Il decreto legislativo di riordino della normativa sui servizi per il lavoro e le politiche attive propone un nuovo modello di organizzazione del mercato del lavoro, costruito sulla centralità delle strutture pubbliche. Ma i suoi strumenti restano ancorati all’ambito delle politiche passive.
I servizi per il lavoro secondo il decreto
Lo schema di decreto legislativo di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, trasmesso alle Camere per il prescritto parere, propone un nuovo modello di organizzazione del mercato del lavoro, costruito sulla centralità delle strutture pubbliche dei servizi al lavoro, e disciplina nel dettaglio il quadro regolatorio di riferimento. Definisce, infatti, l’articolazione organizzativa delle strutture che costituiranno le “rete nazionale” dei servizi per le politiche del lavoro, ripartisce le funzioni e le competenze tra il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’istituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) e le regioni e ne elenca le attività.
In linea generale, al ministero del Lavoro e delle politiche sociali riserva il potere di definire le linee di indirizzo triennali, gli obiettivi annuali e il livello minimo delle prestazioni in materia di politiche del lavoro.
All’Anpal, assoggettata allo stesso potere di indirizzo e di vigilanza del ministero, viene riservato il coordinamento dei servizi all’impiego e la definizione dei loro standard di servizio.
Alle regioni vengono confermate le competenze su programmazione, funzioni e compiti amministrativi in materia di politiche attive del lavoro. Dovranno però costituire propri uffici territoriali aperti al pubblico, denominanti centri per l’impiego.
L’articolo 18 dello schema di decreto elenca puntualmente anche le attività che dovranno essere eseguite dai nuovi centri per l’impiego, che costituiranno i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale. Le attività integrate rivolte ai disoccupati, ai disoccupati parziali e a rischio disoccupazione vanno dall’orientamento di base, all’analisi delle competenze e degli eventuali fabbisogni in termini di formazione o esperienze di lavoro, fino ad altre misure di politiche attiva, all’ausilio alla ricerca di un’occupazione, all’orientamento individualizzato, all’accompagnamento al lavoro, alla promozione del tirocinio.
Inoltre, solo i centri per l’impiego potranno convocare i lavoratori disoccupati per confermarne lo stato di disoccupazione e per stipulare un patto di servizio personalizzato, con cui verranno concordate le attività finalizzate al reinserimento e la tempistica degli incontri finalizzati a verificare l’effettiva ricerca attiva di lavoro.
Correlativamente, il decreto abroga quella previsione del decreto legislativo 181/2000 che definiva come servizi al lavoro competenti sia i centri pubblici per l’impiego, sia gli altri organismi autorizzati o accreditati dalle regioni e dalle province autonome e prevede l’istituzione di un albo nazionale di soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro.
Tuttavia, viene previsto che le regioni possano definire specifici regimi regionali di accreditamento di servizi per l’impiego privati, che possono essere coinvolti nelle previste attività di politica attiva del lavoro, mediante meccanismi di quasi mercato.
La questione dell’assegno
L’impianto neo-centralista è così contemperato con la previsione dell’intervento di soggetti privati, a cui viene però sottratta la pari dignità con i servizi pubblici riconosciuta invece dalla previgente disciplina del mercato del lavoro. Infatti, non è previsto che i servizi privati possano stipulare il patto di servizio personalizzato, non vengono coinvolti nel rafforzamento dei meccanismi di condizionalità delle politiche passive e non possono rilasciare l’assegno di ricollocazione.
Anche per questa specifica misura, infatti, è prevista la centralità del Cpi, sia con riferimento alla stipula del patto di servizio che con riferimento all’attivazione dei meccanismi di condizionalità.
In linea più generale, l’assegno di ricollocazione rischia di rappresentare la grande occasione mancata per spostare l’asse dell’intervento pubblico dalle politiche passive a quelle attive. Certamente, la scarsità delle risorse disponibili non avrebbe consentito di configurarlo immediatamente come una misura universale di politica attiva.
Tuttavia, si sarebbe potuto scegliere di indirizzare la condizionalità di tutte le misure di politica passiva alla partecipazione alla politica attiva finanziata con l’assegno individuale di ricollocazione. In questo modo, il beneficiario avrebbe perso la misura di integrazione del reddito in caso di rifiuto immotivato del percorso di politica attiva e dell’offerta congrua. Invece, il provvedimento trasmesso alle Camere configura l’assegno di ricollocazione come una misura destinata ai disoccupati di oltre sei mesi, il cui percorso di inserimento o reinserimento si aggiunge, si sovrappone e si confonde con le stesse diverse condizionalità delle politiche passive.
* Direttore generale di “Istruzione, formazione e lavoro” della Regione Lombardia
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Davide
Articolo scritto troppo in burocratese da un addetto ai lavori per altri addetti ai lavori. Non é informazione. Niente contro l’autore, ovviamente.
Carlo
Dopo aver letto, pensavo di non aver capito niente io, invece….