La prima tranche del programma Tltro ha avuto risultati inferiori alle attese. Per la Bce è fondamentale riappropriarsi del controllo sul proprio bilancio, tramite misure che siano meno guidate dalla domanda del settore bancario, per garantire l’efficacia della lotta alla bassa inflazione.
Non è che l’inizio dell’autunno, ma già parecchie nuvole grigie si addensano sopra Francoforte. La Bce ha assegnato nei giorni scorsi la prima tranche di liquidità tramite il suo nuovo programma di Tltro (Targeted Longer Term Refinancing Operations). Il programma è stato introdotto a giugno e prevede due aste iniziali di liquidità (settembre e dicembre 2014) in cui le banche potranno prendere a prestito fino a circa 400 miliardi di euro, più una serie di operazioni successive che hanno lo scopo di fare leva e amplificare l’effetto iniziale.
Le attese riguardo alla partecipazione e alla domanda di liquidità da parte degli istituti di credito erano alte. Un sondaggio condotto da Bloomberg la settimana scorsa mostrava che, in media, gli analisti finanziari interrogati si attendevano richiesta per circa 174 miliardi di liquidità a settembre e 167 miliardi nella seconda operazione programmata per dicembre. Ma ex post l’ammontare effettivamente richiesto è stato di appena 82,6 miliardi, cioè meno della metà di ciò che in media ci si attendeva.
I risultati disaggregati a livello dei singoli paesi dell’area euro non sono ancora completamente noti, ma varie notizie riportate dai giornali suggeriscono che circa il 46 per cento del totale sia andato a banche italiane e spagnole (figura 1).
Secondo Reuters, dieci banche italiane avrebbero preso a prestito dalla Bce un totale di 23 miliardi di euro. Ciò equivale al 28 per cento degli 82,6 miliardi allocati in totale, e a circa il 30 per cento della quota a cui le banche italiane hanno diritto per le due operazioni di settembre e dicembre (75 miliardi).
El Mundo riporta che cinque banche spagnole avrebbero preso a prestito in totale 15 miliardi. La cifra rappresenterebbe il 18 per cento del totale e circa il 28 per cento della quota spagnola. Secondo Bloomberg le banche olandesi avrebbero partecipato, ma senza rendere pubblico per quale ammontare, mentre le tre maggiori banche austriache avrebbero deciso di non partecipare nemmeno.
LE RAGIONI DELLE BANCHE
Alla luce di questi risultati, alcune domande sorgono spontanee. Primo, perché la domanda di liquidità è stata così ridotta, rispetto alle attese? È abbastanza ovvio che non si tratti di una questione di prezzo. Il tasso d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento non è mai stato così basso. In realtà, lo stesso Mario Draghi ha sottolineato in occasione della conferenza stampa di inizio settembre che il taglio del tasso d’interesse era anche inteso a mandare un segnale alle banche: non avrebbero dovuto esitare a partecipare al programma Tltro sulla base di aspettative di tassi possibilmente più bassi in futuro, perché questi non ci sarebbero stati.
Potrebbe essere, come molti suggeriscono, che prima di prendere a prestito più liquidità dalla Bce, le banche preferiscano attendere il completamento dell’esercizio di valutazione dei bilanci bancari che la Banca centrale conduce in questi mesi. Se fosse l’interpretazione corretta, la domanda dovrebbe aumentare nell’operazione di dicembre. L’effetto “stigma” era forte nelle fasi più acute della crisi, quando esisteva effettivamente un’emergenza di liquidità in alcune zone del sistema bancario europeo, e quindi ammettere di avere bisogno della liquidità Bce aveva un effetto segnalazione negativo. Ma l’emergenza liquidità è ormai solo un ricordo. E l’esercizio di supervisione della Bce si basa su dati di fine 2013, quindi non è ovvio come la liquidità presa a prestito ora potrebbe influire sui risultati.
La vera ragione potrebbe essere più scomoda per la Bce. Se è vero, infatti, che i tassi non sono mai stati più bassi, è anche vero che le banche hanno potuto prendere a prestito a un tasso molto basso per diversi anni, ormai. Ma piuttosto che usare la liquidità accumulata, la stanno restituendo al mittente.
La figura 2 mostra l’andamento della “liquidità in eccesso” presente nel sistema bancario dell’Eurozona, insieme al fattore che sembra esserne il driver più significativo: le restituzioni anticipate (cioè prima della scadenza) dei fondi presi a prestito nelle precedenti iniezioni di liquidità Bce. Le banche hanno cominciato a restituire anticipatamente questa liquidità a febbraio 2013 e non hanno mai smesso. Anzi, tra giugno – quando Mario Draghi ha annunciato le nuove Tltro – e oggi, il fenomeno è accelerato.
In altre parole, non c’è scarsità di liquidità a poco prezzo, nell’area euro. Ma ci sono altri problemi. Nei paesi del “Sud” – dove le sofferenze bancarie sono alte – le banche devono scontare tassi attesi di default sui prestiti più elevati (e il costo dei relativi accantonamenti). Inoltre, i prestiti alle imprese medio-piccole hanno un elevato coefficiente di rischio e, di conseguenza, un costo elevato in termini di capitale. Tutto ciò implica che prendere a prestito a tasso quasi zero e prestare a tasso più alto al settore privato per una banca non è necessariamente conveniente.
Questi fattori mettono in discussione la capacità della Bce di rispettare gli impegni presi a inizio settembre nella lotta alla bassa inflazione nell’area euro. Mario Draghi ha esplicitamente detto che l’obiettivo delle nuove misure è di riportare il bilancio della Bce alla taglia che aveva verso metà 2012, ai massimi di 3 trilioni di euro. Ma rispetto a quel picco, il bilancio della Bce si è ridotto già del 35: riportarlo a quei livelli richiederebbe un’iniezione di circa 1 trilione di euro.
Ma è realistico? La figura 3 mostra che i 400 miliardi disponibili per le prime due operazioni di Tltro sono appena sufficienti per neutralizzare il rimborso dei fondi Bce che le banche devono ancora restituire. Ciò significa che l’effetto netto di queste due operazioni iniziali sul bilancio della Bce sarebbe di appena 28 miliardi. La partecipazione delle banche alle operazioni successive – che sarà possibile solo se le banche rispetteranno dei criteri specifici riguardo all’uso dei fondi – sarà quindi cruciale perché il programma Tltro possa avere un minimo impatto.
Ci sono diversi fattori in gioco che potrebbero spiegare la scarsa partecipazione all’operazione della scorsa settimana. Oltre a quelli già citati, c’è il fatto che la Bce stessa, annunciando il prossimo programma di acquisto di Abs, potrebbe aver modificato la funzione di reazione delle banche. Sapendo che la Bce comincerà a breve a comprare Abs e sapendo che – almeno nell’immediato – probabilmente si limiterà alla stessa tipologia di strumenti che possono essere usati come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento, le banche potrebbero voler aspettare di vendere quegli Abs alla Bce piuttosto che usarli ora.
Certamente sarà necessario attendere dicembre per trarre delle conclusioni. Ma una cosa è già chiara adesso. I risultati mostrano ancora una volta il rischio della politica monetaria non convenzionale à la Bce: è un tipo di operazione su cui la Banca centrale fondamentalmente non ha controllo. Riappropriarsi del controllo sul proprio bilancio, tramite misure che siano meno guidate dalla domanda del settore bancario, è fondamentale, a questo punto, per garantire l’efficacia della lotta alla bassa inflazione. Il programma Tltro ora come ora non sembra sufficiente e le speranze dovrebbero concentrarsi piuttosto sul programma di credit easing, che però è limitato dalla dimensione del mercato.
Per la Bce la prospettiva di una (difficile) discussione seria sulle scelte alternative diventa quindi sempre più pressante.
Una versione in inglese dell’articolo è presente su www.bruegel.org.
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Maurizio Cocucci
Ottima rappresentazione della situazione. Personalmente credo che il motivo sia prevalentemente dovuto alla carenza di domanda di investimenti. Le banche non hanno, o meglio non avrebbero, difficoltà a disporre di liquidità (e a buon prezzo) a fronte di richieste di investimento. Ma chi investe oggi? Questo è il motivo che spinge Mario Draghi a ribadire un giorno sì e l’altro pure il mantra delle riforme, perché solo riducendo la pressione fiscale e rilanciando i consumi le imprese torneranno ad investire e ad assumere consentendo così anche ai consumatori a loro volta di investire, a quel punto le banche potranno richiedere la liquidità necessaria per far fronte alla richiesta contando con ogni probabilità su un corrispondente calo delle sofferenze, sofferenze che qui hanno raggiunto livelli davvero elevati.
Fabrizio D.
L’articolo rappresenta la situazione in modo molto lucido. Sono daccordo solo in parte sulle conclusioni. Sono daccordo che la BCE dovrebbe “sciogliere gli indugi” e iniziare velocemente un QE analogo a quelli operati da Fed, BoE e BoJ. Tuttavia, ritengo che sia ancora presto per dire che il programma TLTRO non sia efficacie. A mio avviso, i risvolti più interessanti di questa manovra si avranno nel 2015. Le aste di settembre e dicembre servono solo a rifinanziare le precedenti LTRO i e II. Ma il meccanismo per le successive aste trimestrali che partiranno nel 2015 è studiato per spigere le banche che hanno contratto i propri impieghi a prendere per tornare a espanderli. Non sottovaluterei queste tecnicalities e rimanderei ad allora una valutazione complessiva.
Autore
L’articolo descrive aspetti di grande rilievo nella dinamica BCE – Banche con estrema chiarezza. Dal mio punto di vista gli Istituti del nord Europa di fatto appaiono già in grado di finanziarsi a tassi molto bassi e senza vincoli. Per quelli che operano invece nei paese periferici, si apre un altro scenario: oltre alla liquidity trap che subisce la BCE, si può sicuramente parlare di cost of credit trap: gli Istituti, infatti, subiscono moral suasion per erogare a tassi contenuti, ma il cost of credit è tale per cui ciò porterebbe comunque a bruciare valore in termini di EVA.
Giuliano
La Bce è in continuo ritardo sulle mosse da farsi, fatica a pensarle ed ancor più a renderle operative. Il risultato è che l’economia reale dei paesi in difficoltà ha da tempo passato il punto di non ritorno, bruciando nel contempo intere classi politiche e inducendo in milioni di europei l’idea che seguendo i dettami della Commissione Europea si andrà verso un disastro sociale e la perdita del welfare.
Sull’aspetto meramente tecnico è ovvio che la promessa di acquisto degli Abs ha creato molte aspettative frenando così le aste Tltro. Poi c’è un aspetto politico, quello di un fine mandatao prematuro in Bce, dove Draghi somiglia sempre più ad un anatra azzoppata.
Piero
Il fallimento degli Tltros.
Che le banche non avessero aderito alla richiesta della Bce, era prevedibile. Il problema del credito, in questo particolare momento di crisi economica che ha ridotto l’affidabilità delle pmi, stante la mancata fiducia che le banche hanno nelle imprese, risulta naturale che quest’ultime preferiscano tenere in portafoglio i titoli governativi che con la riduzione degli spreed sono ritornati “affidabili” come prima della crisi. Le banche hanno scelto di mantenere un investimento sicuro gia’ in portafoglio invece di un impiego, da loro ritenuto ad alto rischio, come quello del prestito alle imprese. Il fallimento dell’operazione Tltros non vuol dire che le imprese non chiedano il credito, ma significa che le banche non sono disposte a darlo e quindi non ne chiedono la provvista.
Cosa fare? La Bce deve liberare le banche dai titoli di stato, cosicché le banche avranno la liquidità nel loro bilancio e considerato che devono pagare gli interessi ai depositi, si dovranno per forza accollare il rischio del credito alle imprese. Lo stato, di converso dovrà ripristinare il clima di fiducia, con l’intervento del fondo di garanzia che a mio avviso come affermato in un altro commento farà ripartire la crescita della “moneta bancaria”.
Di più, il mercato ha bisogno di liquidità, quindi gli interventi di politica monetaria espansivi non devono essere sterilizzati. Invece gli stessi Tltros, se avessero avuto successo, sarebbero stati sterilizzati (in questa direzione, la “s” finale esprime chiaramente la volontà della Bce, ossia sterilizzarne gli effetti sulla liquidità).
Gli Abs, tanto reclamizzati, faranno in Italia la stessa fine degli Tltros, già Draghi ha detto che vuole titoli semplici e sicuri, quindi dimentichiamoci che la Bce faccia la Bad Bank in Italia.
L’unica chance, anzi il vero bazooka per la Bce e’ l’adozione della politica che fino ad oggi ha adottato la Fed (QE), considerato che in Europa abbiamo più stati autonomi, l’acquisto dei titoli dovrà essere fatto proquota alle dimensione del singolo stato (adottando o la percentuale della Bce o il pil).
Non è vero che siamo arrivati alla “trappola della liquidità”. Coloro che oggi non chiedono la liquidità sono le banche non le imprese e le famiglie. L’aumento delle sofferenze bancarie dei privati e delle imprese e l’aumento delle crisi di quest’ultime, sono la prova che il credito viene richiesto e non viene erogato.
Pierino Postacchini
Dottore Commercialista in Ancona
Piero
L’unico intervento fatto da Draghi per aumentare la liquidità e’ stato solo la cessazione della sterilizzazione dei residui Smp, parliamo solo di 170 mld di euro, così non si va da nessuna parte, per aumentare la liquidità l’unico strumento che oggi ha la Bce, se ” veramente ” vuole ciò, sono gli acquisti di titoli governativi sul mercato secondario (QE), per almeno 4000 mld da effettuare proquota per 800 mld annui, si deve partire dalle scadenze più lunghe, avremo l’inflazione prox al 2% e avrà o una forte svalutazione dell’euro sul dollaro, forse si tornerà alla parità.
Chi si oppone? la Merkel, teme che vengano espropriati i risparmiatori tedeschi, a questo punto l’unica via di uscita per la Merkel e’ l’uscita della Germania dall’euro.
Maurizio Cocucci
Non solo la cancelliera Merkel, anch’io mi oppongo fermamente (assieme a tanti altri italiani del resto) ad una misura di politica monetaria che aumenti i prezzi senza che derivino da una espansione economica. L’inflazione deve essere una misura dell’attività economica: in crescita più o meno sostenuta (temporaneamente anche oltre il livello del 2%) se l’economia è in fase positiva e di bassa crescita o in deflazione se l’economia è in recessione. Bisogna puntare sulla domanda, non sui prezzi. Lei è ossessionato dalla cancelliera Merkel ma le sente le urla degli imprenditori italiani? A me non risulta che parlino di inflazione, ma di altro: pressione fiscale, burocrazia, contrattazione e per i più piccoli di difficoltà di accesso al credito per il livello raggiunto dalle sofferenze bancarie. Purtroppo sono inascoltati e si continua a puntare su politiche monetarie che ben poco possono fare. Con un deprezzamento dell’euro sulle altre valute posso anche favorire le esportazioni ma non siamo come la Germania il cui Pil è rappresentato per circa metà da queste, da noi contano per circa un terzo e occorre rammentare che siamo legati all’importazione di materie prime che vanificano in gran parte i vantaggi sull’export derivanti dal cambio. Insomma non si può pensare ad un effetto leva da un settore che conta appunto un terzo del volume d’affari, serve rilanciare i restanti due terzi rappresentati dalla domanda interna attraverso una riduzione delle tasse derivante da minore spesa.
Piero
Proprio perché sento le urla dei nostri piccoli imprenditori che sono usciti dal mercato e che non sono più affidabili per il sistema bancario. Sono proprio loro coloro che mi spingono verso queste prese di posizione, al contrario le lobby finanziarie, alle quali purtroppo io non partecipo, sono indifferenti alle sorti delle piccole e medie imprese italiane che fino a ieri erano la struttura del nostro tessuto economico.
Alessandro
Proviamo ad immaginare se le piccole imprese italiane avessero a disposizione quei tassi….non ci sarebbero investimenti? La verità è che da un bel pò di tempo…l’economia reale non esiste…preferiamo quella virtuale…ed in questo momento mancano bond che rendano…questa è la verità! Forse era meglio quando era peggio con il Credito Commerciale, il Credito Agricolo ed Industriale carrozzoni statali che facevano però almeno fluire il denaro verso l’economia reale!
Piero
NON VI SONO MOTIVI PER RINVIARE GLI ACQUISTI DI TITOLI STATALI (QE) DA PARTE DELLA BCE.
Considerati tutti i fallimenti delle politiche monetarie fino ad oggi adottate, dagli Ltros fino ad oggi, Draghi sta prendendo in considerazione “timidamente”, l’acquisto dei titoli statali, anche qui occorre fare attenzione, per non sprecare l’ultima chance, si devono fare le seguenti precisazioni e si devono adottare le seguenti misure.
il fiscal compact, obbliga gli stati a politiche di bilancio virtuose che non permettono il rinvio delle riforme, rivolte ad avere stati più snelli è più competitivi;
con il fiscal compact non si rischia “l’azzardo morale” per i singoli stati, naturale che, chi si nasconde dietro questa minaccia, per evitare future manovre monetarie espansive non è in buona fede;
l’attuale quadro economico e’ deflattivo, la Bce ha notevoli margini per fare crescere la base monetaria, anzi dall’esame del bilancio della Bce, nell’ultimo anno vi è stata una contrazione “ingiustificata” della stessa;
il cambio dell’euro sul dollaro è ancora sopravalutato del 20%, deve tornare ai livelli dell’adozione della moneta unica, non vi sono ragioni per il suo livello attuale se nel contempo non è cresciuta l’economia europea;
gli stati non possono essere sempre sotto esame per il loro debito, nel momento che hanno aderito al fiscal compact. La Bce deve acquistare sul mercato secondario i titoli statali, al fine di evitare la speculazione, si devono acquistare i titoli con le scadenze piu lunghe, e devono essere tenuti fino alla scadenza;
la diminuzione degli spreed attuali è stata raggiunta, solo per merito delle politiche rigorose di bilancio attuate dagli stati e non per merito dell’annuncio di Draghi del 2012;
l’acquisto dei titoli statali dovrà essere fatto proquota fra tutti gli stati euro, la proporzione potrà essere fatta o in base alla % di partecipazione della Bce o in base ai rispettivi Pil;
i titoli dovranno essere tenuti fino alla scadenza, non dovranno essere sterilizzati gli effetti sulla liquidità;
il programma di acquisto dovrà essere fatto in piu anni, per un ammontare complessivo pari a 4000 mld, la durata ottimale potrà essere di 5 anni, dovrà essere sospeso se l’inflazione armonizzata supera il 4%;
le plusvalenze che conseguirà la Bce con tale politica monetaria, dovranno essere conferite al fondo salva stati. Il fondo dovrà cambiare finalità, dovrà essere utilizzato per gli investimenti pubblici che hanno una utilità europea;
naturale che i paesi, eliminato il rischio della rottura dell’area valutaria, ritornato un sentimento europeista con la politica monetaria espansiva, dovranno procedere ad una integrazione fiscale, condizione necessaria per avere una moneta unica, con l’attuale crisi si è sancito il fallimento dell’ AVO endogena.
allo stato attuale non vi sono motivi per rinviare tali manovre di politica monetaria e arrivare alla fine dell’anno in questa condizione renderebbe inutile qualsiasi ulteriore intervento. L’economia reale è fortemente compromessa dalle scelte sbagliate fino ad oggi attuate, non si comprende perciò l’ulteriore rinvio, anche se solo di qualche mese.
naturale che chi, come la germania può non essere in sintonia con questa politica monetaria potrà uscire dall’unione monetaria senza traumi, in fin dei conti in europa già coesistono diverse monete e tale situazione potrà continuare senza problemi, ancora per un lungo periodo.
Ago
Il 2014 e’ servito alle banche per il risanamento del bilancio; attraverso aumenti di capitale e forti acquisti di titoli di stato.
Tutto questo è stato fatto nel primo semestre consentendo alle banche di disporre di liquidità e rimborsare i prestiti garantiti dallo stato presso la BCE. Nel secondo semestre una banca indirizzata al consolidamento finanziario e patrimoniale pensa esclusivamente a passare gli stress test e garantire le coperture ai crediti in sofferenza. Nel primo semestre del 2015 sarà cura delle banche “ammollare” i crediti in sofferenza alla BCE tramite il programma QE ed acquisire la liquidità attraverso le trance Tltro previste. Fin qui abbiamo consolidato il sistema di credito europeo che deve sostenere la ripresa economica ma chi si occupa dell’economia reale? I singoli stati che procedono in ordine sparso ognuno con le proprie priorità e quindi con gli evidenti scarsi risultati. Una soluzione a tutto questo sarebbe l’individuazione di un modello produttivo-organizzativo e armonizzi le varie realtà e rilanci i consumi interni (fermi anche in Germania che vive di export) purtroppo questo modello e’ affidato a politici che molto spesso non hanno mai lavorato o prodotto utili se non quelli degli slogan. Ne usciremo?
Maurizio Cocucci
Dove ha letto che i consumi interni in Germania sono fermi? Stando ai dati dell’Ufficio Federale di Statistica di Wiesbaden i consumi privati sono stati di 1.506 mld di euro nel 2011, 1.539 nel 2012 e 1.572 nel 2013.
Ago
Uno dei tanti istituti, parliamo del 2014
nonostante l’ottimo stato del mercato del lavoro tedesco, Le incertezze legate alle molte crisi internazionali sono penetrate fino a influenzare la propensione ai consumi, in calo ad agosto per le prima volta da oltre un anno e mezzo (da 8,9 a 8,6 punti, ha reso noto l’istituto GfK). È Diw a mettere nero su bianco le difficoltà che sta vivendo l’economia tedesca.
Maurizio Cocucci
Le statistiche riassunte in una tabella o un grafico sono spesso fuorvianti se decontestualizzate, andrebbero lette insieme ad una analisi approfondita che prenda in considerazione più aspetti. Ad esempio, se si prende una di quelle statistiche che evidenzia il calo degli investimenti in Europa e si osservano i dati nazione per nazione si verifica che quelle orientali hanno un rapporto investimenti/Pil maggiore di quelle occidentali, cosa che è logica, perché dopo la caduta di barriere ideologiche a l’apertura di nuovi mercati tra cui quello cinese molte imprese delle maggiori nazioni occidentali hanno investito aprendo nuove attività o trasferendo parte se non tutta la produzione in queste aree emergenti. Quello che mi sforzo di ripetere è che il declino della nostra economia, non dipende dall’adozione di una moneta unica ma da una globalizzazione che ha invitato a delocalizzare produzioni prima realizzate internamente oppure a preferire l’acquisto di beni prodotti dove il costo del lavoro nonché di altri costi come quello della fiscalità sono inferiori. In poche parole se la divisione politica del dopoguerra non fosse crollata, molto probabilmente non ci troveremmo nella situazione di crisi in cui versiamo nonostante l’adozione dell’euro. Per quanto riguarda gli investimenti pubblici sarei curioso di analizzare anche in quel caso più approfonditamente i dati, ma soprattutto la relazione investimenti/risultati (benefici), in maniera più dettagliata nazione per nazione.
Ago
Dimenticavo, è evidente che la BCE si trova tempisticamente in ritardo con le sue iniziative e la frammentazione dei piani di aiuto europei alle imprese li rende deboli e difficili da implementare.