La legge prevede che se durante un’indagine emergono reati tributari, si raddoppiano i termini per l’accertamento. L’amministrazione ha però fatto un uso improprio della norma. Il governo è pronto a varare alcune precisazioni sul tema. Con effetti positivi anche sulla voluntary disclosure.

Un raddoppio mal utilizzato
Acquisiti i pareri delle commissioni parlamentari, il governo può finalmente varare il decreto sulla certezza del diritto che contiene la nuova disciplina sul raddoppio dei termini per l’accertamento. Si tratta di un passaggio chiave per l’effettivo decollo dell’operazione voluntary disclosure.
Oggi infatti la procedura resta al palo, perché se fatti configurabili come reati tributari emergono dopo lo scadere del termine ordinariamente previsto per l’accertamento, il termine stesso si raddoppia. La norma aveva l’obiettivo di offrire all’amministrazione finanziaria una scadenza più lunga per consentirle di procedere alle sue contestazioni nel caso in cui da indagini extratributarie emergessero fatti rilevanti come reati, ma di interesse anche ai fini dell’accertamento tributario. Si trattava, in sostanza, di fare sì che un comportamento potenzialmente oggetto di sanzione penale potesse essere valutato anche in sede tributaria, per non disperderne il potenziale contributo alle spese pubbliche.
Sennonché l’utilizzo che l’amministrazione ne ha fatto ha dato luogo a più di una perplessità. In particolare, forte di una certa opacità della norma, nei fatti l’amministrazione ha raddoppiato sistematicamente il termine ordinario per l’accertamento (quattro anni, che diventano cinque nell’ipotesi di dichiarazione omessa), sollevando – anche strumentalmente – contestazioni che avevano rilevanza penale: un’eventualità non difficile viste le soglie di punibilità davvero basse per imprese di medio-grande dimensione. E lo ha fatto spesso per rimediare a proprie inefficienze interne.
Occorreva, quindi, porre rimedio a questa situazione. La bozza di decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 20 aprile scorso disponeva già che si poteva dar luogo al raddoppio dei termini solo se la contestazione avente rilevanza penale fosse stata sollevata – dall’Agenzia delle entrate – entro il termine ordinario. Le commissioni parlamentari intervengono oggi per precisare che la contestazione del fatto (penalmente rilevante) che fa scattare la proroga del termine possa essere sollevata anche dalla Guardia di finanza. Insomma, il periodo di accertamento va rispettato dalla pubblica amministrazione e non violentato per proprio comodo. Ma se nel corso dell’accertamento esso emergono fatti gravi (e il compimento di un reato certamente lo è), che richiedono un approfondimento, ci sono motivi per ampliarlo. Precisazioni, quindi, opportune che recepiscono appieno la ratio legis e come tali vanno condivise.
Gli effetti sulla voluntary disclosure
Peraltro, le stesse precisazioni risolvono una questione avvertita come decisiva nel decollo della voluntary disclosure. Questa è basata, infatti, sull’esistenza di una situazione di irregolarità fiscale, penalmente rilevante, che viene sanata attraverso la procedura in questione. E la sanatoria opera a condizione che vengano assolti – per intero – tutti i tributi dovuti per le annualità i cui termini di accertamento non siano prescritti. Sennonché l’attuale formulazione della norma sui termini fa sì che, all’emergere di fatti penalmente rilevanti (elemento scontato nella voluntary disclosure), il loro arco di durata si raddoppi. Ne consegue che, rebus sic stantibus, le annualità da coprire mediante utilizzo della voluntary disclosure sarebbero sistematicamente almeno otto (nel caso di dichiarazione infedele) oppure dieci (se le dichiarazioni relative non sono mai state presentate). È evidente che più sono le annualità da sanare, maggiori sono i costi di un’operazione già di per sé piuttosto onerosa e anche preoccupante sotto il profilo dell’individuazione della documentazione necessaria per poter correttamente adempiere alle sue prescrizioni.
In conclusione, mi pare che la precisazione sul momento in cui devono intervenire le iniziative degli organi preposti alla tutela dell’ordinamento tributario per legittimare il raddoppio dei termini per l’accertamento sia opportuna e condivisibile in sé. Se poi ne scaturisce un miglioramento della prospettiva per la sanatoria disposta con la voluntary disclosure, tutto sommato si continua ad andare nella direzione giusta, posto che l’estensione del periodo di sanatoria non rientrava certo nella volontà del legislatore ed emerge più da una formulazione carente della norma originaria, che da un’effettiva volontà penalizzante.

Leggi anche:  Dall'Ace alla mini-Ires: per le imprese non è un affare

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Iup per un cambio di prospettiva nella fiscalità italiana