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Quanto vale il Qe per l’economia italiana *

Quali sono gli effetti del Quantitative easing sull’economia italiana? Ricostruzione del meccanismo di trasmissione e impatto su tasso di cambio e rendimenti dei titoli di Stato. Ma anche su esportazioni, investimenti, disoccupazione e consumi. Per il 2015 la stima è di +0,40 per cento sul Pil.
LA GRANDEZZA DEL QE
La Banca centrale europea ha lanciato il programma di espansione monetaria, l’atteso Quantitative easing, che prevede un piano di acquisto di titoli da 60 miliardi di euro mensili da marzo 2015 almeno fino a settembre 2016. Non è escluso che il piano venga prorogato oltre tale data, cui si aggiunge un percorso di tapering (graduale riduzione dei volumi acquistati a partire da ottobre 2016) che dovrebbe comunque accompagnare la chiusura del Qe.
In totale, l’allentamento monetario comporta l’acquisto di non meno di 1.140 miliardi di euro di asset (circa il 12 per cento del Pil europeo) con maturità tra due e trent’anni, tra cui titoli di Stato (per circa 43 miliardi di euro mensili), titoli sovranazionali (purché denominati in euro ed emessi da agenzie della zona euro), obbligazioni bancarie garantite (covered bond) e titoli cartolarizzati (asset backed securities).
I titoli di Stato verranno selezionati in base al paese di origine dell’emittente in proporzione alla quota di partecipazione che la relativa banca centrale nazionale ha nel capitale della Bce: per l’Italia è il 17,5 per cento – quindi 7,4 miliardi mensili e 140,3 totali, ovvero poco meno del 7 per cento del debito pubblico italiano; per la Francia il 20,1 per cento; per la Germania il 25,6 per cento; per la Spagna il 12,6 per cento; per la Grecia il 2,9 per cento.
Sono previsti tetti, pari al 33 per cento per ogni emittente sul totale dei titoli emessi e del 25 per cento sulle singole emissioni. Inoltre, gli asset acquistabili dovranno avere almeno un investment grade (BB di S&P’s e Fitch, Ba di Moody’s), mentre solo il rischio sul 20 per cento dei titoli pubblici e sovranazionali resterà in capo alla Bce (il resto alle banche centrali nazionali).
La valutazione dell’impatto del Qe sull’economia italiana nel triennio 2015-2017 può essere effettuata in termini di differenziale tra le previsioni relative a uno scenario di base in assenza di Qe e a uno che invece lo preveda. Lo scenario di base ipotizza che il Pil italiano avrebbe dovuto crescere dello 0,21 per cento nel 2015, dello 0,49 per cento nel 2016 e dello 0,58 per cento nel 2017. Rispetto a questo, bisogna tener conto che il Qe dovrebbe calmierare ulteriormente i rendimenti sui titoli di stato italiani, indurre il deprezzamento dell’euro, favorire la capacità di finanziamento delle imprese (anche se in misura molto minore rispetto agli Stati Uniti, dove le imprese raccolgono fondi prevalentemente emettendo bond) riducendone il costo.
IL PREZZO DEL PETROLIO
Agli effetti del Qe si devono aggiungere quelli prodotti dal calo del prezzo del petrolio che è passato da valori leggermente inferiori a 100 dollari a barile in media d’anno nel 2014 a valori correnti di poco superiori ai 50 dollari. In linea di massima, il crollo del prezzo del greggio dovrebbe ridurre la spesa per beni petroliferi o ad alto contenuto di petrolio, agevolare l’incremento dei consumi di altri beni e quindi fornire a sua volta un supporto positivo alla crescita. Nel particolare momento storico attuale, dato il contesto di deflazione già in essere, il processo rafforzerebbe (sta rafforzando) ulteriormente le aspettative di deflazione, finendo per avere un effetto finale sul Pil ben più contenuto di quanto accaduto in passato in presenza di shock negativi sulle quotazioni del greggio.
Parte del meccanismo di trasmissione è stato già anticipato dal mercato. In particolare, il tasso di cambio dollaro/euro dal 5 giugno 2014 (data in cui c’è stato l’annuncio del Tltro e il primo impulso alle aspettative di un prossimo Qe) è sceso del 16,9 per cento. Nello stesso periodo di tempo, il rendimento del Btp decennale benchmark è sceso di 117,3 punti base a fronte di un appiattimento della curva per scadenza a 10 anni (si veda la figura 1, lato sinistro), l’Euribor a 3 mesi del 170,4 per cento (-23 punti base) e le aspettative su quest’ultimo per dicembre 2016 si sono compresse di circa 50 punti base (si veda la figura 1, lato destro).

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Figura 1 – Rendimento Btp decennale (sx) e pendenza della curva per scadenza (dx)

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Anche alla luce del fatto che l’importo complessivo della manovra è stato pari a quasi il doppio delle attese degli operatori (e non è escluso che aumenti ulteriormente), il Quantitative easing dovrebbe rafforzare le tendenze già in atto. In particolare, il tasso di cambio dollaro/euro dovrebbe scendere su valori prossimi a 1,0 dollari per euro nel corso del 2015 (figura 2, lato sinistro), per mantenersi su questo livello lungo tutto l’orizzonte di previsione, mentre il rendimento del Btp decennale dovrebbe portarsi sotto l’1,5 per cento in media d’anno nel 2015, per risalire gradualmente fino a 200 punti base man mano che si andrà uscendo dall’orizzonte temporale attualmente programmato per il Qe (almeno settembre 2016; figura 2, lato destro). D’altra parte, la previsione esogena sul prezzo del petrolio (mutuata dalle aspettative correnti degli operatori di mercato) è che la quotazione del Brent per barile sia di 57,4 dollari nel 2015, di 64,2 dollari nel 2016 e 67,4 dollari nel 2017.

Figura 2 – Effetto del Qe su tasso di cambio dollaro/euro (sx) e rendimenti decennali Btp (dx)

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Il deprezzamento del cambio dell’euro verso il dollaro e le principali valute internazionali favorirebbe una accelerazione delle esportazioni, minore che in passato se si tiene conto della riduzione dell’elasticità delle esportazioni al cambio cui si è assistito negli ultimi anni e in particolare dopo l’ingresso nell’euro, ma comunque non irrilevante (figura 3, lato sinistro). L’aumento delle esportazioni contribuirebbe ad accrescere il fatturato delle imprese e l’attività economica, quest’ultima attraverso un incremento degli investimenti fissi lordi maggiore che nello scenario base.

Figura 3 – Effetto del Qe sulle esportazioni (sx) e sugli investimenti (dx) italiani

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LA CRESCITA DEL PIL

La ripresa degli investimenti fornirebbe un supporto alla dinamica occupazionale, già in recupero nelle rilevazioni dell’Istat dopo l’estate 2014 (con l’eccezione di novembre), anche se il tasso di disoccupazione non scenderebbe sotto l’11 per cento neanche entro il 2017 (figura 3, lato destro). La creazione di posti di lavoro consentirebbe un relativo miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie che, grazie anche alle risorse liberate dal minor costo dei prodotti petroliferi e ad alto contenuto di petrolio, accrescerebbero i propri consumi.
Nel complesso, lo scenario che implementa l’effetto del Qe e della contrazione del prezzo del petrolio ipotizza che il Pil italiano crescerebbe dello 0,76 per cento nel 2015 (+0,55 per cento rispetto allo scenario base di cui +0,15 per cento – circa il 27,4 per cento del differenziale totale – dovuto al petrolio e +0,40 per cento al Qe), dell’1,01 per cento nel 2016 (+0,52 per cento rispetto allo scenario base di cui +0,11 per cento – circa il 21,0 per cento – dovuto al petrolio e +0,41 per cento al Qe) e dello 0,73 per cento nel 2017 (+0,15 per cento rispetto allo scenario base di cui +0,04per cento dovuto al petrolio e +0,11 per cento al Qe).

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Figura 4 – Effetto del Qe e della riduzione del prezzo del petrolio sul Pil italiano

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* L’articolo è stato chiuso con le informazioni disponibili al 2 febbraio 2015. Le opinioni qui espresse sono dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di Federcasse.
 

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  1. Alessandro

    Articolo assai pregevole e utile (soprattutto alla luce delle chiacchiere a vuoto della cd “informazione televisiva”), in particolare per un pubblico meno specializzato, molto chiaro, preciso e ben corredato dei grafici e dei numeri necessari. Concordo del tutto con le valutazioni dell’autore. Solo una precisazione (che comunque non cambia granche’la sostanza): 1140 miliardi di euro, ovvero l’ammontare atteso del QE della BCE, equivalgono all’8.4% del Pil nominale dell’Ue e non al 12%. Con stima,

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