L’immigrazione è un tema caldo nella campagna elettorale delle presidenziali francesi. Ma se si guardano i dati, la Francia con i suoi 200mila ingressi l’anno è uno dei più chiusi tra i paesi avanzati. Eppure, non sono pochi i francesi che imputano le difficoltà a trovare lavoro proprio agli stranieri. Secondo gli economisti, invece, l’immigrazione non ha evidenti effetti negativi né sull’occupazione, né sul livello dei salari. E non sarà certo l’irrigidimento della politica migratoria che permetterà di risolvere i problemi di deficit di bilancio o di previdenza del paese.
È proprio vero che in Francia si sta verificando una massiccia immigrazione legalizzata, come hanno sostenuto alcuni candidati nella campagna elettorale per il primo turno delle presidenziali? Nel 2008 il paese contava 5,2 milioni dimmigrati, che corrisponde all8,7 della sua popolazione (al 10,6 se si calcolano anche i francesi nati allestero). Attualmente sono circa 200mila i cittadini stranieri che ogni anno si stabiliscono in Francia.
PERCHÉ IN FRANCIA SI DISCUTE DI IMMIGRAZIONE
La cifra equivale pressa poco alla popolazione di una città francese di medie dimensioni, come Rennes per esempio, vale a dire allo 0,31 per cento (o 3,1 per mille come direbbero i demografi) della popolazione totale. Tanto per fare un paragone, la Germania, nel 2010, ha accolto sul suo territorio più di 800mila emigranti (è il numero degli ingressi sul suolo tedesco, non quello del saldo migratorio; ed è questa cifra che deve essere paragonata ai 200mila della Francia). Con un tasso dimmigrazione di questo tenore la Francia finisce con lessere uno dei paesi più chiusi dellOecd; solo il Giappone, ben noto per essere ermetico, ha un tasso più basso.
In compenso, registriamo sì 200mila ingressi, ma anche un numero elevato di trasferimenti di francesi allestero e soprattutto di stranieri che ripartono. Nel 2010 il saldo migratorio (differenza annuale tra gli ingressi nel territorio e le uscite) era di circa 75mila persone. Il saldo era quindi dell1,2 per mille, vale a dire due volte meno di quello registrato in Francia negli anni Sessanta; imparagonabile, poi, con quello di alcuni paesi come la Germania (10 per mille agli inizi degli anni Novanta), la Gran Bretagna o gli Stati Uniti (5 per mille), per non parlare dei tassi spagnoli dei primi anni Duemila (15 per mille tra il 2005 e il 2007). Non ci sembra quindi proprio il caso di parlare dinvasione migratoria.
Si può imputare agli immigrati laumento della disoccupazione e il mancato aumento dei salari, in particolar modo di quelli dei lavoratori non qualificati? È questo il problema di cui si discute oggi. Listituto di sondaggi Ipsos ha rilevato, nellagosto 2011, che il 41 per cento dei francesi ritiene che gli immigrati siano la causa della loro difficoltà nel trovare lavoro. Invece, gli economisti sostengono (quasi unanimemente, una volta tanto) che limmigrazione non ha evidenti effetti negativi né sulloccupazione, né sul livello dei salari dei cittadini. E ciò perché larrivo di nuovi immigrati non si traduce automaticamente in una suddivisione dei posti di lavoro esistenti tra questi ultimi e gli autoctoni, come se la stessa torta dovesse essere divisa in fette molto più piccole, per larrivo di nuovi invitati.
Per dirla in parole semplici, limmigrazione spesso è equiparata a uno shock di offerta sul mercato del lavoro: in teoria, cioè, provocherebbe una pressione al ribasso sui salari, perché vi è eccessiva offerta di mano dopera dello stesso livello. Quando esistono rigidità salariali (per esempio il salario minimo), la pressione al ribasso finirebbe con linfluire sullaumento della disoccupazione. Ma questo tipo di ragionamento semplicistico offre una visione solo parziale di una realtà ben più complessa.
Innanzitutto, limmigrazione agisce sicuramente sullofferta di lavoro, ma agisce in egual modo sulla domanda. Gli immigrati contribuiscono ad aumentare la domanda finale di beni e servizi, il che stimola la produttività e quindi la domanda di mano dopera. Un recente studio delle Nazioni Unite mostra che laumento dell1 per cento di popolazione attiva, proveniente dallimmigrazione, aumenta in pari misura il Pil.
In secondo luogo, lattività degli immigrati è complementare a quella degli autoctoni e non sostitutiva. Per convincersene, basta esaminare la forte concentrazione di lavoratori immigrati in determinate attività (pulizia, ristorazione, servizi alberghieri, edilizia, e così via).
Inoltre lo stock di capitale non è un dato fisso e che i settori economici che assorbono limmigrazione adattano progressivamente i loro mezzi di produzione e le loro infrastrutture allarrivo di nuovi lavoratori. Ciò spiega, ad esempio, perché il ritorno di 900mila rimpatriati dallAlgeria, in seguito alla firma degli accordi di Evian del 1962, ha avuto – nei dipartimenti interessati dal fenomeno – un impatto molto limitato sul funzionamento del mercato del lavoro.
LA QUESTIONE DEL WELFARE
Si dice anche che limmigrazione sarebbe un fardello notevole per le finanze pubbliche. Questidea si fonda sullimpressione generalizzata che limmigrato sia meno istruito e qualificato dei cittadini nativi, che sia spesso senza lavoro e con tanti figli. Benché non si tratti di unimpressione del tutto errata, lasserzione che limmigrato possa incidere sulle finanze pubbliche manca di buon senso. Dalle analisi emerge che, anche se gli immigrati usufruiscono considerevolmente delle misure di previdenza sociale in alcuni settori (famiglia, alloggio, disoccupazione e assistenza) e anche se i loro contributi alle finanze pubbliche sono mediamente inferiori a quelli degli altri cittadini, non rappresentano tuttavia un vero costo per le finanze pubbliche.
Ciò si spiega con la nostra struttura previdenziale per fasce detà. Il nostro sistema di previdenza sociale è ascendente, cioè gli attivi pagano per gli inattivi, vale a dire i pensionati. I due settori della previdenza di cui usufruiscono maggiormente le persone anziane sono la sanità e il sistema pensionistico: assorbono, già ora, l80 per cento della spesa sociale del paese. Gli immigrati sono, invece, per lo più raggruppati nelle fasce di età attiva: il 55 per cento è tra i 25 e i 55 anni. In conclusione, il fatto che gli immigrati siano soprattutto presenti in quelle categorie che pagano più di quanto percepiscono va a controbilanciare leventuale sovraccosto di determinati settori della previdenza sociale.
Ma, si potrebbe obiettare che questi immigrati, che ora sono nel pieno delle loro forze, invecchieranno e peseranno quindi sul bilancio. Certo, ma bisogna riflettere che i loro figli, attualmente a carico delle finanze pubbliche, cresceranno e a loro volta lavoreranno. Ciò che importa, insomma, è il contributo che gli immigrati e i loro discendenti daranno durante il loro ciclo vitale. Se quindi si proietta nei decenni futuri lattuale politica migratoria e si considera che il 70 per cento dei nuovi arrivati ha meno di 30 anni, il bilancio dinamico delle finanze pubbliche è leggermente positivo, grazie allapporto costante di individui che sono nelletà attiva. Non è certo lirrigidimento della politica migratoria che permetterà di riassorbire i problemi di deficit del bilancio della Francia, né tantomeno quelli concernenti la previdenza sociale.
Manca decisamente il buon senso quando si affronta il problema dellimpatto economico dellimmigrazione. I pareri degli economisti sono inequivocabilmente unanimi: limmigrazione non rappresenta un costo per leconomia francese. Con ciò non vogliamo affermare che potrebbe risolvere i problemi economici relativi allinvecchiamento della popolazione. La vera posta in gioco dellimmigrazione non riguarda il settore economico, bensì quello politico e identitario.
Traduzione di Daniela Crocco
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AM
Concordo in pieno. In Italia si pensa in generale che l’immigrazione non sottragga posti di lavoro agli italiani, ma poi stranamente le medesime persone sono favorevoli ai pensionamenti anticipati ritenendo che si aprano posti di lavoro per i giovani. Vi è in tutto questo un’evidente contraddizione.
Giulia
grazie per la traduzione, veramente un testo chiaro e interessante.
Andrea
Un piccolo appunto: non state tenendo conto di tutti quelli che mandano fino al 80 per cento del loro stipendio nei paesi di origine (dove magari si vivrebbe bene anche con 350 euro al mese) in attesa di un “buen ritiro”. Ogni anno, infatti, l’INPS paga all’ estero pensioni per svariati milioni di euro che escono dal circuito della nostra economia. (NB: alcune di queste pensioni sono di italiani)
Palatinus
Gli ingressi sono 200.000 in Francia. È su questo dato che bisogna lavorare, non sul saldo migratorio, poichè il saldo migratorio può e dovrà essere negativo. Non è un obbligo di legge accogliere immigrati, l’Europa non è la caritas o un centro di accoglienza. E noi europei dovremmo ascoltare molto meno ciò che dicono statunitensi ed asiatici. E seguire Corea del Sud e Giappone, chiudendo all’immigrazione (99,99 % di coreani in corea del sud e 98,2 % di giapponesi in Giappone su 127 milioni di abitanti). E non è un caso che in Cina siano mono etnia, ovvero il 92 % della popolazione è Han (ed il restante 8 % è composto da minoranze di origine cinese). E la Germania capirà molto presto quanto l’immigrazione sia negativa e pericolosa, contrariamente all’incentivazione delle nascite dei tedeschi. Già molto socialisti come Sarrazin lo hanno compreso.
John Grande
Bellissimo articolo, ma si dimentica un piccolo particolare: il voler mettere gli immigrati in una situazione di irregolarità..l’immigrato regolare, solitamente, non abbassa lo stipendio dell’ autoctono (anche se su questo si potrebbe discutere…), ma ovviamente l’immigrato irregolare è uno strumento necessario al capitale per il suo processo di accumulazione. il sistema della quote, insieme alle politiche repressive inaspritesi in Europa ancora di più dopo la Bossi-Fini (che ha fatto scuola…) per il sistema neo-liberista in un periodo di crisi acuta come questo, è diventata una necessità per mantenere il più basso possibile il costo del lavoro. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, un proletariato dei servizi sempre più povero e numeroso e un accentramento delle ricchezze sempre più vergognoso e inaccettabile!