Il nuovo articolo 2621 del codice civile sul falso in bilancio “assolve” anche una vasta platea di compilatori disonesti. Non era l’intenzione del legislatore. Così il governo torna sulla spinosa questione della “valutazione”. E in materia tributaria ristabilisce il principio della soglia.
Sanzioni penali per valutazioni erronee
Il nuovo testo dell’articolo 4 del decreto legislativo 74/2000, riapprovato dal Consiglio dei ministri del 4 settembre, dopo i pareri delle competenti commissioni parlamentari, ripropone la nota questione della rilevanza delle “valutazioni” per configurare una condotta passibile o meno di sanzione penale.
È un tema di particolare importanza per le società perché la redazione di un bilancio è ricca di voci oggetto di valutazione. A essere rigorosi, si potrebbe concludere che solo la voce “cassa” rappresenta un valore oggettivo, non suscettibile di alcuna ulteriore considerazione e, quindi, di “valutazione”. Financo il capitale sociale potrebbe non essere del tutto indenne da un approccio valutativo perché altro non rappresenta che la differenza fra i valori dell’attivo e quelli del passivo e tutti questi sono, in qualche misura, oggetto di valutazione.
Il contenuto di un bilancio è, quindi, così intensamente influenzato da meri ragionamenti idonei a motivare il numero finale che li esprime da non poter davvero ipotizzare che le erronee indicazioni che lo accompagnano possano avere, sempre e comunque, natura oggettiva. Ne consegue che la nuova versione dell’articolo 2621 codice civile – ove per qualificare un bilancio come “falso” si richiede esclusivamente l’esposizione di “fatti materiali non rispondenti al vero” – manda assolti una platea di disonesti compilatori di questo fondamentale documento davvero eccessiva.
I risultati si sono subito fatti vedere. La Cassazione ha di recente assolto i compilatori di un bilancio con sostanziose violazioni in materia di valutazioni assumendo che “i fatti in questione non sono più previsti dalla legge come reato” (Cassazione. 16 giugno 2015 n. 2151).
Questi “fatti” erano, nella precedente versione, previsti come reato (la formula, infatti era: “fatti (…) ancorché oggetto di valutazione”). Ma lo erano solo se superiori a certe soglie dimensionali. Si può discutere se le soglie fossero troppo generose o troppo insignificanti (come sosteneva il mondo dell’impresa medio-grande). Certo è che una valutazione, se errata per importo superiore a determinati volumi, dava luogo all’applicazione di una sanzione penale. Prescindo qui, volutamente, dal ricordare i meccanismi di attivazione dell’azione penale che pure la legge 69/2015 modifica.
Quando la dichiarazione dei redditi è infedele
Non era, probabilmente, la volontà del novello legislatore. Anzi la lettura della relazione all’articolato trasmesso al Senato fa pensare che l’eliminazione delle soglie fosse stata concepita in un’ottica addirittura iper-rigoristica, secondo cui qualsiasi erronea valutazione sarebbe dovuta sfociare in un bilancio falso. Ma quale che fosse l’effettiva voluntas legislatoris, sta di fatto che il testo pubblicato in Gazzetta ufficiale autorizza la lettura che ne ha appena dato la Cassazione. Come non vedere che passare da un estremo all’altro (errore nella valutazione sempre rilevante o sempre irrilevante) nasconde la sostanza della – certo non facile – tematica? Un conto sono gli errori commessi nel portare a termine un compito complesso e dichiaratamente soggettivo com’è il “valutare” qualcosa (un avviamento, un credito, un prodotto finanziario, la partecipazione in una start up). Altro è ignorare segni inequivoci (il fallimento di un debitore, la sconfitta in primo e secondo grado di una contestazione il cui controvalore è iscritto in bilancio). Nel primo caso, prevale la soggettività e l’ottimismo (o il pessimismo). Nel secondo, il vero e proprio nascondimento della realtà. Eccessiva la sanzione penale nel primo caso, opportuna, invece, nel secondo.
Sul tema interviene ora il Consiglio dei ministri del 4 settembre che prende in considerazione le modifiche al decreto che disciplina l’applicazione di sanzioni penali a violazioni di carattere tributario. E, fra gli altri, modifica sensibilmente l’articolo 4, la norma, cioè, che qualifica una dichiarazione (dei redditi, in questo caso) come “infedele”.
Ebbene, il nuovo testo si sofferma proprio sul tema della rilevanza delle valutazioni per stabilire che non sono sanzionabili gli errori nelle stesse qualora ci si riferisca a elementi: (i) effettivamente esistenti; (ii) i cui criteri di valutazione risultino indicati nella Nota integrativa ovvero (iii) in altra documentazione rilevante a fini fiscali.
Sono elementi, a tali fini: i beni, i crediti, i debiti, ma anche le partecipazioni e gli strumenti finanziari. Per le altre voci oggetto di valutazione –primi fra tutti i fondi e le voci di natura squisitamente tributaria – il fatto (la condotta) non è punibile se la differenza rispetto al valore corretto non supera il 10 per cento dello stesso.
Il legislatore tributario sembra dunque più attento a distinguere. Gli errori nelle valutazioni possono nascondere frodi grossolane (aver valutato beni inesistenti o aver sottaciuto beni esistenti) come tali da sanzionare al di sopra di certi livelli. Ma se si riferiscono a voci ordinariamente oggetto di discussione come il valore di un credito in cui occorre stimare la solvibilità – anche nel tempo – di un debitore non c’è sanzione penale, anche di fronte a una discutibile valutazione. Diversa è, poi, la congruità di un accantonamento per liti (attive e passive) in corso. Sanzione sì se non c’è adeguata menzione nei libri sociali e filtro (soglie di punibilità) che consenta di separare il grano dal loglio.
C’è solo da domandarsi se ha senso lo strabismo che depenalizza le erronee valutazioni nel bilancio civile e ne conferma, pur restrittivamente, la punibilità a fini penal-tributari.
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Michele
Da parte del legislatore un bel riferimento agli IFRS/italian gaap del OIC non era possibile? Invece che cercare di inventare la ruota…
Antonio Rossi
Forse non era la volontà del legislatore, ma sin dalla prima lettura in commissione della norma era emerso, non il rischio, ma la certezza che la novella arrecasse un favore ai falsificatori. Non meravigliamoci ora dell’interpretazione della Cassazione, s.v.p.
giorgio pezzuto
L’autore asserisce che non era volontà dei legislatori scrivere una nuova norma che pur essendo iper-rigorista sulla carta alla fine ha le maglie molto più larghe del testo precedente. Forse sarò smaliziato ma non penso che con tutti gli esperti avvocati, giudici, “persone di esperienza” su questo particolare reato che ci sono in Parlamento questo sia dovuto al caso. Per me era l’intenzione originale dei legislatori. Ed alcune forse di opposizione l’avevano segnalato per tempo.
AM
Tutti questi problemi nascono da diffidenza verso i magistrati che potrebbero appigliarsi alla legge per punire qualcuno che sta loro antipatico o assolvere qualcuno che sta loro simpatico.
Michele
Curioso che l’autore confonda il capitale sociale con il patrimonio netto…