L’accordo tra Stato e regioni sulla sanità regionale prevede un taglio da 2,3 miliardi. Raggiunto per l’assenza del Veneto, rinvia tutte le questioni più spinose. Soprattutto prevede un aumento delle risorse per il 2016. E allora chi si metterà a tagliare oggi, quando domani potrà spendere di più?
Accordo sulla sanità regionale
L’attesa e l’incertezza rispetto alle conseguenze del referendum greco ha fatto passare sotto traccia l’accordo per il taglio di 2,3 miliardi di euro alla sanità regionale, siglato durante la Conferenza Stato-Regioni del 2 luglio.
L’accordo recepisce, almeno negli intenti, molte delle proposte già formulate prima delle elezioni regionali del mese scorso e poi a lungo scomparse proprio a causa di queste (link Turati 26 maggio). Ed è stato raggiunto in primo luogo perché il Veneto — contrario all’intesa, un mese fa per la logica di tagli lineari che sottende l’accordo, oggi pare per ragioni politiche (un fantomatico asse del Nord con Lombardia e Liguria) – non ha partecipato al voto. Ma anche perché rinvia le questioni più spinose.
In realtà, nessuno, governo compreso, sembra davvero credere ai risparmi da realizzarsi nel 2015, tant’è che nell’accordo c’è la promessa di un aumento delle risorse a disposizione del sistema sanitario nazionale: da 109,715 miliardi di euro per il 2015 a 113,097 miliardi per il 2016, il 3 per cento in più dopo anni in cui il finanziamento si è ridotto in termini nominali. Un bel ripiano preventivo, non c’è che dire.
Che cosa si è davvero deciso? Non ci sono ancora tabelle con i numeri regione per regione. Ma le misure più importanti previste per garantire i risparmi riprendono le indicazioni del gruppo di lavoro sulla spending review (link Turati 8 aprile) e si declinano lungo quattro direttrici: acquisto di beni e servizi; appropriatezza delle prestazioni; riorganizzazione della rete ospedaliera; farmaceutica ospedaliera e territoriale. Per esempio, in merito al capitolo “beni e servizi” si richiede ad Asl e aziende ospedaliere di rinegoziare i contratti di acquisto di beni e servizi per ottenere un abbattimento su base annua del 5 per cento del valore complessivo dei contratti in essere. In caso di mancato accordo entro 30 giorni dalla proposta, Asl e Ao possono recedere dal contratto senza alcun onere in deroga all’articolo 1671 del codice civile. I problemi qui sono almeno due: da un lato, il 5 per cento previsto a inizio anno, con soli pochi mesi a disposizione, diventa una percentuale maggiore; dall’altro, è ragionevole pensare che le imprese fornitrici possano aggiustarsi in qualche modo, o attraverso azioni legali vere e proprie, o attraverso una modifica dei parametri di servizio. Senza contare la prevedibile eterogeneità dei comportamenti in termini di impegno a ottenere il risultato da parte dei direttori di Asl e Ao. Un problema che si ripresenta anche nel caso dei dispositivi medici, per i quali non viene stabilita una percentuale di abbattimento, ma resta un tetto nazionale al 4,4 per cento della spesa e si richiede alle imprese fornitrici di ripianare l’eventuale eccesso di spesa in ciascuna regione (il cosiddetto pay-back).
Prestazioni appropriate
Per quanto riguarda l’appropriatezza, si rinvia a decreti ministeriali l’individuazione delle condizioni di erogabilità e delle indicazioni prioritarie per la prestazione appropriata, sia per le prestazioni specialistiche ambulatoriali sia per i ricoveri di riabilitazione ad alto rischio di inappropriatezza. I decreti dovrebbero essere emanati dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Ma sulla possibilità di giungere rapidamente a una loro definizione pesa la responsabilità patrimoniale dei medici di base e, in subordine, dei direttori generali delle Asl, un punto sul quale regioni e governo continuano a litigare.
Il riordino della rete ospedaliera è basato sull’applicazione del nuovo regolamento degli standard ospedalieri (decreto n. 70/2015), con un richiamo esplicito per esempio alla riduzione delle strutture semplici e complesse e alla chiusura del rapporto con gli ospedali privati accreditati con meno di 40 posti letto per acuti. Il taglio del rapporto con i privati potrebbe fare nascere problemi di ricollocazione del personale di questi istituti, con oneri a carico della finanza pubblica almeno nel breve periodo.
Come cambiare rotta?
Per la farmaceutica, si richiede all’Aifa (Agenzia del farmaco) di rinegoziare i prezzi di rimborso con i fornitori e di definire quelli di riferimento, compresi i prezzi dei medicinali soggetti a procedure di rimborsabilità condizionata. Da questo complesso di manovre si attendono risparmi per almeno 500 milioni di euro. Ma anche per la farmaceutica si è deciso di non decidere, rinviando a un tavolo di lavoro che entro il 30 settembre 2015 dovrebbe definire una proposta di revisione delle norme per il governo dell’intera spesa per farmaci, pay-back incluso.
Sull’efficacia di queste misure per ottenere una spesa più efficiente (gli stessi servizi a costi ridotti) restano forti dubbi: i tempi sono molto stretti, l’accordo rinvia a ulteriori intese future per altri provvedimenti, soprattutto c’è l’aspettativa di maggiori fondi per l’anno prossimo. Un pessimo segnale per il sistema delle regioni: a queste condizioni chi si metterebbe davvero, dopo l’estate, a provare a fare qualcosa? Se si vuole cambiare rotta è necessario cominciare a distinguere, tra le regioni e dentro le regioni, chi ha già fatto i compiti da chi non ha nemmeno aperto i libri (contabili).
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Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell'European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica.
Gilberto Turati è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove coordina la Laurea Magistrale in Management dei Servizi e il Master in Economia e Politica Sanitaria di ALTEMS/Coripe presso il Campus di Roma. É vicedirettore dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Comitato Direttivo della Società Italiana di Economia Pubblica (Siep). Fa parte della redazione de lavoce.info, del comitato di redazione di “Politica Economica - Journal of Economic Policy” e del comitato di direzione del "Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo". È stato prima ricercatore, poi professore associato all’Università degli Studi di Torino. É stato membro del Board della European Public Choice Society (EPCS) per il term 2012-2015 e Presidente dell’Organismo Indipendente di Valutazione della Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino per il mandato 2019-2022.
bob
“…un fantomatico asse del Nord con Lombardia e Liguria”. Siamo “governati” da questi….serve ancora discutere?