Si può tracciare un parallelo tra gioco d’azzardo e finanza? Come l’azzardo si diffonde tra gli strati della popolazione con le più basse opportunità di miglioramento economico e sociale, così la finanza tossica crea l’illusione della crescita. In entrambi i casi, il prezzo da pagare è alto.
I numeri in gioco
Se la diffusione del gioco d’azzardo legalizzato è un fenomeno globale, la dimensione raggiunta in Italia è di assoluto rispetto. Le somme giocate, pari a 84 miliardi di euro nel 2014, rappresentano il 21,5 per cento del totale mondiale e si traducono in 17,5 miliardi di euro di perdite per i consumatori italiani. Di queste, poco meno di 8 miliardi di euro sono incassi per l’erario.
Le ragioni di un tale successo sono principalmente da ascrivere alle liberalizzazione del decennio scorso che hanno consentito alle slot machine di colonizzare i luoghi primari della socialità (come bar e circoli ricreativi).
L’azzardo è un fenomeno economico interessante anche perché consente di osservare amplificati alcuni elementi alla base della crisi che attraversa la società contemporanea. Non è soltanto la pervasività degli elementi e delle tecniche di gioco nei contesti economici più disparati (la cosiddetta «gamification» delle strategie di marketing e di comunicazione) e non è nemmeno l’analogia tra il linguaggio della finanza e quello dell’azzardo, che nel caso dei prodotti strutturati venduti alla clientela retail è molto più che tale. C’è qualcosa di più profondo che la massificazione del gioco d’azzardo aiuta a mettere in luce. E che riguarda le contraddizioni tra la libertà di scelta e la protezione del consumatore, tra l’idea di comunità e la prevaricazione dei più deboli, tra la generazione artificiale di rischio e la effettiva vitalità delle economie finanziarizzate.
Consumatori e principio della “informazione trasparente”
Il gioco d’azzardo colpisce gli strati più fragili e poveri della popolazione, come aveva già denunciato Matilde Serao. Oltre alle motivazioni sociali e antropologiche, non è estraneo al suo successo un profondo analfabetismo “finanziario”, che in Italia si somma a un preoccupante analfabetismo di ritorno, confermato nella sua gravità da numerose indagini sulla financial literacy (http://gflec.org/).
Se il gioco d’azzardo di massa testimonia, tra le altre cose, una diffusa ignoranza probabilistica, per altre tipologie di prodotti, come quelli finanziari complessi dove le strutture probabilistiche rivestono una importanza decisiva, è allora sufficiente pubblicizzarne, in maniera esaustiva e trasparente, le caratteristiche tecniche? Il problema è estremamente serio e iniziano a porselo le autorità che regolamentano i mercati. In una recente comunicazione della Consob, volta a limitare l’offerta di prodotti finanziari complessi alla clientela retail, si legge: “Gli obblighi di trasparenza hanno limitati effetti nel mitigare il divario cognitivo tra gli intermediari finanziari e i loro clienti retail, in quanto quest’ultimi sono normalmente dotati di una bassa cultura finanziaria che non consente loro di valutare la qualità dei prodotti d’investimento offerti” . Nel caso del gioco d’azzardo, come in quello del risparmio, è evidente che, se esiste un potenziale conflitto d’interesse tra “produttori” e “consumatori”, politiche di protezione del consumatore basate su principi come l’auto-regolamentazione e la responsabilizzazione del cliente hanno poca efficacia con un divario di conoscenze così ampio.
Per colmarlo, andrebbe promossa senza indugio l’educazione finanziaria, ma è evidente che i suoi effetti benefici su larga scala si vedranno solo nel lungo periodo. La direttiva “Mifid 2” cerca proprio di colmare le lacune create da una regolamentazione che ha fatto in passato troppo affidamento sull’idea che l’“homo oeconomicus”, razionale e con capacità di calcolo infinite, rappresenti bene il consumatore medio. Auguriamoci che venga recepita presto e bene nella legislazione italiana e auguriamoci che qualcosa di analogo venga sviluppato anche per regolamentare e proteggere i consumatori di gioco d’azzardo.
La società del rischio artificiale
Il parallelo tra gioco d’azzardo e finanza consente di arricchire l’analisi della “società del rischio”. Con questo termine Ulrich Beck, negli anni Ottanta, volle definire il modo con cui le società e gli individui rispondono alle incertezze causate dalla “modernità”. Se guardiamo agli ultimi trenta anni, la volatilità dei mercati finanziari è andata effettivamente aumentando, riverberandosi sull’economia reale e producendo crisi che nel 2008, con il fallimento di Lehman Brothers negli Usa, e nel 2011 con la crisi del debito sovrano in Europa, hanno rischiato di travolgere l’intero sistema economico internazionale.
Ma il mondo è diventato veramente un posto più “rischioso” rispetto a quanto non fosse negli anni Ottanta? Difficile crederlo, se si guarda all’evoluzione delle grandi variabili geopolitiche, al progresso tecnologico e ai grandi processi storici di integrazione e di pace che caratterizzano aree sempre più vaste del pianeta.
In realtà, quello che si è osservato è un progressivo raffreddamento del potenziale di crescita dei paesi sviluppati e un rallentamento sempre più marcato della mobilità sociale. Non si vogliono discutere in questa sede le motivazioni demografiche, distributive o istituzionali di questi trend. Tuttavia, preme osservare che la risposta alla stagnazione secolare e al blocco dell’ascensore sociale non è stato un cambio di sistema di valori, economici e culturali.
Come l’azzardo si diffonde tra gli strati della popolazione con le minori opportunità di miglioramento economico e sociale, così la finanza tossica crea l’illusione di una crescita che finisce poi per infrangersi contro il muro della realtà. Sia a livello personale che collettivo, il prezzo da pagare è quello di un’iniezione sempre più potente di “rischio artificiale”.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Franco Broccardi
assurdo questo nostro Stato biscazziere che guadagna sui vizi (su qualcuno di più e su altri meno), che vieta la pubblicità delle sigarette ma permette quella del gioco d’azzardo, che ci chiede di bere responsabilmente ma irresponsabilmente, girando la testa e allungando la mano, lascia che le persone si rovinino con le proprie mani. Assurdo uno stato moralista che non tassa la prostituzione ma per soldi accetta molti compromessi e si diverte con il gioco. Uno Stato che fuma e beve, a giudicare da come scrive le proprie leggi. Che non tassa le stesse cose allo stesso modo: i guadagni di borsa e le vincite al gioco, ad esempio.
https://studiolombarddca.wordpress.com/2015/02/02/delitto-imperfetto/