Nel suo ormai celebre ultimo libro Piketty sostiene che il rapporto tra capitale e reddito nazionale si avvicina ai livelli del XIX secolo. Ma la sua affermazione si basa solo sull’aumento dei prezzi degli immobili. Mentre sono gli affitti a contare per le dinamiche della disuguaglianza.
IL CAPITALE NEL XXI SECOLO
L’impressionante successo di Capital in the Twenty-First Century, il libro di Thomas Piketty, dimostra che la disuguaglianza è una preoccupazione sentita in molti paesi. (1) Una delle conclusioni più sorprendenti delle settecento pagine del volume è che “Il capitale è tornato” e Piketty basa questa sua affermazione sul fatto che il rapporto del capitale sul reddito sta tornando ai livelli della fine del XIX secolo. Pur riconoscendo il notevole interesse del libro e lo sforzo che rappresenta, riteniamo tuttavia che si tratti di una conclusione sbagliata dovuta al modo particolare in cui il capitale viene calcolato nelle contabilità nazionali.
L’affermazione di Piketty si basa in realtà sull’aumento di una sola delle componenti del capitale, il valore degli immobili. Se escludiamo il capitale immobiliare, le altre forme di capitale non mostrano la stessa tendenza nel passato recente. Anzi, all’inizio del XXI secolo, le altre forme di capitale sono, in rapporto al reddito, a livelli molto più bassi rispetto all’inizio del secolo scorso.
Questo comporta due domande. In primo luogo, perché è aumentato il valore del capitale immobiliare? In secondo luogo, dovrebbe essere incluso nel capitale complessivo per valutare le dinamiche della disuguaglianza?
La risposta alla prima domanda è che la tendenza è dovuta al rialzo dei prezzi delle abitazioni in rapporto al reddito nella maggior parte dei paesi. La risposta alla seconda domanda è sì, l’alloggio non è solo patrimonio, ma anche capitale, e contribuisce all’accumulazione di ricchezza. Tuttavia, per essere in linea con il modello di accumulazione del capitale di Piketty, la misurazione del capitale immobiliare deve essere basata sui rendimenti effettivi di quest’ultimo, ovvero gli affitti.
Perché? Perché per comprendere le dinamiche della disuguaglianza vanno presi in considerazione i prezzi di affitto, e non quelli di acquisto. Gli affitti rappresentano sia la rendita effettiva del capitale immobiliare per i proprietari sia i costi per l’abitazione risparmiati da chi vive in una casa di proprietà.
Cerchiamo di comprendere meglio questo punto attraverso una semplice domanda. Che disuguaglianza ci sarebbe se ogni famiglia possedesse un dipinto e lo tenesse per tutta la sua vita? Le famiglie più ricche potrebbero possedere un costoso Manet o un Kandinsky, i più poveri il quadro di un artista locale.
Se i prezzi delle opere d’arte aumentassero in modo uniforme, questo contribuirebbe a una crescita della disuguaglianza, nel senso di un accumulo esponenziale e divergente del capitale? La risposta è chiaramente no. Nel caso in cui le opere potessero essere affittate e generare una rendita per i proprietari, per ottenere che il reddito da capitale aumenti più che il reddito totale, le rendite generate (proporzionali al valore delle opere) dovrebbero aumentare più rapidamente dei redditi da lavoro.
E ciò non è avvenuto nel caso del costo degli affitti delle abitazioni rispetto al reddito, nonostante la percezione che gli affitti nelle grandi città siano troppo alti.
UN RAPPORTO STABILE
Non sono dunque tornati i ‘Thénardier’ che sfruttano i Miserabili come nel romanzo di Victor Hugo: in molti paesi la quota dei canoni di locazione nei redditi nazionali è rimasta stabile. In realtà, al di là dei prezzi, la tendenza più evidente del mercato immobiliare nel periodo post-bellico è stato l’accesso alla proprietà di una grande e crescente classe media, che ha beneficiato degli aumenti di prezzo.
La recente divergenza nei dati tra affitti e prezzi d’acquisto porta quindi alla conclusione sbagliata. Quando misuriamo correttamente il capitale immobiliare – utilizzando una metodologia che corregge la divergenza tra affitti e prezzi, e in un modo molto vicino alla risposta alla famosa controversia fra le due Cambridge sulla misurazione del capitale – troviamo che il rapporto fra capitale e reddito (compreso il capitale immobiliare) è in realtà stabile o solo lievemente superiore nei paesi analizzati. (2)
La figura 1 mostra i casi di Francia e Stati Uniti, ma lo stesso vale per il Regno Unito e il Canada, mentre fa eccezione la Germania, dove il rapporto è aumentato. Queste conclusioni sono esattamente l’opposto di quelle di Thomas Piketty.
Figura 1 – Misurazione del capitale in rapporto al Pil
Facendo il ragionamento contrario, possiamo chiederci se un calo generale dei prezzi delle abitazioni (come è avvenuto in Spagna e Irlanda) sarebbe davvero una buona notizia nel tentativo di ridurre la disuguaglianza. Ancora una volta, la risposta chiaramente è no. Questo dimostra la fragilità di una linea di ragionamento basata esclusivamente sull’aumento del valore del capitale immobiliare dovuto al rialzo dei prezzi d’acquisto – soprattutto quando tale prezzo si discosta da quello di affitto, come è avvenuto in Francia e in altri paesi nel corso degli ultimi quindici anni.
Detto questo, è chiaro che l’inflazione dei prezzi delle abitazioni ha effetti molteplici. Benché sia un vantaggio per quella parte della classe media proprietaria degli immobili, è nello stesso tempo un potenziale danno per la generazione più giovane, che erediterà di più dai genitori, ma che ha anche bisogno di affittare un’abitazione per un tempo più lungo. Il che forse non è un male, se si crede, come noi crediamo, che le politiche europee volte a promuovere la proprietà siano sbagliate, perché portano a una minore mobilità geografica e a un’eccessiva assunzione di rischi nell’accumulazione di ricchezza.
In conclusione, non crediamo che si possa affermare che “il capitale è tornato” semplicemente perché gli aumenti dei prezzi delle case hanno fatto crescere artificialmente il patrimonio immobiliare rispetto al vero prezzo di affitto. La logica di questa tesi richiede una differente misurazione del capitale, mentre quella che vi proponiamo mostra una relativa stabilità del rapporto fra capitale e reddito. Abbiamo semplicemente bisogno di più lavoro e di maggiore approfondimento per comprendere il ruolo particolare del capitale immobiliare nella disuguaglianza, qualcosa che è assente dagli studi recenti sull’argomento.
* Il testo in inglese è disponibile su www.voxeu.org. Traduzione a cura di Pietro Panizza
(1)Piketty, Thomas (2014), Capital in the Twenty-First Century, Harvard University Press.
(2) Bonnet, Odran, Pierre-Henri Bono, Guillaume Chapelle, and Étienne Wasmer (2014), “Does housing capital contribute to inequality? A comment on Thomas Piketty’s Capital in the 21st Century”, Sciences Po Economics Discussion Paper 2014-07.
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bellavita
il valore degli immobili è aumentato perchè in 100 anni siamo passati da 2 a 7 miliardi di abitanti…
antonio gasperi
L’analisi degli autori appare logicamente ineccepibile, tuttavia “il capitale è ritornato” non solo nella sua componente immobiliare ma soprattutto – in linea con il ragionamento di Pilketty – in termini di capitale finanziario. Allora, chiedo, quale peso avuto sui prezzi degli immobili la bolla speculativa che ha apparentemente gonfiato la ricchezza della ex classe media? ma allora, dal momento che la bolla speculativa è stata causata principalmente dagli acquisti di case a debito, non sarebbe utile – per misurare il valore del capitale immobiliare – tener conto anche dei tassi reali sui mutui? quindi – infine – meglio la politica americana di finanziamento spregiudicato a chi ha redditi incerti, oppure quella europea di incentivazione all’acquisto della prima casa? saluti
Pier Luigi Tossani
Pongo l’attenzione sul fatto che comunque, a parte il prezzo dell’affitto, anche il prezzo dell’immobile è determinante. Per il fatto che, in generale, il diritto di proprietà attribuisce quella libertà di cui l’affittuario non gode. Ma, ancor più determinante, ove si ragioni di capitale, vi è il fatto della compartecipazione del lavoratore al capitale e alla gestione d’impresa, in forza del “capitale umano” da lui posseduto, vedi qui: http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/. Il che ci porta al discrimine primario del fatto che tale concezione non riesce a esser compresa nell’orizzonte materialistico… attenzione… questo è un fatto assolutamente fondante, col quale ci andremo a confrontare sempre di più, man mano che la crisi avanza. se la vogliamo risolvere…
IC
La comparazione della ricchezza delle famiglie fra diversi paesi nasconde dei trabocchetti. I problemi non sorgono per la ricchezza finanziaria, ma per quella immobiliare. !00.000 EUro di BTP italiani hanno il medesimo valore se sono parte del patrimonio di una famiglia italiana o di una tedesca. Invece un appartamento a Roma posseduto da un funzionario ministeriale italiano vale circa il doppio di un appartamento della medesima dimensione e del medesimo standard posseduto a Berlino da un funzionaio ministeriale tedesco. Possiamo tranquillamente affermare che la famiglia di Roma sia molto più ricca di quella berlinese?