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Cosa serve alla dirigenza pubblica di domani

Sul reclutamento delle figure di vertice della Pa il Governo sembrava essere partito con il piede giusto, ma il disegno di legge delega ripete molti degli errori passati. Servono competenze nuove e contaminazioni con settore privato e università. Uno sguardo all’esperienza francese.

L’EQUIVOCO CONTINUA

Fra le diverse proposte di riforma della Pa presentate dal presidente del Consiglio e dal ministro dell’Innovazione e della Pubblica amministrazione lo scorso 30 aprile nella ormai famosa lettera ai pubblici dipendenti, meritano una particolare riflessione quelle sul reclutamento della dirigenza. Partendo da una domanda semplice: quale dirigenza serve alla Repubblica? E per fare cosa?
Nelle sue dichiarazioni programmatiche alla Camera, in aprile, Marianna Madia ha espresso la volontà di estendere a tutta la dirigenza il sistema di reclutamento del corso-concorso della Scuola nazionale dell’amministrazione. Si tratta di una felice inversione di marcia: dopo il reclutamento-spezzatino degli ultimi venti anni, si indica un unico canale di entrata, altamente selettivo e meritocratico, per individuare le professionalità che servono a un’amministrazione moderna, contribuendo a creare quello spirito di corpo che è sempre mancato alla dirigenza pubblica italiana.
L’attuale sistema (definito dall’articolo 28 del decreto legislativo 165/2001) si basa infatti su un’illogicità di fondo: metà della dirigenza è reclutata attraverso la Sna, con un concorso di accesso aperto a esterni e interni, un periodo di formazione, un tirocinio e, dopo un esame finale, l’approdo alla direzione di un ufficio, chiavi in mano; l’altro 50 per cento tramite i concorsi riservati agli interni delle singole Pa, oggettivamente meno onerosi e impegnativi, con un passaggio presso la Sna solo dopo l’entrata in ruolo. I due percorsi portano esattamente alla medesima figura dirigenziale, senza distinzione alcuna in relazione agli incarichi. Ovviamente, però, un percorso più lungo, costoso e selettivo e con una formazione mirata diviene un inutile spreco se non è accompagnato da un conseguente utilizzo dei dirigenti così formati.
In ogni organizzazione occorre essere consapevoli di quale management sia necessario, reperendolo con modalità mirate e coerenti con il risultato che si intende ottenere, ma questo vale ancor di più per la dirigenza pubblica, motore di ogni processo di policy. Eppure il disegno di legge delega “Repubblica semplice” sembra perpetuare l’equivoco. Prevede infatti a) un concorso unico con assunzione a tempo determinato e successiva assunzione a tempo indeterminato, previo esame di conferma dopo il triennio di servizio; b) il corso-concorso, con entrata in servizio come funzionari per quattro anni e successiva eventuale immissione nel ruolo unico della dirigenza previo superamento di un esame. L’impressione è che non solo non si intenda valorizzare adeguatamente, pur con le opportune correzioni, la quasi ventennale esperienza del reclutamento per corso-concorso, ma che sia ancora assente un’idea forte di quale dirigenza si cerchi e per quale scopo.

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LA FORMAZIONE

Si pensi, per esempio, all’École Nationale d’Administration francese, dove si reclutano annualmente alcune decine di figure secondo quote prestabilite: per il 50 per cento giovani non facenti parte della Pa; per il 40 per cento circa interni alle amministrazioni; per il restante 10 per cento individui provenienti dal settore privato. Dopo due anni di corso, inframmezzato da periodi di tirocinio, l’approdo al Consiglio di Stato, nella diplomazia o nelle amministrazioni centrali. Insomma, si cerca e si forma l’eccellenza per le posizioni apicali nello Stato.
Nella stessa Francia ci si misura ormai con l’esigenza di rivedere in profondità il modello di concorso pubblico, per renderlo meno nozionistico e più improntato al possesso di competenze manageriali e di leadership. Anche in Italia si dovrebbe proseguire con maggior decisione su questa strada, pena il permanere di quella forma mentis formalistico-burocratica che, se unica dimensione dell’agire pubblico, ha il fiato drammaticamente corto.
Il ruolo di una scuola governativa unica di reclutamento e formazione – specialmente alla luce dell’unificazione operata dall’articolo 21 del Dl 24 giugno 2014, n. 90 – deve essere allora quello di pescare dalle università le eccellenze, non richiedendo più per l’accesso nozioni amministrativo-contabili che occorre dare per scontate e costruendo percorsi sempre più improntati all’esperienza pratica e allo studio dei casi. Non va neppure trascurato il fattore costituito dal periodo che gli allievi trascorrono assieme, cementando legami che durano nel tempo e che crescono sulla base di una visione e di valori comuni. Auspicabili anche test selettivi psico-attitudinali che mirino a verificare quelle doti relazionali, collaborative e di equilibrio indispensabili per reggere una Pa che opera sempre più secondo sistemi di reti di public governance. Altrettanta attenzione va poi dedicata alla formazione continua della dirigenza, con un coordinamento tra Sna e mondo universitario.

VIETATO FALLIRE

L’ultima annosa questione riguarda l’acquisizione di esperienze dall’esterno. È opportuno che almeno una parte dei dirigenti abbia già svolto attività manageriale nel settore privato o che torni a svolgerle obbligatoriamente dopo un periodo nelle Pa? E come reclutarli? L’esperienza della dirigenza esterna per chiamata diretta (articolo 19, comma 6 del Dlgs 165/2001) ha purtroppo dimostrato di essere troppo spesso un canale per amici e sodali della politica e non è certamente un caso che le varie riforme l’abbiano mantenuta sostanzialmente integra. Il caso francese, da questo punto di vista, chiude il cerchio: prevedere l’accesso dal settore privato attraverso una quota del corso-concorso nazionale, magari con modalità diverse dagli altri due canali di entrata, soddisferebbe l’esigenza di positiva contaminazione e di tutela dell’imparzialità dell’azione amministrativa per i cittadini.
Attendiamo i testi ufficiali, dunque. Sono tanti e importanti gli argomenti controversi, dalla possibile precarizzazione della dirigenza al funzionamento dell’istituendo ruolo unico. La discussione in Parlamento dovrà essere ampia e partecipata e non ci si potrà nascondere dietro a “no” precostituiti. Ma se non si parte da idee chiare sul processo di individuazione e sul conseguente utilizzo delle risorse umane, la riforma fallirà nel suo punto cardine: dare al paese una dirigenza più forte, più preparata alle sfide di un mondo complesso e più coesa attorno ai valori repubblicani. Insomma, la dirigenza che l’Italia merita.

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L’aggiornamento dell’aggiornamento

  1. emanuele pillitteri

    Provate a spiegare ad un dirigente “privato” che per ogni decisione che prende deve scrivere una “determina”.
    Provate a spiegare ad un privato che per ogni decsione che prende deve si preoccuparsi dell’aspetto economico finanziario ma che è più importante essere in accordo con il comma xxxxx della L. yyyyyy approvata con wwwww e modificata con il comma della legge XXXX del MMMM tenuto conto della Circolare Ministeriale del ::::::: e così via.
    Date da leggere ad un dirigente privato le ultime disposizioni del DLgs n. 90 del 24/6/2014 e vedete se ci capisce qualcosa. Sono sicuramente convinto che la prima cosa che dirà e che siete pazzi ed è per questo che la PA non funziona.
    Tralascio cosa deve fare un dirigente pubblico per le decisioni da prende su come organizzare un servizio: discussioni con le RSU, il Sindacato(i), etc.etc.
    Un dirigente privato decide con l’occhio attento al risultato per la sua azienda. Un dirigente pubblico decide con l’occhio del rispetto dei commi, delle disposizioni, delle circolari, delle interpretazioni, etc,
    Al lato economico finanziario ci guarda poco….o niente. Tanto i soldi sono degli altri.
    Garzie

  2. Il solo modo sicuro per risollevare il Paese :

    – una analisi sociologica neutrale per identificare le cause delle emergenze frequenti e ripetute, dei buchi nell’acqua ripetuti ;

    – far commissariare la gestione pubblica, in quanto noi Italiani abbiamo dimostrato più volte che siamo incapaci di gestione pubbl. corretta.

    – creare una scuola di gestione eccellente per lo stato, creata da un Paese nordico o dalla Commiss. Europea.

    – creare l’Unità deglmi Italiani, mai realizzata…
    Ecco qualche analisi ;

    incompiuta http://www.corrierecaraibi.com/RUBRICA_SPECIALE_URealist_110221_IL-grande-evento-europeo-del-1861.htm

    Vecchia Storia http://www.corrierecaraibi.com/RUBRICA_SPECIALE_URealist_101011_Vecchia-storia-sempre-attuale.htm

    Vorremmo http://www.corrierecaraibi.com/RUBRICA_SPECIALE_URealist_100818_Vorremmo-certo-ma-potremmo.htm

    Sistema Italia http://www.corrierecaraibi.com/RUBRICA_SPECIALE_URealist_120630_Il-Sistema-Italia-a-inizio-Secolo.htm

    Metodi e ris. http://www.corrierecaraibi.com/RUBRICA_SPECIALE_URealist_101014_Metodi-e-risultati-Sociali.htm

    U. Reali

  3. bellavita

    sarebbe bene anche stabilire una permanenza non troppo lunga nelle stesse funzioni, in modo che il dirigente apporti le sue capacità e innovazioni, ma non abbia il tempo di farsi “appicciccare” da pr e tangentari, diffusissimi in Italia e troppo pervasivi

    • valerio

      i.. non è mai stato attuato il principio della separazione tra politica ed amministrazione (sancito in Cost e ripreso dal 165.01). Non è cosa da poco o mero formalismo: almeno 1/2 del totale di tutti i dipendenti pubblici è stata reclutata non perchè ve ne fosse il bisogno effettivo, ma come mero ammortizzatore sociale e spesso per ritorno elettorale (perlopiù dei singoli politici di turno).
      In questo scenario l’indipendenza è un mito (ammettiamolo) ma sopratutto il carrozzone è tale per per precise scelte istituzionali che vanno avanti immutate dalla prima metà del 900.
      Pretendere efficienza da una macchina deliberatamente creata e costruita intorno ai sopra citati principi è impossibile.
      Il problema non è quindi solo tecnico (troppe leggi, regolamenti, circolari e note contraddittorie e/o ambigue, troppe procedure farraginose; regole assurde di contabilità pubblica; pletora di soggetti coinvolti nel processo decisionale) ma anche e sopratutto di personale:
      come fa un dirigente ad assicurare efficienza (e ad essere chiamato a rispondere dei propri risultati) se:
      – non può scegliersi il proprio team (il personale è fisso);
      – l’arrivo e l’uscita di nuovo personale sono dovuti a fattori (sindacali, politici, tutele ex lege) che nulla hanno a che fare con la scelta del dirigente, che ne è soggetto passivo;
      – non vi sono reali leve gestionali da un lato per motivare le eccellenze (e ve ne sono tante) e dall’altro per sanzionare adeguatamente i pesi morti.

      f.to un dirigente.

  4. E’ un mito, questa cosa. Se lo Stato, questa democrazia rappresentativa, in mancanza di sussidiarietà, è in pratica un’oligarchia, allora anche tutti i suoi dirigenti istituzionali non potranno che essere stati selezionati da quell’oligarchia, e rispondere disciplinanatamente alle sue direttive.

  5. Roderick

    Nota di trasparenza, che l’autore avrebbe dovuto premettere: Alfredo Ferrante è Presidente dell’Associazione degli ex allievi della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. E che cosa serve alla pubblica amministrazione di domani? la SSPA, ovvio. Consolidando così il sistema romanocentrico che oggi governa il Paese, a prescindere dalle esperienze specifiche maturate dai molti funzionari di valore in giro per l’Italia.

  6. Andrea Chiari

    Lasciamo stare la questione della dirigenza perchè siamo ancora nella teoria e nel cicaleccio da bar (o più nobilmente nelle lettere di intenti). Il problema è che la “riforma” della pubblica amministrazione in sostanza riguarda la riduzione dei permessi sindacali e la possibilità (con cautela) di trasferire gli impiegati ad altro ente. Per carità, cose giuste ma che mi pongono un problema personale. Io mi ritengo riformista ma se le riforme sono questa camomilla devo trovarmi un’altra definizione. Tornerò, come in gioventù, a definirmi rivoluzionario. Ma ho paura che che con Renzi e la Madia anche questo termine prima o poi sarà usato, ma con riguardo tutto italico. Magari si interverrà sui buoni pasto, sulle macchinette del caffè, sugli orologi marcatempo, sui permessi per i matrimoni.,

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