Nella diffusione della presenza criminale nelle attività economiche, svolgono un ruolo cruciale figure professionali non affiliate alle cosche e tuttavia strategiche nel consentirne la penetrazione nei gangli dell’economia legale. Se non si può ricorrere alla nozione di concorso esterno, sono comunque necessari altri istituti giuridici che permettano di colpire i consulenti delle organizzazioni criminali, pur non affiliati. Anche perché superato questo passaggio diviene molto più difficile rintracciare l’origine delittuosa delle attività lecite.
La recente sentenza della Corte di cassazione sul caso DellUtri ha aperto una discussione di natura giuridica sulla nozione di concorso esterno ampiamente commentata nel pezzo di Marco Alessandro Bartolucci . Fuori dalle categorie giuridiche, lo stesso istituto si presta tuttavia anche a una riflessione sul ruolo che, nello sviluppo e nella diffusione della presenza criminale nelle attività economiche, svolgono figure non affiliate alle cosche e tuttavia funzionali e strategiche nel consentirne la penetrazione nei gangli delleconomia legale.
DALL’ATTIVITÀ CRIMINALE A QUELLA LEGALE
Abbiamo già discusso come lo sviluppo fisiologico delle attività di una organizzazione criminale parta dalla gestione di attività illecite (stupefacenti, estorsione, usura, gioco d’azzardo, prostituzione, smaltimento illegale dei rifiuti, eccetera) e richieda di reinvestire una parte di questi proventi, attraverso il riciclaggio, in attività produttive e investimenti mobiliari e immobiliari. I tassi di rendimento delle attività illegali, infatti, sono troppo elevati per consentire di reinvestire tutti i nuovi capitali in una continua espansione delle attività dentro il perimetro illegale, e spingono quindi ad affacciarsi verso nuove attività e nuove aree territoriali capaci di valorizzare il reinvestimento dei capitali illeciti. Questo processo, che ha conosciuto una accelerazione nei decenni scorsi con il ruolo (e gli enormi guadagni) che prima Cosa Nostra e poi la ‘Ndrangheta calabrese hanno assunto nel commercio internazionale degli stupefacenti, da molto tempo immette nei circuiti dell’economia legale ingenti capitali e una diffusa presenza criminale in molti settori economici e nelle regioni settentrionali del paese.
Quando una organizzazione criminale deve uscire dal perimetro delle proprie attività illegali tradizionali, porta con sé un insieme di asset che possono essere valorizzati anche in attività lecite: enormi capitali liquidi, l’abitudine a non rispettare le normative e regolamentazioni fiscali, contributive, di sicurezza, ambientali, una rete di relazioni e il controllo del territorio, l’uso della violenza. Questi fattori costituiscono potenzialmente un vantaggio di costi e una capacità di spiazzamento rispetto ai concorrenti legali. E spiegano anche perché in modo sistematico le prime incursioni nell’economia legale avvengano in settori dove questi fattori sono sufficienti a svolgere le attività economiche, dalle fasi meno tecnologicamente avanzate del ciclo edilizio (movimento terra, forniture) al commercio, ai pubblici esercizi, al trasporto. Settori spesso opachi dove quindi la stessa fase del riciclaggio meglio è gestibile.
Ma una presenza consolidata e sistematica in settori legali richiede competenze tecnologiche e professionali che, in origine, l’organizzazione criminale non possiede. E può essere ulteriormente valorizzata dallo sviluppo di una rete di rapporti con gli amministratori locali che regolano molte di queste attività. Si apre quindi un duplice fronte su cui la crescita della presenza criminale si sviluppa: i rapporti con i ceti professionali e quelli con i pubblici amministratori. L’organizzazione ha bisogno, per svolgere le sue attività economiche legali, di avvocati, commercialisti, consulenti, ingegneri, tecnici, che apportino quelle competenze che originariamente gli affiliati alla cosca non avrebbero. E non sempre queste figure professionali, pur operando in modo stabile e continuativo, assumono un ruolo assimilabile a quello dell’affiliato. L’inner circle dei membri della cosca si avvale quindi di una rete di collaboratori che, pur con un legame meno stretto e formale con l’organizzazione, ne costituiscono un vitale circuito di competenze e supporti.
Allo stesso modo, con le pubbliche amministrazioni, i legami di corruttela e complicità che permettono di manipolare gli appalti nei settori della fornitura diretta o nei lavori pubblici, e di ammorbidire decisioni cruciali nel campo immobiliare, ambientale e del commercio, non necessariamente avvengono con pubblici amministratori affiliati alle cosche. Nella maggior parte dei casi, in un tessuto amministrativo già profondamente contaminato dalla corruzione, le organizzazioni criminali hanno buon gioco nello sfruttare le proprie armi, dai capitali alle relazioni fino alla violenza.
FIGURE CRUCIALI
Da questa breve e sommaria ricostruzione appare quindi evidente come l’espansione della presenza criminale in settori legali non avvenga solamente attraverso pratiche illecite già censurate dal codice penale, dalla violenza alla corruzione dei pubblici amministratori all’evasione fiscale e al riciclaggio. L’espansione nei settori legali coinvolge, in attività legali e svolgendo funzioni professionali di per sé lecite, si pensi alla redazione di un progetto edilizio o di un piano di investimento finanziario, figure che tuttavia si prestano, in ruolo strategico, a favorire la crescita delle organizzazioni criminali nell’economia legale. Senza queste competenze, questo cerchio magico di advisor delle cosche, le capacità di penetrazione delle organizzazioni criminali in campo legale sarebbero molto minori.
Non siamo in grado di dire se la nozione di concorso esterno, nata nella ricostruzione di Bartolucci per individuare quanti, in una fase eccezionale di ripiegamento di Cosa Nostra, si prestarono a dare un aiuto pur non essendo membri delle cosche, possa abbracciare anche queste figure e questi ruoli di raccordo cruciali nella normale attività delle organizzazioni criminali all’interno dell’economia legale. Ma riteniamo che questo sia uno dei fronti fondamentali dove cercare di bloccare la penetrazione del crimine organizzato nell’economia legale, un fronte superato il quale diviene molto più difficile rintracciare l’origine criminale delle attività lecite e interrompere la penetrazione del crimine nell’economia legale. E un fronte per il cui presidio è necessario predisporre anche i necessari istituti giuridici.
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Francesco
Concordo. Nel mio piccolo ho fatto lo stesso tipo di analisi sul mio blog. Il problema però ritengo sia anche e forse soprattutto politico, fermarsi solo agli istituti giuridici significa combattere le mafie con il concorso esterno e similari, occorre trovare il modo di dare un alternativa socio-economica al Sud. E’ vero che ci sono tanti che sfuggono alle mafie e si comportano in maniera quasi eroica. Ma le parole e i gesti di eroismo a mio modesto parere non bastano bisogna strappare quella parte di popolazione che fa una scelta di “concorso esterno” solo per sopravvivere perchè non c’è alternativa, preciso non è assolutamente una giustificazione però ritengo che qualcosa oltre l’aspetto giuridico va fatto.
marco
Penso che ci siano anche altre strade; inanzitutto portare il tema al centro del dibattitto al posto di far finta che sia marginale; bisognerebbe incominciare una martellante campagna educativa e pubblicitaria,l’opposto di quel silenzio in cui lavora tanto bene la mafia; prendere in giro e sbeffegiare la cultura mafiosa e infondere più coraggio nella gente spingendola alla ribellione; allo stesso tempo bisogna migliorare le leggi in modo da aiutare fiscalmente in modo determinante chi denuncia il racket; un commerciante colpito non deve essere costretto a chiudere la sua attività nonostante gli aiuti dello Stato; deve essere premiato come un eroe con onori e cerimonie pubbliche e non deve più pagare le tasse per anni. Lo Stato deve essere più vicino in certe situazione, non ci devono essere sensi di abbandono. Si parla tanto di sviluppo del sud- Il sud ha ottime menti e prodotti alimentari e manifaturrieri fantastici e giovani con voglia; ma nessuno può permettersi di stare sul mercato pagando due volte, tasse e pizzo! Per questo i migliori e onesti spesso emigrano, basterebbe risolvere questo problema e il sud diventerebbe una zona ricca e fiera, come è stata in secoli passati.
OCdE
Al posto del vago “concorso esterno”, non si potrebbe optare per il “favoreggiamento” – opportunamente modificato – prevedendo aggravanti visto che ad essere favorita è la criminalità organizzata? Per quanto riguarda i professionisti e gli amministratori locali, va detto poi che, a volte, forse, sono minacciati – almeno inizialmente – più che conniventi consenzienti. Anche per questo lo Stato dovrebbe vigilare molto di più.
umberto
La cosa pubblica in italia ha raggiunto nel tempo un livello di degrado del quale stentiamo a renderci conto. Questo degrado ha finito per condizionare anche il modo di pensare comune. Ci sono stati uomini delle istituzioni che hanno detto pubblicamente che con la mafia bisogna convivere. In alcuni casi il Parlamento si è eretto a difensore di politici inquisiti per mafia . La mafia, potente e danarosa, è penetrata in profondità nelle istituzioni e nella politica. Basta aprire il giornale per verificarlo. Stante la gravità della crisi e della situazione, occorre innanzitutto la consapevolezza della gravità del problema e poi misure adeguate alla minaccia, che partano dalle bonifiche normative ( eliminazione delle leggi a favore dell’illegalità), a leggi appropriate per battere il crimine , l’illegalità e la corruzione pubblica, a provvedimenti di governo atti a facilitare la repressione dell’illegalità. Non è difficile battere la mafia, ma bisogna partire dal risanamento delle istituzioni. Per farlo occorre solo la volontà politica . Ovviamente concordo con lo specifico suggerimento dell’autore, ma è solo un primo passo.
Roberto
Non credo serva a molto confidare nella politica, nella rigenerazione morale, nello sviluppo del sud (anche perché il fenomeno riguarda, eccome!, anche il nord ed il centro) e ad altre soluzioni “poetiche”. Ad un professionista (commercialista, avvocato, architetto, ingegnere, informatico) dategli un bel pacco di soldi per trovare “la strada giusta” e lui ci si butta, senza tante domande, specie se anche lui con l’acqua alla gola. E poi, la “strada giusta” la cercano, e la trovano, grazie alle stesse figure professionali, anche tanti “onesti imprenditori”. Certo, se sono a conoscenza – o potevano facilmente esserlo – dei capitali che gestiscono, è un altro conto, oppure se hanno compiuto operazioni palesemente distrattive e camuffatrici. Ma altrimenti non vedo come intervenire. L’unica è aggredire i capitali dei malfattori, ma abbiamo visto che gli esiti non sono per niente sicuri. Però. è comunque un argomento da discutere e bene a fatto a metterlo sul tappeto.
PDC
Se il concorso esterno nascesse – lo dico come ipotesi di lavoro – in parlamento e nel CSM, sarebbe un po` difficile venire a capo del problema.
Domenico
Nel mare della retorica e del piattume dei dibattiti che servono a commentare qualche dato statistico quotidiano, colgo con qualche sorpresa l’intervento del prof. Michele Polo. Una sorpresa che ridesta dallo sconforto e dal fatalismo che avvinghia coloro che cercano di vedere oltre la realtà che offre il Paese. Il problema sollevato non è lontanamente discussione o approfondimento dei mezzi di informazione, nè costituisce oggetto di analisi di task force o programmi governativi. Ma, indubbiamente, è un problema epocale per il Paese. La compenetrazione tra economia legale ed illegale (criminale) è un dilemma che quanto più ritarda ad essere sciolto, tanto più segnerà il destino e le sorti del Paese. Un primo studio di natura governativa sul fenomeno mafioso fu realizzato addirittura nel 1875(!). Ebbene, nonostante il tempo passato e la piena conoscenza del fenomeno, è difficile che lo si affronti con un’azione di governo che vada al di là di alcuni eventi di carattere mediatico. Costa, enormemente, affermare che esiste una contiguità tra la cultura mafiosa e una classe dirigente che ha il pieno possesso delle istituzioni: da quelle amministrative locali fino a quelle politico- rappresentative. La cultura mafiosa è cultura di potere. E il potere è tanto più utile quando può fare a meno della legalità ponendosi al servizio di una élite. In questa struttura i cambiamenti e la dinamicità della società sono accettati solo in quanto perpetuino gli interessi della élite. Pertanto a sopravvivere è una società che fa dell’immobilismo la sua ragione di esistenza, facendo venire meno quei fenomeni che costituiscono la linfa vitale e l’ossigeno per produrre un sano sviluppo e progresso: mobilità sociale, competizione, innovazione ed educazione. Aspettarsi una operazione catartica che avvenga ad opera delle medesime istituzioni contaminate appare pura ingenuità. Non rimane che auspicare una rivoluzione culturale capace di emarginare la cultura egemone mafiosa e che possa educare le nuove generazioni a nuovi valori, come esemplarmente fatto da qualche magistrato sopravvissuto alla stagione delle stragi, dedicandosi ad insegnare. Sistema educativo permettendo.