe, per completezza, precisare anche quanto versano i lavoratori negli altri paesi.

  4. michele

    Bene invece di alzare l’età pensionabile, qulache politico proponga di anticipare di 20 anni il passaggio completo al contributivo!

  5. Osvaldo Forzini

    Immagino che il sig. Ivano Mosconi scriva pro-domo sua… ma nelle questioni in essere, quello che uno “pensa” (scrive “penso che se la sia ben pagata”) contano poco, quello che contano sono i numeri, ed i problemi (adesso sono di corsa, spero di avere tempo per chiarire) sono almeno due: 1) l’età che si allunga, per cui una persona magari ha pagato 40 anni di contributi, poi però riscuote la pensione per 25 anni.. 2) il retributivo (se non sbaglio) mandava in pensione con l’80% dell’ultimo stipendio, ma i contributi nel corso della vita lavorativa non vengono pagati sull’ultimo stipendio… E comunque sia i discorsi stanno da poche parti: se una pensione calcolata col retributivo viene 2 ed una con i medesimi contributi, calcolata col contributivo, 1, il primo sta prendendo soldi al secondo… saluti

  6. SAVINO

    In italia l’istituto della pensione non è mai stato percepito come gratificazione al termine del periodo lavorativo in accompagnamento alla messa in riposo e alla vecchiaia, bensì come rendita in senso stretto, come vincere al gioco win for life. Solo a vivere di rendita pensa l’italiano, quando lavora e quando è a riposo. Autorevoli statistiche dimostrano, infatti, come vi sia un’alta percentuale di pensionati lavorativamente attivi e rigorosamente in nero. Sono tutte persone che “si sentono giovani”, ma debbono capire che i giovani non sono più loro e che si devono “sentire giovani” anche per fare sacrifici e agevolare il miglioramento delle condizioni di vita dei loro figli, così come i loro padri avevano fatto per loro. I fenomeni tipicamente clientelari del calcolo retributivo, delle pensioni d’oro, delle pensioni di anzianità e baby e delle pensioni di invalidità gonfiate sono in linea con questo trend. E’ solo una questione culturale, per ripristinare nella natura delle cose ciò che oggi è contro natura. Bene fa l’Europa a richiamarci, risolini compresi.

  7. Ivano Mosconi

    Forse nel mio commento mi sono spiegato male. Nel discorso era implicito, forse troppo, che io ritengo profondamente ingiusto il metodo retributivo e sono per il passaggio immediato al contributivo.

  8. Stefano

    “In condizioni di stress finanziario anche i pensionati possono essere chiamati a contribuire” Ho riportato la frase verso la fine dell’articolo. Sono d’accordo, chi ha goduto bazza con pensionamenti dai 40, 45, 50, 55 anni deve essere chiamato ad un contributo. Altrimenti qualsiasi misura restrittiva futura sulle pensioni sarebbe iniqua e priva di solidarietà tra generazioni.

  9. stefano

    Tutti quelli, prossimi alla pensione, che oggi si ribellano all’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni vorrei vedere quando andrebbero in pensione se quest’ultima fosse calcolata con il contributivo anziche’ il retributivo. Introducendo subito il contributivo si darebbe al singolo la facolta’ di scegliere quando andare in pensione, senza alcuna imposizione (come avverrebbe invece con l’innalzamento a 67 anni), ma in modo sostenibile e senza pesare sulle spalle dei giovani! Un paese che spende il 17% del PIL per pensioni ed in cui ci sono 19 milioni di lavoratori e 17 di pensionati non ha futuro.

  10. marco

    Non è proprio così. E’ facile fare un articolo dove si dimostra quello che si vuole dimostrare. Sta di fatto che il regime retributivo, comunque oggetto di una lagge dello stato, è in fase di “sparizione” ormai assunti che nel 1996 avessero almeno 18 anni di contributi ne restano relativamente pochi, si passerà al pro quota e al contributivo, quindi i conti fatti sul passato valgono per quel che sono, tentativi di mistificazione della realta, a meno che non proponiate di cambiare il sistema anche per chi è già in pensione! ormai, la media della pensioni in Italia è oltre i 60 anni, ben al disopra dei 58 della francia e vicinissima ai 61 della germania, e i contributi previdenziali sono ca il 60% più alti inoltre la riforma Damiano+la finestra mobile fara’ si che le pensioni di anzianita’ saranno a 63 anni (o 41,5) e quelle di vecchiaia a 67,5 molto prima del 2029 (anno in cui in Germania si andra’ a 67), in francia si va ancora a 60!

  11. francesco

    Breve chiosa al suo intervento: è vero che la pensione con il metodo retributivo viene calcolata sugli ultimi 5 anni per la quota a e gli ultimi 5 per la quota b, ma c’è un piccolo particolare. I contributi versati per es. negli anni 80 hanno un peso un po’ diverso da quanto versato 2 anni fa.

  12. Andrea

    Sono un lavoratore dipendente di 54 anni che ha i suoi primi contributi risalenti al 1973 (andavo ancora a scuola!), nel 1978 terminato il servizio militare mi sono trovato davanti a un bivio, fare il lavoratore autonomo e qundi lavorare finchè avevo gli occhi aperti, ma con un discreto gruzzolo in banca a fine carriera, oppure lavorare 35 anni (allora la legge prevedeva questo) da dipendente ma sicuramente senza gruzzolo in banca. Ho scelto la seconda ipotesi perchè credo che la vita vada vissuta con un po’ di qualità. Sono passati i 35 anni, ho versato regolarmente i contributi, ma nel frattempo le cose, mio malgrado, sono cambiate, mi si chiede di lavorare ulteriori 5/6 anni in più per aver diritto alla pensione, mi si vul cambiare il metodo di valorizzazione dellla stessa. Adesso? dopo 35 quasi 36 anni di lavoro, nei restanti anni non riusciro mai a farmi una pensione integrativa che compensi la differenza fra i due sistemi di calcolo. Non vi sembra che io abbia largamente diritto alla mia sacrosanta pensione fra 5/6 anni ovviamente e possa godermi i miei anni da qui alla fine?

  13. Roberto C.

    Io sono un 47enne, e sto nel mezzo. A me è stato chiesto un sacrificio e un sacrificio sono disposto a farlo: lavorerò 10 anni in più, al termine della carriera avrò una pensione al 30 % retributiva e al 70 % contributiva. Nel frattempo, a partire dal 1999, mi sto costruendo una pensione integrativa, in parte anche di tasca mia. Questo è il frutto di un percorso costruito per effettuare la transizione con equilibrio da un sistema sbagliato (retributivo) a uno migliore (contributivo). Con equilibrio significa “senza ammazzare nessuno”. I pensionati di oggi godono i benefici di un sistema sbagliato. Ok, non possiamo però chiedere loro i soldi indietro perchè “loro” non avrebbero modo di rstituirceli, a meno di ridurli alla fame (parlo di operai che prendono 1100 euro al mese). Daltronde l’errore non è “loro”. “Loro” hanno pagato le pensioni ai loro padri mentre i loro padri non hanno mai pagato i contributi. In sostanza, se i versamenti all’INPS fossero stati fruttiferi, il retributivo avrebbe retto. Ma così non è. Di chi la colpa? Dei nosti nonni? Peccato siano già morti e sepolti.

  14. Vincenzo Fuschini

    Studi come questo e il dibattito che ne segue sono davvero deprimenti. Ovviamente non esiste un sistema pensionistico modello, ma la legge stabilisce il tipo di welfare per gli anziani preferibile economicamente e SOCIALMENTE in base alla ricchezza prodotta in un dato periodo. Osservo: 1) come si può preferire il sistema contributivo e trascurare che i contributi versati molti anni prima dovranno essere comunque rivalutati? 2) sono considerate le pensioni lorde non il netto da imposta; i pensionati italiani pagano imposte rilevanti ma in altri paesi le pensioni sono esenti o quasi dal fisco! 3) lavoce.info sta proponendo di trasferire una quota delle pensioni in essere all’indennità di disoccupazione, afferma di volere riforme a costo zero (chi le ha mai viste?) ed è contraria alla patrimoniale: devono quindi pagare solo i pensionati? Come potevamo noi ultrasessantenni costruirci una pensione integrativa e come possono farlo i giovani d’oggi con le loro retribuzioni? i collaboratori non hanno nemmeno il tfr! E gli effetti di un taglio delle pensioni sulla domanda aggregata? Ma l’importante è trovare il nemico: gli anziani ricchi e sfruttatori!

  15. Vincenzo Fuschini

    Tengo per me il rammarico di un vecchio insegnante di Istituto Tecnico definito da illustri (?) studiosi come persona che gode di una rendita cospicua (1700 euro netti) definita “regalo a carico della collettività” o “furto ai giovani”. Nessuna captatio benevolentiae, solo tanta rabbia: ridano pure gli illustri professori! I pensionati che manifestano oggi non difendono privilegi!

  16. Raffaele

    Le pensioni sono diventate la panacea di tutti i mali dello Stato. Ogni volta che si parla di far pagare gli evasori, d’incidere sugli sprechi, sui costi della politica, sui costi della corruzione, sui privilegi della Casta e del Vaticano, sui grandi patrimoni, esce la gallina dalle uova d’oro: “Le pensioni dei poveri”. E questo lo si giustifica sul fatto che i nostri figli non avranno una pensione adeguata alla veneranda età di 70/75 anni. Nel frattempo però i nostri figli avrebbero bisogno di campare, e senza il nostro unico contributo ahimè, penso che non ci potranno mai arrivare nè alla pensione e nè a diventare anziani. Allora, bisogna che le proposte devono indirizzarsi verso una socialità che tenga conto di un equilibrio delle finanze: chi gode di buone risorse economiche deve contribuire a investire sul lavoro e sui giovani con la ricerca. Far pagare le giuste tasse a tutti in maniera proporzionale al reddito e alle rendite. Come si fa attualmente con gli assegni famigliari. Creare una società più vicina agli interessi collettivi, eliminando le furbizie. Le proposte non devono nascere per far pagare solo gli altri, ma devono coinvolgere prima di tutto a chi le propone.

  17. Acocella Salvatore

    L’articolo all’oggetto, dice cose parzialmente vere. La pensione col metodo retributivi riferisce la pensione agli ultimi 5-10 anni di lavoro. Non è un assioma che gli ultimi anni siano i migliori per la retribuzione. Il sottoscritto era dirigente di azinenda a 36 anni (1970) e, per cessazione aziendale negli anni ’80 ha terminato 10 anni di lavoro come 1° super. La pensione è stata commisurata a detto status. Altra osservazione: nell’articolo si dice che il tasso di interesse nel caso contributivo è pari al tasso crescita. Perché?. Il ccontibuti dovrebbero essere capitalizzati ad un tasso di interesse maggiore di quello legale perché dovrebbero essere investiti al meglio enon solamente cumulati. Crreggetemi se sbaglio e ditemi perché il tasso netto è zero. Non sitratta di investimenti sociali ma di danari prestati a banche o a chi per loro: almen che l’INPS (o lo stato speculi su chi lavora, eno sarebbe una novità!).

  18. massimo arillotta

    Invito gli autori dell’articolo a leggere la delibera del civ(consiglio indirizzo e vigilanza dell’Inps) n17 del 04102011 alla pag. 23 “Nell’ambito del comparto, il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti presenta un risultato economico negativo di 557 mln rispetto a quello positivo di 2.227 mln delle previsioni approvate, con una variazione negativa di 2.784 mln. Tale risultato è stato determinato dal saldo positivo del Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti pari a 7.309 mln, nettizzato del disavanzo delle separate contabilità dei soppressi Fondi trasporti (-1.075 mln), telefonici (-1.123 mln), elettrici (-1.982 mln) ed INPDAI (-3.686 mln) dicesi dirigenti Con riferimento alle altre gestioni, si conferma il disavanzo della Gestione dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri (-3.558 mln), della Gestione Artigiani (-5.601 mln), della Gestione Commercianti (-1.561 mln), della Gestione Enti pubblici creditizi (-448 mln) ed il risultato positivo della Gestione Parasubordinati (7.201 mln). Fate voi le considerazioni

  19. Antonio Chiaraluce

    Un sistema previdenziale può essere a ripartizione (proteggere gli anziani, con parte del salario dei lavoratori attivi, funzione redistributiva) o a capitalizzazione (restituire al lavoratore, sotto forma di pensione, i contributi versati, capitalizzati ad un tasso pari a quello di crescita dell’economia). Il metodo retributivo è un sistema di calcolo della pensione, così come il contributivo. Non è vero che nel metodo retributivo ci sia uno scarso collegamento fra contributi versati e prestazioni. Nessuno mi ha ancora convinto che, a parità di condizioni, il metodo contributivo sia tanto penalizzante. Il problema è il contratto di lavoro, prima a tempo pieno ed indeterminato oggi atipico, e la retribuzione. Si cambia ed è giusto farlo, ma non diamo al sistema a ripartizione colpe che non ha. Non regalava niente.

  20. massimo

    Retributive o contributive? Va posto un blocco: più di 5000 euro al mese non si può percepire, punto.

  21. Raffaele Giammario

    Capisco la reazione di chi ritiene di essersi completamente guadagnato la pensione, avendo lavorato una vita rispettando le regole in vigore, Capisco che sia difficile riconoscere che, anche senza averlo cercato, si sia diventati beneficiari di un sistema ingiusto. Eppure l’articolo lo dimostra chiaramente: in media chi è pensionato con il sistema retributivo riceverà sotto forma di pensione più di quello che ha versato. Sono d’accordo che sotto una certa soglia, che definirei di vita dignitosa, le pensioni adesso non si devono toccare, ma sopra questa soglia progressivamente ridurre la “generosità” del sistema sarebbe giusto nei confronti di chi il sistema retributivo lo conosce solo di nome, però contribuisce a pagarlo. Perché questo crei tanto scandalo, non lo capisco.

  22. robledo funai

    Sono andato in pensione col metodo retributivo e non mi sento privilegiato. quando ho scelto di fare il lavoro dipendente sapevo le regole che mi aspettavano. Se erano diverse avrei potuto fare l’autonomo o il professionista con le dichiarazioni dei redditi da vergogna che si leggono. Gli enti previdenziali sono stati gestiti in modo vergognosamente clientelare. Sara’ ora di lasciare in pace i lavoratori e pensionati e pensare agli evasori e ai privilegi dei politici.

  23. DANA

    Non è vero che con i contributi non ci si ripaga una pensione, anche calcolata con il metodo retributivo, se non fossero state fatte scelte scellerate alla nascita del sistema pensionistico e sprechi successivamente. Non mi dilungo con calcoli, ma un lavoratore che oggi guadagna lordi circa 50000 €/anno , se i contributi invece di essere stati “dati” all’INPS, fossero stati dati mese per mese direttamente al lavoratore “obbligandolo” a investirli nel modo scelto da lui (per es. in semplici Buoni Postali) avrebbe oltre 900.000 €, al netto di tasse, E SUBITO, E TUTTI, INDIPENDENTEMENTE DA QUANDO MORIRA’. Oppure questo signore si “auto-pagherebbe” una pensione netta di oltre 2000 €/mese per oltre 25 anni e cioè, andando in pensione a 58-60 anni, fino a 83-85 in linea con le aspettative di vita, anche se questo signore fosse una signora. E il calcolo vi assicuro che è cautelativo. Questo, proporzionalmente, varrebbe anche per chi oggi guadagna mettiamo 25/30000 €/anno lordi e volesse “autopagarsi” una pensione di 1300-1500 €/mese.

  24. CIRO PASTORE

    Occorre stabilire una soglia di “reddito minimo” anche per le pensioni. Mettiamo che sia 2000 euro/mese, al di sopra di questa somma anche per le retribuzioni in essere dovrebbe scattare il sistema contributivo, da ricalcolare singolarmente. Ovviamente, coloro i quali dovessero risultare al di sopra con la loro pensione in corso, sarebbero tenuti a scendere a quella determinata con il nuovo calcolo. Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione…

  25. Aldo

    Sono un dipendente statale laureato al massimo grado non dirigenziale con 38 anni di contributi: andando in quiescienza con il retributivo avrò una pensione di circa 1400 euro mensili! Se vi sembra un regalo allora vuol dire che siamo arrivati alla frutta! Concordo con quanto già detto da altri circa il fatto che il retributivo non regalo un bel niente a nessuno essendo le pensioni relative frutto dei contributi versati. Inoltre non dimentichiamo che una cosa è l’aspettativa di vita ( lo dice la parola stessa: aspettativa e non certezza) una cosa è la realtà della durata e sopratutto della qualità della vita : infatti si può vivere fino a 90 anni con una cannula nella gola ma questa non è certo la vita. Infine vorrei evidenziare che tutti i soloni che giornalmente parlano di riforma delle pensioni non speracno una riga per chiedere la riforma delle loro pensioni quasi sempre dorate…

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