Il ministero delle Infrastrutture vorrebbe tornare a regolare la vendita di case popolari. La bozza del nuovo decreto aprirà una disputa sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. Ne vale la pena? Le motivazioni del Governo e i risultati sperati che potrebbero non arrivare.
UNA QUESTIONE DI COMPETENZE
Il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha inviato alla Conferenza unificata – la sede di confronto tra lo Stato, le regioni e gli enti locali – una bozza del decreto con le procedure per la vendita degli alloggi di proprietà pubblica. La norma dà attuazione all’articolo 3 (Misure per la alienazione del patrimonio residenziale pubblico) del decreto legge 47/2014, che contiene provvedimenti per l’emergenza abitativa. Le regioni, come si può vedere nel prospetto riportato qui sotto, dispongono già di loro normative per l’elaborazione e l’attuazione di piani di alienazione degli alloggi pubblici. Quelle che non hanno approvato proprie leggi, applicano la normativa statale già vigente, che non è stata abrogata dal Dl 47/2014. Sono disciplinati tutti gli aspetti, dalla procedura di selezione degli acquirenti, alla determinazione del valore e del prezzo, al reinvestimento dei proventi delle vendita: il decreto ministeriale è superfluo, e in alcuni casi può essere dannoso, perché complica le procedure di vendita. Se su diversi aspetti le previsioni regionali non differiscono molto l’una dall’altra, è però vero che la normativa di ogni regione presenta proprie peculiarità, che, verosimilmente, vorrà continuare a conservare. È la ragione per cui molto probabilmente il documento sarà rispedito al mittente. Le regioni ritengono, infatti, la materia di loro competenza; rafforzate in questa convinzione da più di una sentenza della Corte costituzionale, che ha censurato i tentativi di invasione di campo già fatti in passato, soprattutto dai Governi Berlusconi. È difficile, perciò, trovare le ragioni per questo nuovo tentativo del Governo Renzi di dettare le regole per vendere case che, è bene ricordarlo, non sono dello Stato. Le due motivazioni più plausibili che si possano ipotizzare, darebbero comunque risultati deludenti.
LA MOTIVAZIONE POLITICO-ELETTORALE
Quella politico-elettorale è una motivazione forte, per i politici, ma è facile che non dia i risultati attesi. Ipotizza che la vendita delle case popolari porti, al Governo che la promuove, il consenso degli inquilini che diventano proprietari. Per questo è indispensabile che gli alloggi siano venduti a prezzi estremamente favorevoli. L’esperienza maturata in passato dimostra, però, che i prezzi stracciati costituiscono una condizione non sufficiente per il successo dei piani di vendita. Ne è un esempio la legge 560/1993, che imponeva a tutti gli enti proprietari di vendere tra il 50 e il 75 per cento del loro patrimonio, a un prezzo bassissimo, pari a 100 volte la rendita catastale, con possibilità di sconto fin quasi al 30 per cento. Malgrado il prezzo da saldo, l’offerta non fu gradita. La Corte dei conti ha rilevato che nell’arco di tempo 1994-2003, in tredici regioni (mancano Piemonte, Abruzzo, Puglia, Calabria, Lazio, Umbria e Toscana) sono stati venduti in totale 71mila alloggi; se si esclude il 25 per cento della provincia di Bolzano, per il resto la percentuale del numero totale degli alloggi venduti nelle singole regioni oscilla tra il 3,3 per cento della Sicilia e il 13,4 per cento della Puglia: sempre ben lontano dalla quota minima del 50 per cento. Percentuali così basse possono avere più di una giustificazione, compreso il basso reddito di una parte delle famiglie alle quali viene proposto l’acquisto degli alloggi. In molti casi, continuare a fare l’inquilino invece di diventare proprietario è una scelta economica molto razionale: il prezzo di acquisto equivale al pagamento del canone per alcuni decenni (il canone medio mensile è di 64 euro al Sud, 109 al Centro e 122 al Nord). Naturalmente, l’acquisto diventa ancora meno conveniente se gli alloggi, anziché al prezzo di favore della legge 560/93, devono essere venduti al prezzo di mercato, come prevede la bozza del nuovo decreto ministeriale. D’altra parte sarebbe poco equo vendere a prezzo di favore a chi ha già goduto di un canone scontato per anni. Con canoni notevolmente al di sotto non solo di quelli di mercato, ma anche di quelli degli alloggi di edilizia agevolata (realizzati da imprese e cooperative con un finanziamento pubblico che copre una parte dei costi di costruzione), è difficile che agli inquilini delle case popolari (il cui costo di costruzione è tutto a carico di enti pubblici) possa piacere la proprietà. Il che è deludente per chiunque pensi di trasformare la loro vendita in un affaire elettorale.
LA MOTIVAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
Gli alloggi di proprietà pubblica possono essere venduti anche per far cassa. Come per la vendita di altri cespiti del patrimonio pubblico, i ricavi possono essere usati per ridurre il debito pubblico, oppure per finanziare nuovi investimenti. Ma lo Stato non può utilizzare le cifre incassate dalla vendita della case popolari per nessuna delle due finalità. E, infatti, né il decreto legge 47/2014 né quello ministeriale al vaglio delle regioni lo prevedono. In entrambi i casi, ci si limita a chiedere ai proprietari degli immobili, regioni e comuni, di destinare le risorse a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente. Il Governo Renzi (come gli altri che si sono proposti lo stesso obiettivo) potrebbe essere stato indotto a premere per la vendita delle case popolari dalla necessità di sostituire i finanziamenti statali per le politiche per la casa – ormai da anni ridotti al lumicino – con risorse “proprie” delle regioni. Tuttavia, difficilmente l’operazione riuscirà a produrre ricavi rilevanti e permetterà di accrescere la disponibilità di case popolari, sia con nuove costruzioni che con recupero di quelle vuote. La scarsa convenienza dell’acquisto per gli inquilini dovrebbe essere compensata da una consistente domanda da parte di terzi. Ma è poco probabile che siano in molti ad avere interesse ad acquistare a prezzi di mercato alloggi collocati in contesti urbanistici e sociali in genere molto problematici. Inoltre, anche ipotizzando che il prezzo incassato dalla vendita di un alloggio sia sufficiente a coprire i costi per la costruzione di uno nuovo, l’offerta non crescerebbe affatto, considerato che l’inquilino che non acquista deve essere spostato in un’altra casa di proprietà pubblica. In definitiva, la vendita delle case popolari è, bene che vada, un gioco a somma zero, che non vale la candela.
È esclusa la Sicilia poiché operano quattro distinte procedure.
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Marina
La mia esperienza diretta è la seguente: nel 2012 ho acquistato in zona semicentro a Roma un appartamento di circa 50 mq per € 290.000 , chi me l’ha venduto ne era proprietario (per successione) in seguito alla “privatizzazione” avvenuta all’epoca Tremonti. L’aveva acquisito per € 50.000(cinque anni prima). Fate voi il calcolo…