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Così cambiano le politiche attive del lavoro *

Nasce l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, arriva l’assegno di ricollocazione e mutano alcune caratteristiche del rapporto pubblico-privato nella fornitura dei servizi. Cosa determinerà il successo dei nuovi strumenti e quale sarà il costo per lo Stato.

Il decreto legislativo
Il decreto legislativo di riordino della normativa sui servizi per il lavoro e le politiche attive compie tre scelte importanti che riguardano la governance della neonata Agenzia delle politiche attive; le caratteristiche del rapporto pubblico-privato nella fornitura dei servizi al lavoro; l’introduzione di un nuovo strumento di politica attiva, l’assegno di ricollocazione.
Nel rispetto del vincolo finanziario di non imporre maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’Agenzia prende forma attraverso la fusione della direzione delle politiche attive del ministero del Lavoro (contestualmente soppressa al ministero) con Italia Lavoro e Isfol. Isfol rimane in versione più piccola come nucleo di valutazione delle politiche pubbliche. Italia Lavoro – commissariata dal presidente Anpal – fornisce ora servizi in convenzione, in genere di supporto alle politiche attive nelle regioni. La scelta della governance pubblica può essere accusata di conservatorismo, ma la novità della gestione dovrebbe essere garantita da un presidente esterno nominato dal ministro per tre anni.
Le funzioni della nuova agenzia corrispondono a quelle del ministero, a cui si aggiungono però alcune novità importanti. La prima riguarda il coordinamento di politiche attive e condizionalità dei sussidi di disoccupazione: molto più di prima il sussidio di disoccupazione è condizionato alla attiva ricerca di un lavoro. La condizionalità viene gestita dei centri pubblici dell’impiego, che sono gli unici titolati a privare i disoccupati del diritto al sussidio in caso di non accettazione di offerte di lavoro congrue. È vero che la condizionalità in teoria esiste già e non ha mai funzionato, ma ora, in ausilio dei centri dell’impiego, intervengono anche le agenzie private, che segnalano la non accettazione di offerte congrue che non permettono loro di incassare l’assegno di ricollocazione.
Le altre novità riguardano l’accreditamento nazionale dei privati titolati a gestire politiche attive e la valutazione dei loro risultati nella ricollocazione dei disoccupati, in capo all’Anpal.
In ultimo, tra le funzioni più importanti c’è la definizione della procedura di “profilazione” dei disoccupati ai fini della loro assegnazione a una classe di occupabilità e la determinazione dell’ammontare del loro personale assegno di ricollocazione attraverso una procedura automatizzata.
Il ruolo di centri, agenzie e disoccupati
Il decreto disegna un sistema in cui i centri dell’impiego (che notoriamente sono a corto di personale e risorse) svolgono il compito essenziale di “profilare” il disoccupato e di stringere con lui un patto di servizio in vista della gestione della condizionalità. Queste funzioni sono completamente automatizzate proprio per alleviare il peso della burocrazia. Anche la registrazione dello stato di disoccupazione è automatica e da oggi non è più necessaria per fruire di altri servizi, quali case popolari, ticket Asl e altro. Inoltre, tutti questi servizi possono essere forniti in regime di quasi-mercato, per salvaguardare le regioni che già hanno adottato questo sistema (non sembra quindi giustificata la critica di Gianni Bocchieri. I centri dell’impiego si limitano ad assegnare gli assegni di ricollocazione dopo sei mesi di disoccupazione e a gestire il meccanismo della condizionalità.
Il lavoratore che si fa profilare e assegnare a una categoria di occupabilità ha diritto, dopo sei mesi di sussidio di disoccupazione (Naspi), a un assegno da spendere presso una delle agenzie del lavoro accreditate a livello nazionale (o direttamente presso i pochi centri dell’impiego che fossero in grado di fare ricollocazione). L’assegno può essere riscosso prevalentemente a «risultato ottenuto» cioè a disoccupato ricollocato. L’agenzia ha l’obbligo di fornire servizi di ricollocazione adeguati e il lavoratore ha l’obbligo di collaborare col tutor. L’agenzia segnala al centro per l’impiego i casi in cui il disoccupato non accetta una congrua offerta di lavoro – impedendo così all’ente accreditato di portare a termine il lavoro di ricollocazione e di incassare l’assegno..
Il costo di un successo
Almeno all’inizio, il successo dell’Anpal si gioca sulla gestione dell’assegno di ricollocazione, che ha una sua dotazione finanziaria autonoma, ma che nei prossimi anni andrà pagato con le risorse dei programmi operativi nazionali e regionali cofinanziati con fondi strutturali europei. E solo la collaborazione tra regioni e agenzie private può garantirne il successo, in attesa della modifica costituzionale su competenza delle politiche attive e trasferimento dei centri per l’impiego pubblici dalle provincie alle regioni. Qui diventano quindi cruciali i dettagli su quanti assegni di ricollocazione emettere e dopo quanto tempo trascorso in disoccupazione.
La tabella sotto indica che nel gennaio 2013 vi erano circa 250mila disoccupati in Aspi da più di sei mesi e 460mila da più di quattro mesi. A questi va aggiunto il flusso dei nuovi disoccupati di ogni mese: la tabella indica che sono circa 70mila, di cui 25mila trovano spontaneamente lavoro entro i sei mesi successivi (solo 16mila trovano lavoro entro tre mesi). All’assegno di ricollocazione avrebbero dunque diritto circa 45mila persone ogni mese se concesso dopo sei mesi di Aspi e 54mila se riconosciuto dopo quattro mesi.
Ovviamente, non tutti gli aventi diritto chiederanno l’assegno né tantomeno verranno ricollocati (e quindi l’assegno non potrà essere incassato). Ma gli effetti sulle finanze pubbliche e sullo sviluppo del mercato degli enti accreditati saranno molto diversi a seconda delle scelte compiute sulla platea degli aventi diritto. Se si assume un assegno di ricollocazione medio di circa 2.500 euro (l’ammontare varierà a seconda della fascia di occupabilità e della regione), si può facilmente capire che il potenziale di impatto e di spesa è assai rilevante.
Tabella 1 – Evoluzione mensile per generazioni di beneficiari di disoccupazione non agricola/Aspi, per tempo di reimpiego (valori assoluti)
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(**) Per il mese di gennaio si considera il numero di beneficiari di disoccupazione non agricola/AspiI suddivisi in classi di durata in disoccupazione, mentre nei mesi successivi si considerano solo i nuovi entranti nella prestazione rispetto al mese precedente. Fonte Inps.
* L’autore è consulente del ministero dell’Economia e delle Finanze, ogni opinione è strettamente personale.

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Vocecomics del 3 luglio

  1. GIOVANNI MEREU

    DOTT LEONARDI CONDIVIDO LA SUA ANALISI MA DOBBIAMO STARE ATTENTI ALLE POCHE PAROLE DEDICATE AD ITALIA LAVORO CHE MERITA UNA RIORGANIZZAZIONE MA NON UNO SCIOGLIMENTO, CHE MERITA UNA SEVERITA’ NELLA DISCIPLINA DELLE ATTIVITA’ AFFIDATE MA NON LA SVENDITA DI OTTIME PROFESSIONALITA’ E DI UN RUOLO, PIACCIA O MENO, ATTESTATO SUL TERRITORIO ANCHE A SUPPORTO DEI CENTRI PER L’IMPIEGO. CI DIA UNA MANO A VALORIZZARE QUANTO DI BUONO C’E’ E A FAR SI CHE GLI APPARATI BUROCRATICI RISPETTINO DEI PROFESSIONISTI DI VALORE CHE PERO’ NON SONO ABITUATI A STRILLARE IN PIAZZA. CORDIALI SALUTI GIOVANNI MEREU

  2. Ivo

    Gentile Leonardi, come dipendente di Italia Lavoro mi permetto di correggerla.
    Italia Lavoro viene purtroppo soppressa, liquidata e non partecipa ad alcuna fusione con l’agenzia AnPal. Ipotetiche “convenzioni” sono previste solo per alcuni progetti che scadono a dicembre 2016 e verranno fatte solo se l’Agenzia non riesce a liquidare prima Italia Lavoro e ad avocare a sé i progetti stessi.
    Quindi l’agenzia nascerà con un certo numero di dipendenti del Ministero ed un po’ di ricercatori di Isfol (che vorrebbero giustamente continuare a fare ricerca). Nell’agenzia non ci saranno quelle competenze operative finora esercitate dall’ente strumentale Italia Lavoro. Insomma, è un quadro diverso da quello che lei descrive.
    Nota a margine: per i dipendenti di Italia Lavoro, circa 400 a tempo indeterminato e 800 co.co.pro, il Governo non ha voluto prevedere alcuna clausola di salvaguardia nel decreto, nonostante tutte le possibili sollecitazioni da parte dei lavoratori. Traduzione: licenziamento per tutti e dispersione delle competenze.
    Siamo da settimane in agitazione, con scioperi e presidi, nel disinteresse di tutti. Anche di quelli che, in buona fede, leggono il decreto cercando di capire il quadro complessivo senza dover badare alle virgole e agli aggettivi malandrini, come purtroppo abbiamo dovuto fare noi!
    Cordiali saluti.

  3. Gianni Bocchieri

    Ringrazio il professor Marco Leonardi tre volte.
    La prima per avermi citato.
    La seconda per aver confermato la mia ricostruzione interpretativa del nuovo modello di organizzazione del mercato del lavoro proposta dal Jobs Act: un modello neo-centralista incardinato sui centri per l’impiego a cui vengono riservate funzioni esclusive (attivazione del patto di servizio, profilazione, gestione della condizionalità, concessione dell’assegno di ricollocazione) e che possono essere affiancati dai servizi privati al lavoro per tutti gli altri servizi specialistici, con meccanismi di quasi-mercato.
    La terza per aver esplicitato che il modello di quasi-mercato del Jobs Act è un modello di mercato del lavoro “complementare” e non è un modello “competitivo” in cui soggetti pubblici e soggetti privati accreditati concorrono, con pari dignità, per la ricollocazione dei disoccupati nel mercato del lavoro, valutabili entrambi per la loro capacità di raggiungere esiti occupazionali.
    Sulla sostenibilità economica del modello, il Prof. Leonardi merita una risposta più articolata, che si rimanda ad altre occasioni per ragioni di spazio.
    Giuste o sbagliate, si tratta di scelte della cui valutazione s’incaricheranno i fatti.
    Al momento, possiamo dire che fino al 1997, con un mercato del lavoro centralista e statalista, abbiamo avuto il peggior mercato del lavoro dei paesi industrializzati. Speriamo che anche chi conosce la Storia non sia costretto a riviverla.

  4. Maurizio Sorcioni

    Egregio Prof. Leonardi concordo con la sua valutazione sul decreto. Tuttavia mi permetto di dissentire sul fatto che il successo dell’ANPAL si gioca sulla gestione dell’assegno di ricollocazione. Magari fosse così! L’ANPAL, insieme alle Regioni, nei prossimi mesi dovrà garantire che tutti i beneficiari di indennità di disoccupazione (inclusa la Mobilità e la Dis.Col), entro trenta giorni dalla data di decorrenza della prestazione, vengano convocati dalle strutture competenti per stilare un patto di servizio personalizzato, che prevede la partecipazione effettiva a misure di politica attiva. Stesso percorso va garantito ai disoccupati non percettori di sostegno al reddito entro sessanta giorni. Poi ci sono i giovani registrati in Garanzia che ancora non hanno ancora fatto il piano di inserimento. Si tratta di una platea “parziale” (mancano i disoccupati parziali appunto) che potrebbe raggiugere e superare i due milioni. E’ sulla gestione di questi numeri che si gioca il successo della nuova Agenzia! Infine mi permetta di sottolineare che l’Assegno di ricollocazione è riservato a tutti i disoccupati da più di sei mesi (articolo 19 comma 1), ed anzi, in linea di principio dovrebbe essere riservato proprio ai disoccupati adulti non beneficiari di sostegni al reddito. Sarà da capire, semmai, cosa succederà quando, per l’inefficienza delle regioni o per mancanza di risorse non sarà possibile garantire ai disoccupati i nuovi diritti introdotti dal Jobs Act.

    • Luigi Oliveri

      Pare evidente che lo schema di decreto abbia poca capacità di incidere sulle politiche del lavoro. Al netto delle disquisizioni su centralismo o non centralismo, la riforma si impernia molto sul contratto di ricollocazione. L’articolo del Leonardi dimostra che si tratta di una sperimentazione, basata sulla scommessa che ad aver diritto all’assegno siano in pochi. Il problema vero è che, Agenzia o non agenzia, regioni o province o qualsiasi altro ente risulti competente, se per l’inserimento lavorativo occorrono circa 3.000 euro in media, la spesa per sostenere l’incontro domanda offerta, dovrebbe essere di circa 9 miliardi, visto che abbiamo 3 mln di disoccupati. Ma, 9 miliardi per le politiche attive del lavoro li spende la Germania. In Italia spendiamo solo 700 milioni. Se non si modifica il quadro della spesa, nessun modello teorico ed organizzativo potrà migliorare di molto la situazione attuale.

  5. Gentilissimo Dott. Leonardi.
    Sono d’accordo con Lei che il successo dell’ANPAL verrà determinato in base dai risultati che i privati riusciranno a portare.
    Pochi sono i modelli regionali che hanno saputo cogliere questa opportunità. Nell’esperienza fatta in questi anni abbiamo, però, pochi esempi di successo che non devono essere penalizzati. Mi auguro, come da lei già riportato, che davvero l’ANPAL permetta alle regioni virtuose di poter lavorare in continuità con quanto di buono fatto in questi anni.
    In termini operativi inoltre l’applicazione del decreto sulle politiche attive deve tener conto di alcuni punti critici di successo. Tra questi sicuramente prevedere che i privati possano (come prerogativa di fatto e non invece in maniera eccezionale) effettuare patto di servizio e profiling del soggetto da avviare ai servizi e ricollocare in maniera diretta e non mediata solo attraverso i CPI.
    Alessandro Borgialli

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