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L’Iva dopo il no europeo al reverse charge *

La decisione della Commissione di non concedere la deroga per l’introduzione del reverse charge nelle transazioni della grande distribuzione sottolinea le difficoltà di gestione dell’Iva, che pur avendo un impatto notevole sul gettito nazionale, è giuridicamente di competenza europea.

Reverse charge per controllare l’evasione
La decisione della Commissione europea di non concedere la deroga per l’introduzione del reverse charge nelle transazioni in cui l’acquirente è un soggetto operante nella grande distribuzione sottolinea le difficoltà di gestione di un’imposta, l’Iva, che pur avendo un impatto importante sul gettito nazionale, è giuridicamente di competenza europea.
La principale giustificazione del reverse charge è l’asimmetria di comportamento e, di conseguenza, di pericolosità fiscale dei soggetti coinvolti nelle transazioni. Nella grande distribuzione operano soggetti di dimensione elevata, con un’articolazione organizzativa complessa e per i quali la mancata registrazione contabile corretta delle transazioni ha costi rilevanti. La contabilità, infatti, è uno strumento di audit interno indispensabile quando si devono monitorare i comportamenti di centinaia di dipendenti, molti dei quali hanno diretto accesso ai flussi di cassa.
Al contrario, tra i fornitori della grande distribuzione vi sono anche soggetti di dimensione ridotta e dotati di un’organizzazione semplificata per i quali l’evasione attuata tramite l’occultamento dei ricavi è molto meno costosa.
I numeri
Di questa asimmetria vi è un qualche riscontro quantitativo. L’Agenzia delle entrate effettua, partendo dalla stima del gap Irap, una quantificazione dell’intensità di evasione, calcolata come rapporto tra base imponibile evasa o non dichiarata (Bind) e base imponibile dichiarata (Bid) e disaggregata per settore di attività economica.
Ora, il settore del commercio al dettaglio, nel quale è compresa la grande distribuzione, è caratterizzato da un rapporto Bind/Bid del 16,04 per cento, mentre il rapporto è pari al 27,21 per cento per l’intera economia. Inoltre, sui circa 63 miliardi di cessioni agli operatori della grande distribuzione risultanti dallo spesometro per l’anno di imposta 2011, poco meno della metà (29,7 miliardi) provengono dal commercio all’ingrosso, dove il rapporto Bind/Bid è del 21,74 per cento.
In sostanza, il reverse charge applicato alla grande distribuzione, e la stima di recupero di gettito conseguente (727 milioni di euro), si basava sul fatto che la propensione all’occultamento dei ricavi tra i suoi fornitori è maggiore rispetto a quella della grande distribuzione stessa. Tra l’altro, la stima ottenuta era piuttosto prudenziale, considerando che il rapporto del 16,04 per cento su cui si basava è una media ponderata tra la propensione all’evasione della grande distribuzione e quella dei piccoli operatori al dettaglio che, presumibilmente, evadono di più.
In una prospettiva comunitaria, tuttavia, la forza dell’Iva sta nel fatto di introdurre disincentivi all’evasione richiedendo il versamento dell’imposta non solo allo stadio finale, ma lungo la catena di formazione del valore aggiunto a monte del consumo finale. In questo modo, si contrasta la convergenza dell’interesse del venditore al dettaglio e del consumatore finale a occultare la transazione, che è il punto debole di altre imposte sul consumo (come ad esempio la retail sales tax statunitense). Ne segue che ogni spostamento dell’obbligo di versamento dell’Iva verso valle sia visto con sospetto. Il fatto che, nella vendita al dettaglio, operino soggetti per i quali i costi dell’evasione tendono a superare i benefici non è stato evidentemente considerato sufficiente.
E lo split payment?
Rimane invece in sospeso l’autorizzazione all’adozione del metodo dello split payment che risponde alla medesima logica del reverse charge, ma la applica agli acquisti di un soggetto, la pubblica amministrazione, che è formalmente assimilabile a un consumatore finale. Con lo split payment, quindi, si ottiene lo stesso risultato del reverse charge, facendo versare l’Iva dovuta direttamente dal cliente (la pubblica amministrazione, appunto).
Qui l’eventuale bocciatura sarebbe non solo più rilevante da un punto di vista quantitativo (il gettito previsto è di circa 1 miliardo), ma anche meno comprensibile da un punto di vista sistematico. Le principali conseguenze negative dello split payment, infatti, sono le difficoltà operative per la pubblica amministrazione nonché l’incremento delle posizioni a credito dei fornitori.
Si tratta di questioni che non sembrano porsi in contrasto con i principi della legislazione europea in materia. Per gestire le criticità organizzative è stato emanato uno specifico decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze che ha differito al 16 aprile 2015 i versamenti relativi ai primi tre mesi dell’anno. Per quanto riguarda le situazioni creditorie, invece, è previsto che i fornitori della Pa accedano al canale prioritario dei rimborsi sull’Iva, per il caso in cui si dovessero creare situazioni di credito strutturale.
* L’autore è consigliere economico del presidente del Consiglio dei ministri. Le opinioni sono espresse a titolo esclusivamente personale.

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  1. Lo split dovrebbe fare la stessa fine del reverse sulla distribuzione, tale provvedimento già entrato in funzione solo per motivi di gettito, rende il meccanismo dell’iva più complicato, oltre che rende difficile il recupero dell’iva per le imprese fornitrici della pubblica amministrazione, non vi sono le ragioni per la sua applicazione, non riguarda un solo settore ma l’intera pubblica amministrazione, dove è molto difficile dire che si verificano le frodi essendovi la possibilità del controllo pubblico su tali forniture.
    Nel momento che essendovi solo ragioni di gettito e non di combattere le frodi resta difficile la sua approvazione da parte della Commissione.

    • Pierre

      Sia lo Split che il reverse charge snaturano l’impianto dell’I.V.A. Servono ben poco a combattere l’evasione e complicano in modo indecente la gestione della contabilità. E’ stato solo un mero modo di fare cassa sulle spalle delle imprese già vessate in tutti modi probabilmente per coprire i buchi generati dai derivati. (guai a dirlo, meglio dire che servono contro l’evasione).
      Io che l’I.V.A. la gestisco tutti i giorni, vorrei prendere (senza che si offenda per carità) l’autore dell’articolo e metterlo sei mesi nel mio ufficio a gestire lo Split Payment e tutto il resto (in un consorzio di 20 aziende), così almeno si rende conto sul campo di cosa hanno creato. E’ un esercizio che molti burocrati di Stato e loro consulenti dovrebbero fare sovente….poi ne riparliamo.

  2. DDPP

    Concordo pienamente con lei.
    Considerando che presto o tardi il credito IVA andrà riscosso o compensato, la natura del provvedimento è puramente collegata alla necessità di rimandare una spesa (il rimborso dell’IVA è una spesa?) ad un esercizio successivo.
    Questo modo di legiferare mi sembra qualcosa molto molto vicino al falso in bilancio.
    PS La nuova legge sul falso in bilancio si applica anche al Governo?

  3. Henri Schmit

    Perché l’Italia costringe l’acquirente di pagare l’IVA al venditore (o adesso direttamente allo Stato) anche per operazioni esenti, di doversi finanziare e chiedere poi il rimborso che lo Stato – avido, rapace, inefficiente e ingiusto – effettua se e quando vuole, mentre le stesse operazioni fatte dallo stesso soggetto (una SGR che gestisce fondi immobiliari) ma su beni siti in Germania sono effettivamente esenti, senza pagamento e senza necessità di finanziamento, perché compensate direttamente nell’atto notarile di acquisto? Non è lo Stato italiano che lui stesso CREA in quel modo artificialmente, nell’interesse proprio e forse illegittimamente, le condizioni per frodi che purtroppo gli operatori senza scrupoli sfruttano senza pensarci due volte? Non sono esperto di IVA, ma sono stato vittima coinvolto involontariamente in un’operazione del genere escogitata non si sa da chi insieme a primarie banche di questo paese. Quello che mi sembra evidente è che le complicazioni inutili del sistema IVA facciano parte delle peculiarità italiche: tutto funziona secondo il motto “facciamo la legge, i nostri amici troveranno l’inganno, poi festeggeremo insieme”. Perché non può funzionare come in Germania dove le truffe sono più difficili e i truffatori in prigioni?

  4. serlio

    dopo avere spremuto gli italiani come limoni e avere impostato una politca fiscale largamente recessiva l’unico modo per sistemare i conti pubblici è la riduzione della spesa pubblica.
    facile………….

  5. Marchino

    La necessità di introdurre sempre più ipotesi di reverse charge ed ora lo split payment é la prova a mio avviso del fallimento dell’imposta plurifase.
    In teoria, come dice l’autore, in questo modo si incentivano gli operatori a non occultare le transazioni mantenendo nei vari passaggi valori contenuti di imposta a debito e interessi contrapposti fra gli operatori economici.
    Nella pratica succede che i soggetti potenzialmente da controllare sono tantissimi e la probabilità che fra questi vi sia qualcuno che non versa l’IVA pur dichiarandola, anche per mancanza di liquidità é molto alta. Di qui credo sia venuta l’idea di applicare il R.Charge alla GDA alla quale non manca certo la liquidità.
    Mi chiedo allora perché non valutare di introdurre, ovviamente in ambito dell’UE, una Sales Tax al posto dellIVA, magari applicandola anche ai servizi?
    Questo comporterebbe anche un risparmio immenso in termini di adempimenti per le piccole imprese.

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