I carichi burocratici che gravano sui privati restano rilevanti nonostante gli interventi per ridurre i costi connessi alla regolazione. Stratificazioni normative e inadempimenti sono tra le cause della mancata semplificazione. Che invece libererebbe risorse, senza incidere sul bilancio dello Stato.
Quanto “costa” la regolazione
In epoca di spending review non sembra oggetto di particolare interesse l’ingente spesa legata alla regolazione. Sui privati incombono, tra gli altri, costi di adeguamento per conformarsi ai precetti normativi; costi finanziari, ossia importi trasferiti a vario titolo allo Stato o ad altri enti; oneri informativi, connessi a ogni “adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione” (legge n. 180/2011). Sulla stessa Pa, poi, gravano costi di adeguamento, enforcement e controllo circa il rispetto delle prescrizioni da parte dei destinatari. Il complesso dei costi aumenta continuamente a causa di una elaborazione normativa sovrabbondante (cosiddetta regulatory inflation), oltre che mutevole, farraginosa e poco coerente (cosiddetta regulatory pollution): ciò genera aggravi ulteriori, in termini di complicazioni e incertezze nelle relazioni giuridiche tra privati, nonché di lentezze e inefficienze operative nella Pa.
La scarsa attenzione alla spesa originata, direttamente e indirettamente, dalla regolazione determina effetti negativi sulla produttività, sulla concorrenza e, quindi, sulla competitività del sistema economico nazionale, rendendo l’Italia poco attrattiva per gli investitori, come il rapporto Doing business dimostra annualmente mediante il confronto con altri paesi.
I tentativi di semplificazione
Politiche volte a migliorare la qualità del sistema normativo e, al contempo, a ridurre il carico burocratico che incombe sulle imprese sono state da tempo intraprese in sede europea.
In particolare, l’Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the European Union (2007, poi confluito nel Regulatory fitness and performance programme del 2012) ha posto agli Stati l’obiettivo di diminuire entro il 2012 il 25 per cento dei costi connessi alla rispettiva regolazione, adottando lo standard cost model, che quantifica il “peso” degli oneri amministrativi.
Il legislatore nazionale lo ha recepito con il “Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione”, avviando la misurazione degli oneri amministrativi (Moa) che gravano sulle piccole e medie imprese. Ha poi imposto la Moa per legge (Dl n. 112/2008, cosiddetta “taglia-oneri”), estendendola successivamente alla regolazione di regioni, enti locali e autorità indipendenti, e ampliandola ai carichi sui cittadini. Ha, quindi, prescritto (legge n. 180/2011) di misurare ex ante l’effetto sull’attività di impresa degli oneri amministrativi derivanti da ogni nuova iniziativa legislativa o regolamentare, obbligando le amministrazioni dello Stato ad allegare ai regolamenti o ai provvedimenti a carattere generale l’elenco degli oneri aggiunti o eliminati in virtù degli stessi atti. Infine, ha previsto (Dl.n. 5/2012) il cosiddetto regulatory budget, ossia un meccanismo di bilanciamento per cui non possono essere introdotti nuovi oneri senza ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale (cosiddetta one in one out rule): in caso di eccedenze, il governo deve intervenire in via suppletiva, per arrivare al pareggio.
Cosa non ha funzionato
Se, nonostante tutto ciò, la UE chiede ancora all’Italia di diminuire gli oneri amministrativi e di semplificare il quadro normativo (Raccomandazione sul programma di riforma dell’Italia 2013) e se da più parti si continuano a rimarcare pesi burocratici eccessivi, quantificati in termini di tempo e di danaro, qualcosa non torna.
Di certo, rileva il fatto che il susseguirsi non sempre coordinato degli interventi ha dato luogo “a duplicazioni organizzative e a stratificazioni normative”; che la regola dell’one in one out non intacca la mole degli oneri preesistenti ed esclude espressamente la materia tributaria; che l’abuso dei rimandi di fonti primarie a provvedimenti di attuazione rende difficile la quantificazione finale complessiva dei gravami; che l’analisi di impatto (Air), in cui la Moa è inserita, spesso manca o viene svolta superficialmente, lasciando nell’opacità le valutazioni del regolatore. A tutto ciò si aggiunga, come riportato nella prima “Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini e imprese” (anno 2013), il “generalizzato inadempimento” da parte delle amministrazioni alle prescrizioni in tema di semplificazioni – da cui segue il “fallimentare bilancio della norma taglia-oneri” sottolineato da più parti; nonché, come evidenziato nella seconda Relazione (anno 2014), la “scarsa consapevolezza del ruolo cruciale degli strumenti della qualità della regolazione per superare il ritardo competitivo dell’Italia”.
Considerato che l’alleggerimento dei costi renderebbe disponibili per i privati risorse equiparabili a “sgravi” economici, senza incidere sul bilancio dello Stato, appare singolare lo scarso rilievo che istituzioni e media riservano alle inadempienze. Una sorta di “tesoretto” giace inutilizzato tra le pieghe della burocrazia normativa e amministrativa nazionale: gioverebbe alla accountability dei governanti, oltre che alle finanze dei governati, attribuire finalmente a ogni onere il suo “peso”.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.
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bob
“..Una sorta di “tesoretto” giace inutilizzato ” . Non è inutilizzato è sovrautilizzato nel mantenimento di posti inutili che concorrono a creare una burocrazia inutile e dannosa. Oggi ci sono intere categorie non solo di impiegati pubblici ma anche di “professionisti” che vivono su norme create ad hoc per costringere a pagare pedaggio. Basterebbe analizzare ( non so perchè nessuno lo fa) interi settori realmente produttivi dove la presenza di italiani è zero ( edilizia, agricoltura, ristorazione etc) a fronte di una percentuale bassa di laureati, di un alto abbandono dello studio, di un basso utilizzo di Internet . Ma allora cosa fa l’italiano? Vive di politica e di quello che ancora la politica riesce a dare. Il sistema marcio impostato oltre 40 anni fa, basato sul posto pubblico sugli assurdi livelli di potere tra lo Stato e l’ultima circoscrizione, non regge più l’evoluzione in atto nel mondo. Una lotta di classe tra che sorregge il “cappio della burocrazia” e chi ogni giorno corre per non metterci dentro la testa
Giuseppe
Mi ero ripromesso di votare Renzi a vita se avesse ottemperato a quella che era stata la sua prima promessa: semplificare la burocrazia. Dopo averlo visto all’opera è chiaro che non avrà mai il mio voto. Non solo per questo, ma soprattutto per questo.
Achille
Leggi ad hoc per “tassare” la povera gente. Vedere la novità delle certificazioni per gli splitter dei condizionatori.
La regulatory inflation/pollution esistono in quanto strumenti efficaci per i mantenimento di strutture non produttive e ridondanti.
Se non si incentivano le imprese private, ci toccherà fare la fine della Grecia: tutti assunti nello Stato e falsificazione dei conti per tenere in vita la baracca.
Danilo
Questo bell’articolo chiarisce perché le grandi riforme sulle quali il nostro ceto dirigente politico e non continua ad affannarsi da decenni non portano mai se non a miseri risultati inavvertibili dal cittadino medio. Senza una PA che funzioni come accade negli altri paesi civili Europei e non, non si va da nessuna parte. Ovvero si va sempre più verso un progressivo scollamento fra cittadini e Stato e si aprono le porte a ogni sorta di sguaiata corsa al potere che data la situazione offre mille strade per fare della sua gestione “cosa nostra” come si puo verificare ogni giorno a ogni livello. In un paese civilmente fragile come il nostro le conseguenze politiche possono essere imprevedibili. Una PA che funziona al servizio della collettività è la condizione essenziale e necessaria per il funzionamento di ogni altro aspetto della vita di un paese.
Nicolas
Stiamo nell’argomento con l’auspicio che qualcuno intraprenda seri provvedimento verso quell’ inadeguato dirigente dell’agenzia delle entrate che ha determinato la delibera che ha dato origine al comunicato stampa del 02/07/2015 (chi mi spiega la valenza legale di questo atto ?) con il quale ha abbassato la detrazione forfettaria per gli autotrasportatori, pensate un po, per il 2014. Una barzelletta.
Nicolas
Una problematica da non sottovalutare è l’incompetenza dei redattori delle norme, sopratutto nella materia fiscale, che necessitano di interpretazioni, chiarimenti, circolari,utili ad alimentare il caos ed apparentemente immenso della vita dei regolatori
Nicolas
Da non trascurare le incompetenze del redattore delle norme che richiedono successive, contrastanti, opportunistiche, circolari e chiarimenti che delegano, di fatto, l’esautorazione del legislatore.
alessandro marzocchi
Il problema è una migliore efficienza del privato sul pubblico (Achille), ed anche l’incompetenza di chi scrive le norme (Nicolas). Culturalmente, siamo imbevuti di privilegi: non ci piace applicare le leggi ma “interpretarle”, la nostra cultura ci spinge a leggi “interpretabili” nel senso di “troppo” equivoche e/od ipocrite. Non chiediamo rendiconti (accountability) perchè non vogliamo darne: ogni italiano vuole essere, si sente, “fuori legge”.
Apprezzo l’impegno di Vitalba Azzollini e condivido le sue conclusioni ma temo che sia una battaglia che vogliamo non combattere. Ovviamente spero di sbagliare r mrl mio piccolo lavoro per una cultura meno individualista e più attenta a creare valori sociali, che riconosco il valore (anche economico) delle regole e del loro rispetto.
bob
“…meno individualista e più attenta a creare valori sociali” . Esattamente la formula che ha creato la burocrazia cioè: quella del 6 politico e del livellamento al ribasso.