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PIANO CASA 2, UN FLOP ANNUNCIATO

Per rilanciare l’economia, ecco un nuovo piano casa. Prevede la riduzione dei tempi del silenzio-assenso, l’estensione della segnalazione certificata di inizio attività e un premio di volumetria. Sarà probabilmente un fallimento come quello del 2009. Perché come allora si parte da un’errata valutazione delle difficoltà del mercato. Fermo non per le lungaggini burocratiche, ma perché il reddito delle famiglie è diminuito ed è più difficile ottenere crediti. Né basterà la capacità edificatoria gratuita a convincere un imprenditore a demolire e ricostruire un immobile.

Per rilanciare l’economia e il settore dell’edilizia privata, con il decreto legge 70/2011 (il cosiddetto decreto sviluppo, convertito con la legge 106/2011) si punta su un “piano casa 2”, erede del “piano casa 1” promosso nella primavera del 2009. Dopo due anni e mezzo di operatività, quel piano ha prodotto risultati modesti in tutte le Regioni (sembra, con la sola eccezione del Veneto). Nessuno, però, è in grado di dare qualche cifra esatta sugli effetti prodotti, poiché, come spesso e scandalosamente succede nel nostro paese, anche per quella iniziativa né le Regioni (che il piano lo subirono) né lo Stato (che fortissimamente lo volle) hanno svolto alcun monitoraggio. Ma una valutazione ex post del primo piano casa sarebbe stata particolarmente importante per evitare al secondo di candidarsi a ripeterne il flop, visto che entrambi sono fondati su un’errata individuazione delle difficoltà del mercato dell’edilizia residenziale e dei fattori di rilancio.

PERCHÉ L’EDILIZIA È FERMA

Il piano casa 2 punta sulla riduzione dei tempi del silenzio-assenso per le richieste dei permessi di costruire e l’estensione della segnalazione certificata di inizio attività (Scia). Alle Regioni viene imposto di disciplinare cambi di destinazioni d’uso, delocalizzazioni, concessioni di volumetrie premiali per gli interventi di demolizione e ricostruzione del patrimonio edilizio esistente e di riqualificazione delle aree urbane. Dopo sessanta giorni dalla pubblicazione della legge di conversione, in assenza di leggi regionali di attuazione delle norme del decreto, i consigli comunali possono deliberare il rilascio di permessi di costruire in deroga ai piani regolatori. Dopo centoventi giorni, nelle Regioni a statuto ordinario, i progetti di razionalizzazione e riqualificazione del patrimonio possono essere realizzati, applicando direttamente la norma statale, con un premio di volumetria del 20 per cento per gli edifici residenziali e del 10 per cento per quelli con altre destinazioni.
La semplificazione e l’accelerazione delle procedure tecnico-amministrative per ottenere i titoli abilitativi alla costruzione costituiscono una necessità e una buona cosa in sé. Ma, ammesso che vi sia una reale necessità di espandere il patrimonio edilizio, se nelle nostre città e paesi non svetta un numero di gru paragonabile a quello precedente il 2007-2008, la causa principale non può essere individuata nell’esasperazione dei costruttori a causa delle interminabili attese per il rilascio dei permessi di costruire. La realtà è che gli operatori tardano a presentare le richieste dei permessi di costruzione, e a ritirare quelli già rilasciati, per evitare di anticipare il pagamento degli oneri urbanistici e concessori relativi a immobili per i quali non sanno quando matureranno le condizioni e le convenienze per costruirli. Oggi, quelle condizioni e convenienze non ci sono per la riduzione del reddito delle famiglie e la stretta del credito, torneranno a esserci quando la ripresa dell’economia e la disponibilità di credito rilanceranno la domanda di case.

QUELLA VOLUMETRIA IN PIÙ

La concessione di una volumetria aggiuntiva produce gli stessi effetti della riduzione del costo di uno dei fattori che concorrono al costo complessivo del prodotto. Con il premio volumetrico viene accordata una capacità edificatoria del tutto gratuitamente. Il valore del premio è più elevato nelle aree di grande concentrazione urbana, dove l’incidenza della rendita sul costo complessivo per unità di superficie costruita è molto elevata (fino a superare il costo industriale di realizzazione).
Ma difficilmente il proprietario di un immobile deciderà di demolirlo e ricostruirlo sotto la sola spinta incentivante di una capacità edificatoria gratuita. La possibilità di avvantaggiarsi di un premio di volume non ha un’influenza primaria nelle decisioni degli imprenditori in una condizione di mercato depresso come l’attuale. Anche in una situazione di mercato ben carburato, l’incentivo volumetrico assolve pienamente la sua funzione solo quando non ve ne è necessità: quello di un immobile destinato comunque alla demolizione e il cui unico valore è dato dall’area sulla quale è costruito. Negli altri casi non è scontato che il beneficio connesso alla volumetria aggiuntiva sia almeno sufficiente (ma dovrebbe essere non almeno bensì più che sufficiente) a compensare i costi derivanti dalla demolizione e ricostruzione dell’edificio. L’immobile demolito ha un valore economico del quale occorre tenere conto nella valutazione. Il prezzo dell’immobile ricostruito con volumetria incrementata deve essere almeno sufficiente a coprire la perdita del valore dell’edificio demolito e il costo di realizzazione di quello nuovo. (1) Affinché questa condizione di fattibilità possa determinarsi, il premio di volumetria deve fare aumentare quella esistente di una percentuale altissima. L’unica legge regionale che, forse, potrebbe creare tali condizioni di fattibilità è quella del Lazio (impugnata dal governo Berlusconi), la quale prevede cambi di destinazione d’uso urbanistico e, anche, per alcune specifiche localizzazioni, incrementi di volumetria del 150 per cento, una percentuale di quattro-cinque volte superiore a quelle delle altre Regioni.

(1) Se l’intervento comporta una rilocalizzazione occorre aggiungere anche il costo della nuova area edificabile (della vecchia area si ricava poco o niente: le normative regionali spesso ne prevedono la cessione gratuita al comune).

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LA CAPORETTO DELLA CRESCITA E I DUE MARIO SUL PIAVE

  1. Francesco

    Salve, visto lo stato di generale cementificazione del paese e l’ammontare esorbitante dell’invenduto (sia abitativo che direzionale, ed in alcuni casi anche industriale) non si vede proprio la necessità di stimolare ulterioremnte della nuova edificazione quando quello che serve è la riqualificazione e messa in sicurezza dell’enorme patrimonio esistente. Visto il consumo di suolo che abbiamo avuto sinora c’è da augurarsi che questo pinao sia veramente un flop

  2. Antonella Licata

    E se si cominciasse a ragionare seriamente su quanto sarebbe importante in un paese fatto come il nostro incentivare, con sgravi notevoli, la ristrutturazione dell’esistente. Questa idea completamente insana che la casa bella sia la casa nuova, possibilmnete progettata da un geometra con garage e tavernetta, sta devastando l’Italia. Perché non spingere invece ( come predicano da anni Settis, Petrini e tutte le persone cui sta a cuore il nostro paese) a restaurare e riclassificare da un punto di vista energetico le case antiche, basterebbe abbassare fortemente gli oneri, eliminare l’IMU per 10 anni e concedere la detrazione del 50% su tutti i lavori di riclassificazione deducibile a piacere e non per forza in 10 anni. Questo servirebbe non solo a rimettere un po’ in moto l’edilizia , ma anche a far riflettere gli italiani su cosa vale veramente la pena di fare e sul concetto di bello che non puó essere disgiunto da quello di buono e di giusto.

  3. umberto

    Chi propone un rilancio dell’economia mediante un rilancio dell’edilizia non conosce il mercato immobiliare e forse conosce poco l’economia. Ho poco da aggiungere alle tesi dell’autore ed ai commenti precedenti. Aggiungo solo che il mercato immobiliare è in crisi con elevate percentuali di invenduto e prezzi in declino ormai da un pezzo. Per non parlare della cementizzazione selvaggia in cui si è inserita alla grande anche la criminalità, che ha interesse a costruire anche in perdita allo scopo di riciclare denaro sporco: una perdita del 20% per la criminalità è comunque un guadagno perchè permette di ripulire denaro illecito con un costo accettabile.

  4. Claudio Siniscalchi

    Anche l’intervento di Lungarella continua a considerare l’edilizia come uno strumento per il rilancio dell’economia. Abbiamo costruito all’inverosimile negli ultimi 50 anni eppure siamo in crisi lo stesso, evidentemente dobbiamo cambiare strada. http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/

  5. Confucius

    L’unico aspetto positivo dello sviluppo edilizio è legato al fatto che gli edifici sono tra i pochi beni che devono essere “prodotti” in loco: non è possibili costruire uno stadio od un centro commerciale od un grattacielo in Cina per trasportarlo, come fosse una partita di telefonini o di i-pad od una nave da crociera, in Italia. Ciò detto, abbiamo preso per i fondelli gli spagnoli per il fatto che il loro sviluppo si è basato sulla cementificazione delle coste con la costruzione di seconde case per inglesi e tedeschi. Se la migliore idea che i nostri esperti economici hanno partorito è questa, non resta che l’emigrazione!

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