L’agosto non ci ha portato la tanto agognata ripresa. Per milioni di italiani non è arrivata neanche l’estate e speriamo vivamente che l’abbinata crescita-estate non venga più evocata (è anche sbagliata perché avremmo bisogno di ben più che una sola stagione di crescita). In compenso sono arrivati i nuovi vertici della Federcalcio, uno sport che interessa tre italiani su quattro e che in un autunno non facile può essere di qualche conforto in un paese depresso. Si sperava in un profondo rinnovamento. Non tanto per la desolante apparizione ai mondiali in Brasile, ma perché l’interminabile leadership di Giancarlo Abete ha responsabilità rilevanti in un declino non meno profondo di quello del paese nel suo complesso. Le cifre parlano chiaro. Il pubblico sugli spalti degli stadi cala più del Pil, mediamente a un ritmo del 5 per cento ogni anno, le squadre professionistiche hanno visto nel giro di 6 anni raddoppiare il proprio debito, aumentato ancora di più in rapporto al patrimonio dopo che le squadre si sono private dei loro pezzi più pregiati (il patrimonio dei nostri club consiste quasi unicamente nel parco giocatori). Si è allargato lo spread fra i ricavi dei nostri club, concentrati quasi unicamente nei diritti Tv, e quelli delle squadre inglesi, spagnole e tedesche. Ci voleva una svolta, secca. Invece il ricambio dei vertici, in piena tradizione italica è avvenuto all’insegna della più sfacciata continuità col passato – cambiando tutto per non cambiare niente – e per giunta causando un danno d’immagine per il paese.
La Uefa ha aperto una procedura per “presunti commenti razzisti” contro il nuovo presidente della Federcalcio, Giorgio Tavecchio, secondo cui “chi gioca qui fino a ieri mangiava le banane e adesso gioca titolare”. Oltre a dimostrare l’inadeguatezza del personaggio, questa affermazione riportata dai giornali di tutto il mondo svela una totale incomprensione dei problemi dello sport più popolare in Italia. Il nostro calcio non è troppo aperto, ma è troppo chiuso. Non è certo perché arrivano da noi giocatori come Paul Pogba che il calcio italiano e i vivai soffrono, ma è vero esattamente il contrario. Abbiamo troppo pochi giovani campioni stranieri che, col loro esempio, farebbero enormemente crescere il settore e darebbero un esempio da imitare a milioni di aspiranti calciatori, oltre che ai loro giovani compagni di squadra. Il calcio italiano è troppo chiuso ai talenti e ai capitali esteri che, dato un pubblico potenziale senza eguali in Europa, potrebbero sulla carta essere molto interessati a investire sui nostri blasoni. Non lo fanno perché in Italia i cosiddetti «regolatori», vale a dire gli organismi, autorità e individui che dovrebbero vigilare sul rispetto delle regole, vengono sistematicamente catturati dai presidenti delle squadre e da coloro che dovrebbero essere da loro regolati. Ci sono troppe squadre professionistiche che dovrebbero portare i libri in tribunale e cui viene concesso di sopravvivere e violazioni sistematiche delle norme sportive oltre che gravi forme di corruzione. E’ un fenomeno non soltanto italiano, ma che da noi presenta caratteri di sistematicità e quasi scientificità che altrove non è dato trovare e che finiscono per ridurre le sanzioni sociali contro i comportamenti disonesti anche in altri campi. I giovani sognano e si identificano nei campioni, e questo dà al mondo del calcio una grande responsabilità, perché la sanzione sociale contro chi viola le regole si plasma anche (soprattutto nella mente dei giovani) sulla fermezza con cui si risponde agli illeciti sportivi. In un paese in cui non c’è ancora abbastanza sanzione sociale contro chi viola le regole e occupa indebitamente posizioni di potere, questo è un dato di cui tenere conto quando si cambia la governance del calcio. Eppure il nuovo Ct della nazionale, recentemente deferito per omessa denuncia per un caso di scommessopoli, ha voluto come primo atto eliminare il codice etico, invece di preoccuparsi, proprio alla luce del proprio passato, di farlo maggiormente rispettare. Un’altra cosa che chiude e impoverisce il nostro calcio e lo chiude all’estero è il potere delle tifoserie organizzate. Si è scelto di dare spazio in Federcalcio proprio ai presidenti che subiscono il loro ricatto, permettendo sistematicamente di portare petardi e oggetti contundenti sugli spalti. Bisognerebbe invece incentivare le società a ribellarsi e prendere iniziative autonomamente per garantire la sicurezza negli stadi senza gravare solo sulle forze dell’ordine, ingaggiando oltre agli steward anche degli addetti alla sicurezza pagati dalla società. Il primo atto del neo presidente della Federcalcio è stato invece un regalo agli ultrà con la cancellazione delle norme sulla discriminazione territoriale. Per quanto quelle norme fossero discutibili e di difficile attuazione, se non sostituite contestualmente con norme più stringenti contro la violenza fisica e verbale negli stadi e a favore delle società che identificano e denunciano alla polizia i teppisti, offrono un segnale di lassismo preoccupante e contribuiscono a svuotare gli stadi.
Tavecchio nel suo breve inizio è riuscito nel miracolo di far sin qui peggio della gestione Abete. Bene che ne tragga le conseguenze al più presto. Al suo posto non possiamo permetterci un altro presidente fantoccio. I presidenti che oggi governano il nostro calcio usano le squadre per trarne benefici strettamente privati, slegati dallo sport. Ci vuole una maggiore rappresentanza di milioni di tifosi non organizzati, magari attraverso il coinvolgimento, come in Germania, dei Comuni nella gestione delle squadre di calcio.
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Roberto
Concordo con l’articolo del Prof. Boeri, sottolineo che sono impressionanti le somiglianze tra il declino del calcio italiano e quello della sua economia.
In nessun altro paese sviluppato un personaggio come Tavecchio sarebbe potuto diventare presidente di qualsiasi federazione, in Italia si, questo è l’emblema della totale mancanza di cultura sportiva in Italia.
Purtroppo sperare in una cacciata di Tavecchio è impossibile, visto che i dirigenti sia del Coni che delle squadre hanno fatto ben poco per non eleggerlo, anzi addirittura lo hanno agevolato per fini strettamente personali.
Ormai il calcio italiano è destinato ad un pesante declino e probabilmente è giusto che sia così visto che dal 2006, anno di calciopoli, nulla si è fatto per riformarlo.
Naturalmente non si può pensare di fare delle riforme senza prima cambiare la propria cultura e questo è colpa della maggior parte delle persone che non si indignano più, pur dopo tutti gli scandali che sono accaduti.
Purtroppo in un paese senza memoria e senza morale sperare in un cambiamento si sta rivelando sempre di più un’utopia.
agide
Non solo non se ne andrà ma Tavecchio ha dimostrato -con la sua elezione- da che parte stanno i grandi club, le squadre (ed i fiumi di denaro) che contano. Alla faccia del razzismo e delle dichiarazioni scandalose e ciò che preoccupa è che migliaia e migliaia di cosidetti tifosi -ma li chiamerei in modo diverso!- non pronunciano una parola di critica, nessuna presa di posizione che dia l’impressione che c’è una parte sana nel mondo del calcio e che deve essere ascoltata. Così come è assurdo che le Istituzioni e chi per il Governo si occupa dello sport non si pronunci. Ma tant’è: siamo in Italia..e tutto va bene.
giuseppe ferrara
Questa Federcalcio è stata capace di debellare il male del calcio italiano che si chiamava Nocerina. Probabilmente ha letto tutto e il contrario di tutto sulla vicenda, peccato che a tutt’oggi non è stato trovato uno straccio di prova sulle “presunte” minacce, addirittura di morte, ai calciatori. Ma che importa hanno dato una lezione esemplare: radiazione dal campionato, retrocessione di ben due categorie (caso unico al mondo), e decisione solo di alcuni giorni fa su quale campionato assegnarli (in tal modo è stato impedito ogni tentativo di rinascita favorendo di fatto chi inscenò la farsa dei falsi infortuni). Ma questo non importa a nessuno…..104 anni di storia calcistica cancellati e prova di forza, naturalmente con i deboli. Che vergogna se consideriamo il buonismo del calcioscommesse con squadre “graziate” dopo essersi venduto qualcosa come dieci partite. E qui veniamo al dunque: il vero male sono proprio i soldi delle scommesse (lecite e ancor più illecite)…….vuoi vedere che la Nocerina andava punita per aver osato sfidare (facendo saltare il banco) proprio questo mondo di corruzione?
Duccio Lopresto
Caro Tito, concordo pienamente con l’analisi. Purtroppo penso che il problema sia ben piu’ profondo, ormai pienamente radicato nella nostra societa’. Sembra impossibile un cambiamento. In un paese civile un personaggio come Tavecchio non sarebbe stato nemmeno candidato, figuriamoci dopo quelle aberranti dichiarazioni. E’ difficile trovare una soluzione ad un problema culturale e sociale, prima che politico, cosi’ complesso. Il dilemma e’: chi puo’ cambiare il sistema se il sistema e’ in mano a personaggi che pensano al loro interesse personale? Albertini avrebbe rappresentato una boccata di aria fresca in questo clima torrido. Calciopoli non ci ha insegnato niente evidentemente.
Eccettodoveindicatoaltrimenti
Non sono d’accordo sulla sicurezza privata e i rischi che ognuno che si senta importante si faccia il suo esercitino di portaborse disposti anche ad aggredire chi si avvicina.
antonio gasperi
Premetto che non seguo il calcio da ormai tre decenni, ma l’analisi lucida e distaccata dell’autore mi ha fatto venire in mente – chissà perchè – il tramonto della Domenica sportiva propiziato da Sky e Mediaset Premium. Infatti – come dice Aldo Grasso – quando qualcosa si trova al centro della scena mediatica anche il brutto si tramuta il bello” e così è stato per decenni per la DS e ora non è più. Ecco, aldilà dei facili giochi di parole, Tavecchio evoca proprio un mondo passato: detto fra noi, esattamente come qualche politico che teme il rischio di conversione all’Islam dei nostri giovani causato dai migranti africani.