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Più flessibilità per il congedo parentale

Approvate dal governo le nuove regole del Jobs act sulla conciliazione famiglia-lavoro. La principale novità è l’allungamento del periodo di tempo entro cui si può beneficiare del congedo parentale. Bene l’aumento della flessibilità nella gestione del tempo, ma si tratta solo di un primo passo.

Le nuove regole
Il Consiglio dei ministri ha approvato le nuove regole del Jobs Act che riguardano la conciliazione famiglia lavoro.
Tra le novità più importanti, figura l’opportunità per i lavoratori di beneficiare del congedo parentale facoltativo per un periodo più lungo. In pratica, l’arco temporale entro cui si può richiederlo passa dai 3 ai 6 anni di età del bambino per il congedo retribuito al 30 per cento e dagli 8 ai 12 anni per quello non retribuito.
All’articolo 7 si amplia inoltre il congedo a ore che offre, dopo il periodo di maternità, la possibilità di avere orari ridotti invece che continuare l’assenza completa dal lavoro. Una misura simile è contenuta nel decreto attuativo sulle forme contrattuali, che permette di chiedere il part-time per il periodo del congedo parentale. Sono provvedimenti importanti perché introducono più flessibilità nella gestione dei tempi dopo la nascita dei figli. Si tratta di una giusta attenzione a una fase assai critica, perché un numero molto elevato di donne non ritorna al lavoro dopo la nascita del bambino e una delle ragioni riguarda, appunto, la mancanza di orari flessibili. Così, secondo i dati Istat, una madre su quattro non ha più un lavoro a distanza di due anni dalla nascita del figlio, ed è un dato stabile nel tempo.
Solo un punto di partenza
Restano due questioni aperte: la prima è il differente trattamento dei genitori che svolgono lavoro indipendente e che hanno solo diritto a tre mesi di assenza. La seconda è la copertura finanziaria parziale: le misure sono infatti finanziate solo per il 2015.
Eppure, il nesso lavoro e maternità meriterebbe risorse e attenzione. Nel nostro paese, a bassi tassi di occupazione si accompagnano bassi tassi di fecondità. Se guardiamo alle regioni italiane (grafico 1), notiamo che alcune di esse si sono avviate su un percorso virtuoso di maggiore occupazione e maggiore fecondità, ma per altre, soprattutto al Sud, la relazione negativa tra lavoro e maternità persiste. Ricordiamo inoltre che l’Italia è il paese in cui l’età delle mamme alla nascita del primo figlio è tra le più avanzate nei paesi europei, oltre i 30,5 anni.
Poiché la legislazione sui congedi è la stessa nelle varie regioni italiane, l’attenzione si sposta sul ruolo dei servizi di cura: sebbene la copertura dei nidi sia aumentata negli ultimi anni e circa il 20 per cento dei bambini sotto i 3 anni abbia un posto in un nido pubblico o privato, l’offerta è ancora molto eterogenea sul territorio nazionale.
Di integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali, di cui la delega parlava, non c’è traccia nel decreto. Così come delle agevolazioni fiscali per le lavoratrici con figli. Secondo i dati Ocse, la spesa per trasferimenti monetari alle famiglie è ora nel nostro paese a livelli inferiori rispetto al 1980 e sotto all’1 per cento del Pil.
I decreti sono un punto di partenza, non certamente un punto di arrivo.
Relazione tra tasso di occupazione femminile e numero medio di figli per donna nelle varie regioni italiane, 2013 (Fonte dati: Istat 2015)
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  1. stefano delbene

    Mi lascia un po’ perplesso l’enfasi, sia pure mitigata dal alcune valutazioni critiche, con la quale le due autrici accolgono le misure attuative del J-A riguardanti la conciliazione. Da un lato mi sarei aspettato, soprattutto da parte di due donne, una visione un po’ meno “femminocentrica”, che non dia per scontato che le incombenze della cura riguardino solo le madri. Sono poi molto perplesso delle misure che ampliano la durata del congedo senza prevedere:
    a) incentivi alle aziende che applicano questa norma ai/alle propri/ie dipendenti, penso ad esempio al congedo parziale che, se da un lato rappresenta un interessante azione a favore del lavoratore padre, dall’altra si scontra inevitabilmente con le problematiche organizzative delle aziende;
    b) interventi a supporto del reddito: è impensabile, con le basse retribuzioni che si hanno in Italia (soprattutto fra le donne) pensare che si possa andare avanti con il 30 % della retribuzione;
    c) vanno comunque potenziati i servizi di supporto, come i nidi, ma anche altri, come il tempo pieno a scuola e la maggiore flessibilità degli stessi (come la possibilità di funzionamento anche durante il perido estivo): sarà anche vero che oggi il 20% dei bimbi ha un posto in un nido, ma bisogna vedere con quale prezzo: penso che una delle ragioni del mancato rientro al lavoro sia dovuta al prezzo pribitivo dei nidi privati!

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