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I CONTI SUGLI INCENTIVI ALLE IMPRESE *

Con il perdurare della crisi si moltiplicano le richieste di garantire un sostegno alle imprese per il rilancio dell’attività produttiva. Per evitare il rischio di sprechi è necessario procedere a una corretta quantificazione delle risorse pubbliche erogate. Un compito complesso, a cui si è dedicato il Servizio studi della Ragioneria dello Stato. I risultati mostrano che l’ammontare destinato alle aziende ha sfiorato i 12 miliardi di euro nel 2010. Evidente anche uno spostamento di risorse dagli strumenti di incentivazione diretta agli incentivi fiscali.

Negli ultimi mesi il dibattito sugli incentivi alle imprese si è intensificato per il perdurare di una fase di stagnazione dell’economia mondiale. Per fugare il rischio di un peggioramento dei saldi di finanza pubblica è tuttavia necessario mantenere rigore nella allocazione delle risorse, razionalizzando le forme di aiuto.
Secondo la relazione sugli interventi a sostegno delle attività economiche e produttive del ministero dello Sviluppo economico nel periodo 2003-2008 si sono registrati 91 interventi a livello nazionale e ben 1.216 interventi a livello regionale. In particolare, nel 2008 l’intero sistema – a fronte di circa 133.500 domande pervenute – ha messo a disposizione delle imprese circa 12 miliardi di euro di agevolazioni/finanziamenti concessi e ha erogato 5,9 miliardi di euro. Per i soli interventi regionali, nel 2008 le agevolazioni concesse sono state 2,3 miliardi di euro di cui 1,85 miliardi effettivamente erogati. (1)

ASPETTANDO LA RIFORMA

Un primo tentativo di riorganizzazione si è avuto a seguito della delega che il Parlamento ha conferito al governo per il riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi. La delega, dopo una proroga di sei mesi, è scaduta il 15 febbraio 2011 senza che sia stato varato il relativo decreto legislativo. Una seconda opportunità si è delineata recentemente con l’emanazione dello Statuto per le imprese, il nuovo provvedimento normativo ispirato allo Small Business Act europeo: prevede all’articolo 10 la possibilità di differire nuovamente i termini per l’esercizio delle delega.
In attesa della riforma, a seconda delle diverse sensibilità dei politici e del contesto economico contingente, in alcune fasi gli incentivi sono percepiti come uno strumento per rilanciare la competitività delle imprese, in altre come uno strumento per riequilibrare i deficit di sviluppo presenti nel paese, in altre ancora come un semplice “tesoretto” dal quale attingere per rimettere in ordine i conti pubblici. Se in passato le diverse chiavi di lettura si sono alternate nel corso degli anni, negli ultimi mesi con l’acuirsi della crisi economica si sono avvicendate rapidamente. Da un lato, gli imprenditori e le associazioni di categoria richiedono ulteriori forme di aiuto per fronteggiare la crisi. Dall’altro, i detrattori ritengono gli incentivi uno strumento inefficace, da sostituire con politiche alternative per il rilancio della crescita, a cominciare dalla riduzione della pressione fiscale e dall’attuazione di una nuova politica per le infrastrutture.

LA CONTABILITÀ DEGLI INCENTIVI

Tralasciando gli aspetti legati all’efficacia e all’opportunità delle politiche di incentivazione, è necessario procedere a una corretta quantificazione delle risorse pubbliche erogate a favore del sistema d’impresa. Tuttavia, questa risulta particolarmente complessa per una molteplicità di ragioni. Da un lato, le imprese ricevono sostegno attraverso diversi strumenti di incentivazione (contributi in conto capitale, in conto interessi, crediti di imposta, etc.) e fonti di finanziamento (europee, nazionali e regionali), dall’altro la definizione stessa di “sostegno” o “aiuto” non appare univoca.
Una stima delle risorse nazionali può essere ottenuta attraverso i dati classificati in contabilità sotto la voce “trasferimenti correnti a imprese e contributi agli investimenti”. Non sono tuttavia dati sufficienti perché restituiscono un quadro incompleto, e per certi aspetti distorto, delle risorse erogate sotto forma di incentivi. Incompleto perché sono contabilizzate in altre categorie economiche le risorse destinate alle imprese per sgravi contributivi, previdenziali e assistenziali oppure i crediti di imposta e le compensazioni di contributi. Distorto perché molte voci di spesa classificate come “trasferimenti correnti a imprese e contributi agli investimenti” sono di fatto destinate per altre finalità: ad esempio, acquisto di beni, sottoscrizione di contratti di servizio o funzionamento di aziende pubbliche, come nel caso dei trasferimenti a favore di Ferrovie dello Stato, Anas, Enav o Poste italiane, che di certo non possono essere classificati come incentivi. All’estremo opposto, si rilevano numerosi capitoli del bilancio dello Stato che, pur non essendo direttamente collegati al trasferimento di risorse alle imprese, in realtà vedono proprio queste ultime come beneficiari finali.
Individuare una linea netta di demarcazione tra ciò che può essere considerato incentivo e ciò che si configura più propriamente come un semplice trasferimento è una operazione complessa. In alcuni casi, lo Stato è l’unico acquirente di determinate forniture pubbliche e la decisione di allocare risorse per la costruzione di una nuova unità navale o di un nuovo aeromobile risponde sì all’esigenza di soddisfare una specifica domanda collettiva, ma non si può escludere contenga anche una componente tesa al sostegno di determinati comparti produttivi. In altri casi, sono soprattutto le emergenze occupazionali a legittimare la erogazione di forme di aiuto a favore delle imprese.

LA SPENDING REVIEW

Per tali ragioni il Servizio studi dipartimentale della Ragioneria generale dello Stato ha svolto un lavoro di analisi finalizzato alla verifica dei capitoli di spesa e dei piani gestionali presenti nel bilancio dello Stato che, con ragionevole certezza, possono essere considerati “incentivi” e li ha tenuti distinti dai semplici trasferimenti. Il criterio guida utilizzato per la selezione è stato la controprestazione. Si è in presenza di incentivi quando l’operatore pubblico: 1) eroga risorse senza ricevere in cambio alcun bene o servizio; 2) si sostituisce all’impresa nell’assolvere a determinati oneri come nel caso degli sgravi contributivi e previdenziali; 3) rinuncia a parte del proprio gettito fiscale. Nei restanti casi è più corretto parlare di trasferimenti in cambio di controprestazioni.
In base ai risultati dello studio, l’ammontare complessivo di incentivi erogati alle imprese, nel 2010 ha sfiorato i 12 miliardi di euro. Di questi, 7,6 erogati sotto forma di contributi in conto capitale e contributi in conto interessi, 3,6 erogati attraverso i cosiddetti incentivi fiscali e quasi 700 milioni di euro pagati nella forma di incentivi contributivi e previdenziali. Si tratta di una cifra significativa in valore assoluto anche se di molto inferiore a quella ottenuta attraverso la mera sommatoria delle categorie economiche di appartenenza (“trasferimenti correnti a imprese” e “contributi agli investimenti”), pari a 25,5 miliardi di euro. (2)
Inoltre, è emerso che nell’ultimo triennio si è registrato un incremento degli incentivi erogati, passati da 9,5 a 11,9 miliardi di euro, e uno spostamento di risorse dagli strumenti di incentivazione diretta agli incentivi fiscali. Infine, alla cifra di 11,9 miliardi di euro si potrebbero aggiungere, in quota parte, le somme erogate sotto forma di incentivi al “sistema” (600 milioni di euro). Si tratta di risorse che non sono destinate direttamente alle imprese, ma dalle quali queste ultime percepiscono una qualche forma di beneficio: per citare solo alcuni esempi, rientrano qui le spese per la promozione del made in italy, per il miglioramento della qualità dei prodotti o per il miglioramento genetico del bestiame.

Le prossime manovre potranno superare l’approccio basato sui cosiddetti tagli lineari solo se saranno in grado di misurare, ove possibile, l’efficacia e l’efficienza della spesa. Ma la spending review potrà centrare il raggiungimento di tali ambiziosi e prioritari obiettivi solo se sarà in grado di discernere tra le molteplici finalità della spesa pubblica erogata a beneficio di cittadini, imprese e istituzioni.

* Le opinioni espresse sono da attribuire esclusivamente all’autore e non coinvolgono il ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria generale dello Stato, Servizio studi dipartimentale.
I contenuti ripresi nell’articolo sono stati presentati al convegno Aidea 2011 e pubblicati su Il Sole-24Ore del 3 dicembre 2011. Il lavoro è stato sviluppato dall’Ufficio VIII del Servizio studi dipartimentale della Ragioneria generale dello Stato e sarà pubblicato nel prossimo rapporto sull’Analisi e la valutazione della spesa pubblica. L’implementazione metodologica è di Giovanni Cesaroni e l’elaborazione dei dati e il supporto operativo di Antonio Affuso.

(1) Ministero dello Sviluppo economico, Relazione sugli interventi a sostegno delle attività economiche e produttive, 2009
(2)
Fonte: Bilancio dello Stato, dati 2010.

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QUEL MATRIMONIO DI INTERESSE TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE *

  1. Luigi Oliveri

    Interessantissima analisi, illuminante sotto molti aspetti. Sarebbe interessante sapere se sono stati computati tra gli sgravi anche quelli derivanti alle imprese dalle assunzioni agevolate, come quelle relative agli apprendisti o ai lavoratori in mobilità indennizzata o, ancora, scaturenti da misure nazionali o regionali di incentivazione alle assunzioni, mediante "doti" che possano essere fatte proprie dai datori.

  2. Marco Cobianchi

    I dati del dott. Nannariello sono una risposta definitiva alla polemica sull’entità della spesa pubblica sotto forma di sussidi alle imprese. Tuttavia se si cambia punto di vista e si guarda al fenomeno degli “aiuti di Stato” (in senso lato) dal lato dell’impresa, le cose cambiano notevolmente. Prima osservazione: i sussidi alle imprese energetiche “verdi” non vengono erogati a valere sul bilancio pubblico, ma direttamente dalle bollette dei consumatori e quindi sfuggono alla contabilità nazionale. Tali sussidi sono stati pari, nel 2010, a 3,4 miliardi e portano il totale dei sussidi per quell’anno a quota 15,3 miliardi. Seconda osservazione: le imprese italiane (ad esempio i produttori cinematografici) accedono ad sussidi europei attraverso fondi gestiti direttamente dall’Europa e non dalle autorità nazionali e che, quindi, ancora una volta, non sono quantificati nel bilancio dello Stato. Terza osservazione: non è possibile quantificare nemmeno i sussidi che le imprese italiane ricevono all’estero come, ad esempio, Fiat in Serbia. Quindi se se la spesa pubblica è di 11,9 miliardi, i sussidi effettivamente incassati sono considerevolmente superiori.

  3. Maurizio

    Finalmente qualcuno si fa carico del compito di ristabilire un minimo di verità sul fatto che quando i politici parlano di trasferimenti alle imprese in realtà parlano di altro. Ucciso tutto il sistema di incentivazione non ci voleva un genio per capire che permanendo tutti gli svantaggi (inefficenza PA, costo energia, costo tarsporti, estorisione fiscale ecc) gli investimenti si sarebbero fermati. Anche i Confindustriali si sono venduti per poche parole e vantaggi per le loro imprese il sistema di incentivazione nazionale degli investimenti in nome di una economia di mercato che non esiste. Ora ci dovrà arrangiarsi con un nuovo strumento di incentivazione se si vuole far ripartire gli investimenti delle PMI buttando a mare tutte le esperienze della viturperata 488 che dopo anni aveva affinato delle procedure che di fatto rendevano sempre più difficili le truffe che in ogni caso non sono evitabili al 100%.

  4. giulio

    Da sempre gli incentivi alle imprese, soprattutto per le PMI, sono finiti in auto di grossa cilindrata intestate alla ditta ma di fatto utilizzate regolarmente dalla famiglia dell’imprenditore. Raramente gli incentivi sono stati correttamente utilizzati, e cioè per il potenziamento dell’azienda (acquisto di nuovi e più avanzati macchinari, potenziamento delle protezioni contro gli infortuni (mortali e non), ecc., ecc.). Men che meno in ricerca&sviluppo. In Italia è sempre stato così.

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