Renzo Moser sostiene che il “Fondo ferrovia” (450 milioni ad oggi) debba ritenersi di proprietà della società Autobrennero (“SAB”) in quanto accumulato a fronte di utili non distribuiti agli azionisti. Non essendo un giurista, mi limito ad osservazioni di tipo economico. L’obbligo ad effettuare accantonamenti annui minimi al fondo e l’esenzione da imposte farebbero propendere per ritenere che la proprietà sia dello Stato (che, rinunciando alle imposte, ha contribuito per oltre un terzo del fondo). Altrimenti, l’esenzione da imposte sarebbe davvero anomala e difficile da giustificare: esistono in Italia altri casi analoghi? La fattispecie va poi inquadrata nel contesto del rapporto concessorio. La concessione della SAB scadeva nel 2005, e l’autostrada già allora era stata interamente ammortizzata, pur dopo rivalutazioni monetarie e capitalizzazione di oneri (vedasi il mio libro citato nell’articolo). Ma la SAB ottenne, gratuitamente, una proroga della concessione di 8 anni e 4 mesi, sino all’aprile 2014, grazie anche all’impegno di accumulare il fondo ferrovia. Gli utili conseguiti dalla SAB in questi 8 anni sono di gran lunga superiori agli accantonamenti nel fondo. Anche se venisse deciso che la proprietà del Fondo è dello Stato, non mi pare che gli azionisti avrebbero di che dolersi.
Se lo Stato avesse ripreso la concessione nel 2005 e l’avesse gestita in proprio (es tramite Anas) avrebbe potuto accumulare ben più del doppio per destinarlo magari proprio alla ferrovia del Brennero. Un’ultima osservazione. Ai tanti che in questo come in altri casi di concessionarie si appellano indignati ai diritti degli azionisti suggerisco di rifare la storia di queste società e verificare quanto abbiano mai versato gli azionisti all’origine. Nel caso della Autobrennero, meno di 3 miliardi di lire di allora, cifra davvero risibile se confrontata con il flusso di dividendi percepiti e l’imponenza dei profitti accumulati.

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