Il sistema ferroviario svizzero è considerato un modello di eccellenza. Ma neppure la migliore ferrovia sembra in grado di modificare in modo apprezzabile i rapporti di forza con la strada. Perché allora investire risorse ingenti sulla rotaia?
Sono in molti, in Italia ma non solo, a considerare il sistema ferroviario svizzero un modello di eccellenza. Eco della proverbiale puntualità elvetica è giunta fino in quel di Cupertino: i programmatori di Apple hanno deciso di riprodurre l’orologio che campeggia nelle stazioni della Confederazione sull’iPad. (1) L’ammirazione sembra essere fondata su solide basi: sia in termini qualitativi che quantitativi l’offerta di servizi per passeggeri e merci non ha probabilmente eguali in Europa.
IL MODELLO ELVETICO
L’esempio svizzero può quindi essere preso come riferimento per valutare in quale misura una politica di forte sostegno al trasporto ferroviario, che ne elevi significativamente le prestazioni, possa modificare la scelta del modo di trasporto da parte di persone e imprese e contribuire al cosiddetto riequilibrio modale? (2)
Proviamo a rispondere all’interrogativo sulla base dei dati resi disponibili da Litra, associazione cui fanno capo società ferroviarie, aziende di trasporto pubblico oltre che imprese di costruzione ed enti locali. (3) I dati raccolti coprono un arco di tempo che va dal 1950 al 2010.
Sessanta anni fa, un cittadino svizzero effettuava in media nell’arco di un anno 242 spostamenti con mezzi motorizzati. Nel 2010 il numero di viaggi pro-capite era salito a poco più di mille, equivalenti a tre movimenti al giorno. Nello stesso periodo la popolazione è cresciuta da 4,7 a 7,7 milioni di abitanti e, quindi, la mobilità complessiva è aumenta di sette volte. È altresi aumentata la distanza media di ciascun viaggio da poco meno di 13 km a 14,4 km cosicché i chilometri complessivamente percorsi si sono moltiplicati di un fattore pari a otto (quattro volte tra il 1950 e il 1970 e due volte nei successivi quattro decenni).
La quota modale della ferrovia ha conosciuto un rapido declino fino al 1980 passando da oltre il 50 per cento al 13 per cento della mobilità per poi stabilizzarsi su tale livello nel ventennio seguente e risalire al 17,3 per cento nell’ultimo decennio. L’auto detiene attualmente una quota della mobilità complessiva delle persone pari al 76,3 per cento; se si escludono gli spostamenti in aereo e si considerano i soli trasporti terrestri, la percentuale dell’auto sale al 79,2 per cento. Il valore si dicosta di poco dal dato relativo all’Europa (UE-27) dove la mobilità privata rappresenta l’82,5 per cento del totale (82,9 per cento nella UE-15). In valore assoluto la percorrenza pro-capite in auto in Svizzera risulta di pari a 11.800 km contro una media di 9.460 nella UE-27 (10.300 km della UE-15).
La “diversità” elvetica non è quindi riconducibile a un minor uso dell’auto quanto piuttosto al predominio, nell’ambito dei trasporti collettivi, dei treni rispetto agli autobus: se in Svizzera i servizi su gomma hanno una rilevanza del tutto marginale (2,6 per cento), in Italia, ad esempio, detengono una quota di mobilità pari al 12,2 per cento, più che doppia rispetto alla ferrovia.
Veniamo ora al trasporto merci. I dati Litra consentono di analizzare separatamente i traffici interni, o con origine/destinazione nel paese, da quelli di transito. Se guardiamo ai primi, l’evoluzione dal 1950 a oggi è simile a quella del traporto di persone: la ferrovia, che deteneva circa due terzi dei traffici (espressi in termini di tonnellate-km), è scesa al 25 per cento. La quantità di merci trasportata su ferrovia nel 2010 è paragonabile a quella di venti anni prima; nello stesso periodo la strada è cresciuta del 30 per cento e rappresenta attualmente il 74 per cento dei flussi (il restante 1 per cento è riconducibile a vie di navigazione e impianti fissi), di poco superiore al valore medio europeo pari al 72,7 per cento.
Prima dell’apertura del traforo stradale del Gottardo (1981), la ferrovia deteneva il quasi monopolio dei traffici di transito (97 per cento delle tonnellate trasportate). Nei due decenni successivi la gomma è cresciuta fino al 24 per cento dei traffici. Nel nuovo secolo, nonostante l’introduzione della tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (Ttpcp) che comporta un esborso medio aggiuntivo per l’attraversamento della Svizzera di circa 250 euro, equivalente a un aggravio del costo del trasporto dell’ordine del 60 per cento, e la previsione di generosi sussidi alla ferrovia (145 euro per spedizione o 2.080 euro a treno per un totale di 152 milioni di euro all’anno), la quota modale della strada è ulteriormente salita al 28,5 per cento. Nello stesso periodo, peraltro, la stipula dell’accordo sui trasporti terrestri tra il paese elvetico e l’Unione Europea ha portato il peso massimo consentito per i mezzi pesanti da 28 a 40 tonnellate e così, pur essendo la quantità di merce trasportata su gomma quasi raddoppiata (da 5,4 a 9,9 milioni di tonnellate) il numero di veicoli in transito è rimasto invariato, anzi è leggermente diminuto da 736mila a 696mila (il carico medio dei veicoli è cresciuto da 6,4 a 13 tonnellate).
STRADE POCO UTILIZZATE
Il traffico su gomma – che la Svizzera si propone di ridurre nei prossimi anni grazie alla realizzazione di due nuovi tunnel ferroviari con una spesa intorno ai 10 miliardi di euro – comporta peraltro un utilizzo molto modesto della rete stradale: si tratta di circa 2.400 veicoli al giorno che equivalgono all’impegno di una singola corsia autostradale per meno di tre ore (il 3 per cento della capacità giornaliera di un’autostrada a due corsie per senso di marcia). La percorrenza complessiva dei mezzi in transito sul territorio elvetico risulta pari a 200 milioni di km all’anno, equivalenti a 600 milioni di km percorsi da auto corrispondenti all’1 per cento del traffico sull’intera rete pari a circa ai 58mila milioni di km (54mila percorsi da auto e 4mila da mezzi pesanti). Un teorico azzeramento dei tir in transito, risultato che sarebbe universalmente giudicato un grande successo, avrebbe quindi un’incidenza del tutto marginale sul traffico stradale. E la ricaduta sarebbe ancor più irrilevante in termini di riduzione delle esternalità considerata l’evoluzione tecnologica dei veicoli nonché il costante miglioramento dei livelli di sicurezza (dal 1980 a oggi sulla rete autostradale italiana il tasso di mortalità per i veicoli pesanti si è ridotto del 90 per cento).
A livello nazionale neppure la migliore ferrovia sembra quindi in grado di modificare in modo apprezzabile i rapporti di forza con la strada. Investire risorse ingenti sulla rotaia può determinare benefici rilevanti per gli utenti, ma non per la collettività (con la possibile eccezione di qualche potenziamento di linee di accesso a grandi aree metropolitane): sembra lecito domandarsi per quale ragione debbano essere i contribuenti a farsi carico quasi per intero degli oneri per gli investimenti.
(1) Gli svizzeri, sorpresi per non essere stati informati del progetto, hanno poi sottoscritto un accordo con Apple che prevede il pagamento di un’adeguata compensazione monetaria: l’orologio è infatti un marchio depositato di proprietà delle ferrovie di Berna dal 1944.
(2) Il reddito medio procapite della Svizzera è superiore di circa il 25 per cento alla media europea e può prefigurare la situazione economica media a livello continentale in un futuro (auspicabilmente) non troppo remoto.
(3) Accanto all’impresa federale, operano 44 società private proprietarie di 2.133 km di rete (su un totale di 5.124 km).
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Roberto Petracca
L’articolo analizza l’evoluzione dei trasporti elvetici e arriva alla conclusione che la strada vince e la rotaia perde. I numeri dicono anche che investire sulla rotaia non porta benefici rilevanti alla collettività. Il sistema stradale elvetico è infatti ampiamente capace di assorbire il trasporto su rotaia senza che questo porti detrimento agli utenti della strada. Non si capisce quindi perché il contribuente svizzero debba investire soldi sulla rotaia.
Chiunque abbia guidato un’auto in un giorno infrasettimanale da Gallarate a Casarano rimane incantato. Memore di una giornata passata a rischiare la pelle facendo lo slalom tra camion, torpedoni, TIR, furgoni e trasporti pesanti, con una percorrenza oraria media di 65 chilometri, rimarrebbe ammirato di fronte al miracolo elvetico. Potrebbe quindi concordare che investire sulla rotaia non porta benefici alla collettività elvetica ma rimarrebbe convinto che ne porterebbe alla nostra. Per risolvere infatti il nostro caso nazionale dei trasporti terrestri le possibilità sono solo tre: investire sulla rotaia, quadruplicare la capacità su strada o fare entrambe le cose. Dato che per quadruplicare la capacità stradale ci manca il territorio disponibile, non rimane altro da fare che potenziare la rotaia. Ma siccome potremo farlo solo quando avremo abbattuto il debito pubblico, stiamo parlando giusto per fare due chiacchere al bar.
Ci sarebbe anche una quarta possibilità: abbattere lo spostamento di persone e merci ripensando…
Federico Savini
Perché conviene investire su rotaia anche se i ritorni sembrano incerti? Sulla base di questi dati, Il trasporto su ferro sembra perdere in termini di passeggeri, Km e quantità merci. Per rispondere a quella domanda bisognerebbe tuttavia includere altre variabili. La tipologia di spostamenti e le ragioni della mobilità, le traiettorie di spostamento e la qualità ambientale e la qualità dello spazio urbano e, soprattutto, peri-urbano. Bisognerebbe rilevare l’impatto del ferro e della gomma sulle aree di frangia, sulla frammentazione e/o diffusione urbana, includendo tempi di commuting. Secondo una mia ipotesi, la ferrovia potrebbe risultare vincente se includessimo benefici e costi nel lungo periodo, di natura non puramente infrastrutturale, ma di altra natura, anche non tangibile. SI potrebbe anche includere, con ovvi problemi di quantificazione, il valore democratico, e gestionale, del trasporto pubblico. Oppure considerare la versatilità, apparentemente bassa, delle linee ferroviare, più facilmente riutilizzabili come light-rail in caso in cui si debba per esempio regionalizzare il le linee esistenti (il riutilizzo delle aree e linee ferroviarie urbane sono esperienze in circolo da qualche decennio, con la diffusione di tram veloci, light-rail, reti di distribuzione regionale e metropolitana) mentre il downsizing e l’urbanizzazione delle autostrade, incluse le tangenziali eredità degli anni 60, è un campo di recente esplorazione (e di conseguenza con alti indici di…
Hans Suter
Interessante articolo. Forse bisogna tenere presente che la Svizzera è partita molto tardi con la costruzione delle autostrade, prima degli anni 70 non c’era gran che. Mentre oggi la Svizzera ha una delle reti più dense del mondo, 1750 km per una popolazione di 7,7 mio (un terzo della lunghezza delle autostrade italiane con una popolazione che è inferiore 8 volte). Questo fa che la maggior parte della popolazione dista meno di 10 km da un entrata autostradale che è anche senza casello. Si può dire che l’uso dell’auto è molto facilitato. A proposito dell’orologio mi sembra ricordare che Apple ha pagato per l’uso 20 mio CHF.
andrea vescovini
Stupito dalla reiterata posizione della voce.info contro la tav italiana, concordo con le note di Petracca e pienamente con il ragionamento di Savini (bello il suo blog, posso chiamarlo così?), sebbene causa problemi informatici non si riesca a leggerli fino in fondo. La battaglia dei dati (spesso provenienti da facoltà piemontesi) è assolutamente strumentale e parziale per chi li utilizza. Spero che la politica prenda decisioni su come vogliamo la nostra società. Nel cinico dilemma, bene del contribuente o bene della collettività, mi auguro che la sinistra giochi il suo ruolo e si fermi un attimo prima del ridicolo. Ruolo che in Italia peraltro non ha mai svolto (nemmeno nell’illuminata Emilia dove, dopo le dieci di sera per andare da Reggio e Modena devo fare il bene del contribuente e utilizzare la mia auto), visto il trattamento riservato al mezzo pubblico (treno gomma che sia) rispetto a quello privato.
sauro
Interessante articolo anche se, come in parte menzionato negli altri commenti, forse poco lungimirante. A parte la differenza in termini di slalom fra le autostrade svizzere e italiane (e quindi di sicurezza), io vedo una grandissima differenza a livello di risorse energetiche e di puntualita’.
1) risorse energetiche: viaggiare su rotaia ha il grandissimo vantaggio di scollegarsi completamente dai combustibili fossili. La Svizzera produce il 100% della sua energia con il nucleare e l’idraulico. Il nucleare verra dismesso fra 10-20 anni e l’idea e’ di ridurre il consumo (anzi ancora meglio la potenza) fino a 1/3 (societa’ a 2000Watt) per poter poi far andare quasi tutto con l’idraulico e un po’ di termico. Poter sfruttare la discesa dell’acqua per far andare il treno (e i tram) in tutto il paese mi sembra un successo non indifferente. SOprattutto considerando una prossima inevitabile crisi energetica (in termini ambientali, non di scarsezza), strategicamente lo considero impagabile.
2) Nei calcoli da lei fatti non viene considerata la puntualita’: i treni svizzeri viaggiano a una puntualita’ maniacale, molto vicina al 100%. Oltre all’ovvio vantaggio in quanto a comfort, le ore perse in auto/camion in coda generano perdite per le aziende, l’ambiente e i lavoratori e riducono il benessere generale.