Negli Stati Uniti il divario tra uomini e donne nella partecipazione al mercato del lavoro è molto più basso di quello registrato in Italia. Un calo persistente del gap porterebbe automaticamente anche a una riduzione del tasso di disoccupazione femminile. Fenomeno congiunturale o di lungo periodo?

Gap che torna a crescere
I recenti dati sull’occupazione hanno mostrato il rallentamento di un fenomeno che era in corso da alcuni anni: la diminuzione del divario occupazionale tra uomini e donne.
In un precedente articolo, Alessandra Casarico e Daniela Del Boca hanno analizzato le principali cause del fenomeno: in particolare, è il declino nell’occupazione del settore pubblico, dove le donne generalmente trovano più spesso lavoro, a determinare uno stallo nella riduzione del gap.
È utile guardare agli Stati Uniti per interpretare le recenti dinamiche. Da un punto di vista esclusivamente congiunturale, la situazione italiana ha molti paralleli con quella americana.
Come discutiamo in un nostro studio, gli uomini sono stati colpiti di più dalla crisi perché nei periodi di recessione i settori tradizionalmente “maschili” – quali il manifatturiero e l’edilizia – registrano un calo maggiore nel numero di posti di lavoro. Tuttavia, nelle successive espansioni, l’occupazione maschile cresce più rapidamente di quella femminile, recuperando la caduta. Questo fa sì che il gap occupazionale tra uomini e donne si riduca nelle recessioni e poi tenda a crescere nelle espansioni.
Il confronto con gli Stati Uniti
In un’ottica tendenziale, invece, esiste una correlazione positiva tra gap nella partecipazione alla forza lavoro e gap nel tasso di disoccupazione. Il divario nella partecipazione tra uomini e donne negli Stati Uniti è molto inferiore a quello registrato in Italia. Nella fascia compresa tra i 25 ei 54 anni di età, usando gli ultimi dati armonizzati disponibili nell’archivio Ocse, si vede che nel 2013 il tasso di partecipazione delle donne italiane è pari al 66 per cento mentre quello degli uomini è l’88 per cento, un gap di 22 punti percentuali. Negli Stati Uniti, nello stesso anno, il dato della partecipazione maschile è identico, mentre la partecipazione femminile si attesta al 74 per cento, con un divario di soli 14 punti percentuali. Gli Usa registravano un gap di genere nella partecipazione alla forza lavoro uguale a quello attuale italiano nel lontano 1986.
Tassi di partecipazione femminili bassi sono associati a un più alto numero di interruzioni nell’occupazione (per maternità o altre responsabilità familiari che pesano principalmente sulle donne). A sua volta, il fenomeno determina un maggiore tasso di disoccupazione per le donne, che cercano di rientrare nel mercato del lavoro dopo le interruzioni.
L’aumento della partecipazione continuativa delle donne nel mercato del lavoro, invece, riduce il loro tasso di disoccupazione e il gap tra generi: lo si vede negli Stati Uniti e negli altri paesi che hanno registrato una crescita sostenuta nella partecipazione femminile. Di conseguenza, esiste una relazione positiva tra gap di genere nel tasso di disoccupazione e nel tasso di partecipazione, come evidenzia il grafico che riporta i valori medi 1970-2012 dei due gap per le economie più avanzate.
Grafico 1 – Gap nella disoccupazione (tasso femmile-tasso maschile) e gap nella partecipazione (tasso maschile-tasso femminile) in percentuale, per un gruppo di paesi Ocse. Medie 1970-2013.
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Cosa succede in Italia?
L’esperienza statunitense e di altri paesi sembra confermare che una persistente riduzione del divario di partecipazione porterebbe automaticamente a una riduzione del tasso di disoccupazione femminile rispetto a quello maschile.
La vera questione, dunque, è se l’attuale situazione in Italia sia principalmente di natura congiunturale o rifletta fenomeni di lungo periodo. Nel primo caso, non si tratterebbe di un fenomeno preoccupante, perché destinato a invertirsi nel corso del ciclo economico. Se invece l’attuale rallentamento dell’occupazione femminile riflette una riduzione del trend di crescita della partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro, potrebbe dare luogo a un aumento permanente del gap nel tasso di disoccupazione tra uomini e donne, nonché a un aumento del tasso di disoccupazione complessivo, con conseguenze gravi per i risultati economici del paese.
È difficile identificare immediatamente il contributo delle forze congiunturali e di lungo periodo. Per questo motivo una politica economica volta a sostenere i servizi all’occupazione e a ridurre le distorsioni nel mercato del lavoro potrebbe avere notevoli benefici, sia per mantenere il trend di crescita della partecipazione femminile, sia per minimizzare l’impatto della congiuntura sul tasso di attività delle donne.

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