Lavoce.info

Lo strano boom dell’import italiano

La revisione al rialzo delle stime di crescita per il 2015 non toglie che l’Italia cresce meno degli altri grandi paesi europei. Sta finalmente ritornando la voglia di spendere e investire. Ma in Italia consumi e investimenti sono soddisfatti da prodotti importati molto più che altrove.
L’Italia ora cresce di più ma sempre meno degli altri
Mentre il presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia in tv che il governo rivedrà al rialzo le previsioni sulla crescita 2015 al +0,9 per cento, è utile ricordare che l’eventuale +0,9 dell’Italia in Europa si confronta, sempre per il 2015,  con il +3,1 della Spagna, il +1,6 della Germania, il +1,2 della Francia e il +2,4 del Regno Unito. Insomma, l’Italia è tornata a crescere ed era ora. Ma continua a farlo più lentamente degli suoi partner commerciali. E’ dunque obbligatorio chiedersi perché ciò avvenga.
In un precedente articolo su questo sito ho mostrato che la ripresa italiana dei primi trimestri 2015 come quella del 2009-10 è associata ad un boom delle importazioni che appare inusuale se si guardano i dati delle riprese italiane precedenti. Potrebbe darsi che il mondo di oggi sia diventato più globale anche solo rispetto a quindici anni fa e che quindi importare di più sia naturale per tutte le economie che crescono. Entro una certa misura questo è vero. Ma il boom delle importazioni dell’Italia è più grande che altrove. Lo si vede da un confronto dei dati sulla ripresa italiana 2015 con quelli degli altri grandi paesi  europei.
Dalla tabella si vede che ciò che si sa: in Italia la ripresa è un fenomeno recente (solo due trimestri) e che deve irrobustirsi, mentre altrove è cominciata prima ed è più intensa. I dati di Spagna, Germania e Regno Unito colpiscono: in questi paesi la ripresa è in corso da due anni e più. E anche l’intensità della ripresa è ben maggiore che da noi (e in Francia): sia Pil che domanda interna privata (la somma di consumi e investimenti) crescono a Madrid, Berlino e Londra più rapidamente che da noi.
La domanda non diventa Pil perché si traduce in importazioni
Con questi numeri ci si aspetterebbe che – poiché viviamo in un mondo globale – le importazioni in questi paesi crescessero più rapidamente che in Italia. Avviene il contrario. In Italia le importazioni fanno +2 per cento per trimestre. In Francia la crescita dell’import è dell’1,6 per cento, mentre l’import tedesco e inglese sale solo dell’1,2 per cento. Nella Spagna che negli ultimi trimestri sta crescendo più rapidamente di tutti (a ritimi annuali del 3 pe cento), le importazioni crescono “solo” dell’1,5 per cento. Dividendo la crescita dell’import per la crescita della domanda interna privata si può anche calcolare una specie di moltiplicatore delle importazioni. In Italia questo moltiplicatore (di quanto salgono le importazioni per ogni unità di consumi e investimenti) vale 10, in Francia più di 5, in Spagna vale meno di 2.
daveri meglio
Cosa dice la tabella dunque? Dice che in paesi ugualmente esposti ai venti della globalizzazione (e anche facenti parte dell’euro zona, tranne il Regno Unito), la ripresa ora finalmente sperimentata da tutti presenta rilevanti differenze qualitative. In Italia la ripartenza della domanda (che c’è e si sta consolidando) sembra incontrare rilevanti vincoli dal lato dell’offerta, dato che – lo dicono i dati di contabilità nazionale – l’aumento della domanda interna sembra essere spesso soddisfatta da produttori esteri più che da produttori interni. Questo vincolo sembra essere meno rilevante negli altri paesi europei. Evidentemente il deprezzamento dell’euro di cui ha egualmente beneficiato la competitività di tutti i paesi dell’euro zona (dell’Italia – dice il Bollettino Economico della Banca d’Italia – per circa tre punti percentuali) non è sufficiente a rilanciare in modo più sostanzioso la competitività dei produttori italiani. Se le riforme in cantiere non riescono a far ripartire la produttività, migliorare la qualità della ripresa in atto sarà molto difficile.

Leggi anche:  Il "piano Milei" funziona

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Occupazione senza crescita, il puzzle del 2023

Precedente

Perché crescono le assunzioni *

Successivo

Il Punto

14 commenti

  1. La crescita delle importazioni più delle esportazioni deriva dall’effetto dei cambi fissi, l’economia italiana ha bisogno della svalutazione del cambio per ripartire, nei confronti dei paesi euro ciò non sarà mai possibile con la moneta unica. Dobbiamo rassegnarci nei rapporti commerciali intra paesi euro ad essere più produttivi degli altri paesi, mentre nei rapporti commerciali nei paesi extra euro, dobbiamo augurarci che la politica espansiva della Bce continui in modo deciso e forte senza tentennamenti, anzi deve essere aumentato il plafond mensili di acquisti.

  2. Marcello Romagnoli

    La ripresa si può ottenere anche evitando di precarizzare il lavoro con il Job Act, ma investendo in innovazione di prodotto e di processo, automazione.
    Il mondo imprenditoriale latita per quanto riguarda gli investimenti di questo tipo. E’ ora che la competitività e la produttività non vengano fatte riducendo i salari, allungando i tempi di pensionamento, con i demansionamenti, ma con gli investimenti.

    • lodovico

      Quello che manca, in Italia, è l’offerta. C’è una grande offerta di immobili e aumentano gli investimenti degli Italiani specie ricorrendo ai mutui che sono aumentati i modo impressionante. Quando c’è offerta c’è dalla parte opposta domanda….. certo tra chi vende e chi compra il prezzo è fondamentale; se in molti settori non c’è ripresa interna vuol dire che non esiste offerta di questi beni e li si deve comprarli all’estero dove sono venduti a prezzi minori.

  3. Roberto Boschi

    Caro professore, intanto grazie per la bella analisi.
    Avrei due osservazioni ed una richiesta fa farle. Sulla produttività: quanto incide l’effetto che Lei ha più volte studiato della sostituzione di lavoro a basso costo ad investimenti in rinnovo di impianti e/o in R&D? E’ un fenomeno che continua e che, anzi, con l’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, si sta incrementando (magari le imprese stanno tesaurizzando i maggiori profitti anziché investire) o no?
    Le osservazioni. 1 – Noi siamo un paese di trasformazione: andrebbe visto in effetti quanto dell’import va in consumi e quanto (semilavorati) finisce in prodotti poi esportati visto che , mi sembra, le partite correnti (ultimo dato disponibile luglio sul sito Bankitalia) fanno registrare il max surplus da anni . 2 – Il crollo di oltre il 25% della produzione industriale dai livelli 2007 può avere definitivamente estromesso la ns industria da interi settori per i cui beni oggi non rimane che l’import (Consumer Tech, Tessile low & medium price, ecc).
    Grazie in anticipo per le risposte che vorrà dare.

  4. Rainbow

    E’vero che cresciamo meno degli altri paesi europei,ma questo e’sempre accaduto negli ultimi 20 anni! Nell’ultimo trimestre,però,la Francia e’cresciuta meno di noi,ossia 0, mentre noi + 0,3%! Il motivo della bassa crescita italiana degli ultimi 20 anni risiede principalmente,lo riconosce persino il post-Keynesiano Krugman,nella minore produttivita’italiana rispetto a quelli degli altri competitor europei. Per invertire la tendenza occorre aumentare la produttivita’che dipende da vari fattori; non esiste la bacchetta magica,o un provvedimento secco che faccia aumentare questo parametro in poco tempo! La produttivita vuol dire tecnologia,burocrazia efficiente,infrastrutture,tassazione non elevata,capitale umano,investimenti,etc. La produttivita’,modernamente intesa,e’un indicatore della competitivita’dell’intero sistema paese. Per modificare “strutturalmente”le varie componenti da cui dipende la produttivita’ non esiste,appunto, alcuna bacchetta magica! Occorre tempo e bisogna fare ed implementare le famose riforme strutturali che il Governo Renzi sta faticosamente portando avanti. Faccio un esempio concreto di cui ho personale consapevolezza perche’lavoro nel settore Giustizia. Una delle cause della scarsa competitiva’/produttivita risiede nella lentezza dei processi nel settore civile che blocca molti investimenti esteri nel ns paese scoraggiando gli imprenditori. Siamo al 164° posto nella graduatoria mondiale x la velocita’del recupero di un credito. Il governo ha varato una serie di riforme,di cui nessuno parla,nel settore civile, che stanno cominciando a dare i loro frutti. Ma,ovviamente,occorre del tempo per implementare queste riforme: non e’possibile,in un solo anno,ridurre la durata media del processo civile dagli attuali 5 anni (I e II GRADO), ai 2 anni, lo standard medio europeo! Idem per smaltire i 5 milioni di procedimenti civili arretrati pendenti che ingolfano i tribunali! Le statistiche giudiziarie sono gia’migliorate,ma occorrono ancora anni per allinearci con gli standard europei. Lo stesso vale per tutte le altre riforme per cui i ritorni sulla produttivita’non sono immediati,ma occorre del tempo.

    • Sono molto d’accordo (Già nel 2006 avevo scritto un libro che si chiamava Innovazione cercasi dove si parlava di innovazione e produttività come cause della bassa crescita italiana)!
      Le cose bisogna farle subito ma per gli effetti occorre tempo. Il tempo che la politica che non ha

  5. Gustavo Rinaldi

    Tutti i paesi periferici dell’euro zona hanno visto un miglioramento delle loro partite correnti solo grazie ad un forte calo dei consumi. L’aggiustamento del cambio reale, piccola Irlanda a parte, è stato per tutti non sufficiente. Per l’Italia è stato minimo. Le partite correnti di questi paesi sono altamente correlate con il loro PIL. La stessa Spagna è chiaramente diretta verso un deficit di partite correnti, già ha un deficit commerciale. Importa poco anche perché esporta assai poco; importasse di più il disavanzo commerciale sarebbe veramente grande. Tutto quanto fatto finora è “servito” solo in quanto ha depresso il PIL. Allorquando l’economia si rimetta su un sentiero di crescita, magari perchè si riducono gli avanzi primari, il poco ridotto svantaggio di cambio reale torna a perseguitarli. Si sarebbero risparmiati molti punti di PIL perso e molti disoccupati, se ci si fosse occupati del cambio reale fin dall’inizio.

  6. Maurizio Cocucci

    Interessante riflessione prof.Daveri, però Lei propone un interrogativo a cui però non fornisce una chiara risposta: da che cosa dipende questo tasso di crescita delle importazioni così elevato rispetto ad altri a fronte dell’aumento della domanda interna? Personalmente ritengo che dipenda in larga misura dalle delocalizzazioni effettuate e/o dall’acquisto di prodotti stranieri a tutti gli effetti da aree di maggiori convenienza oppure da Paesi industrializzati ma per alcuni prodotti specifici. Leggendo ad esempio l’ultimo rapporto Istat osservo che i partner commerciali più attivi sul fronte delle importazioni da giugno 2014 a giugno 2015 sono stati nell’ordine: i Paesi ASEAN, il Belgio, i Paesi EDA, la Polonia e gli Stati Uniti. Se andiamo alla categoria merceologica, i prodotti che maggiormente hanno contribuito alla crescita dell’import sono per lo stesso periodo e nell’ordine: articoli farmaceutici, chimico e medicinali da USA e Belgio; macchinari e apparecchi nca (non classificati altrove) e autoveicoli dalla Germania. Una osservazione da fare è l’aumento delle importazioni dalla Polonia. Che cosa si importa maggiormente da quel Paese? Facile indovinare: autoveicoli, rimorchi e semirimorchi, il cui ammontare rappresenta circa il 25% dell’import complessivo dalla Polonia. E quali aziende producono in Polonia? Facile anche qui indovinare, soprattutto se aggiungiamo che la vendita di autoveicoli negli USA è una delle componenti principali dell’aumento delle esportazioni.

  7. bob

    Prof non c’è nulla di strano è tutto nella regola! 40 anni di mancanza di progetti politici e quindi di pianificazione economica hanno fatto scomparire interi comparti industriali. Mancando innovazione e ricerca abbiamo ripiegato su produzioni a bassa tecnologia (da Giulio Natta siamo passati al”varacchinaro di Treviso). Oggi siamo consumatori di telefonini, computer e altra tecnologia ma non assolutamente produttori. Se acquistiamo una auto 500 abbiamo oggi importato un prodotto. Questo Paese doveva pupulare di laboratori e di eccellenti Università..invece abbiamo costruito il paese dei capannoni in una sorta di basse produzioni nate nella confusione di imitare il vicino di casa ( vedesi il Nord-Est) e non con un progetto di sviluppo lungimirante e frutto di scelte oculate…l’ avvento delle Regioni ha dato il colpo finale

  8. marcello

    Le evidenze che lei sottolinea nell’articolo dovrebero allarmare il Governo. Credo che la prima causa dela crescita delle importazioni sia il basso valore aggiunto della manifattura italiana che mi sembra sia la metà di quello tedesco. Inoltre anche la riduzione del valore dell’euro credo spieghi in parte la crescita delle importazioni. Infine la crescita della disugaglianza e la compressione dei salari reali e nominali, per effetto della crescita dell’imposizione fiscale locale, credo spieghino anche il riposizonamento della domanda su beni medio-alto di gamma. Cito ancora a memoria, le imprese eccellenti, cioè che hanno accresciuto il fatturato rispetto al 2008, tra le resilienti, cioè quel 75% sopravvissuto alla Grande Recessione, sono la metà di quelle tedesche, il valore di prodotto per addetto dei nostri distretti migliori è un terzo di quelli migliori tedeschi. Quanto alle performance spagnole, che ricordo ha il 23% dis disoccupati, il country report della Commissione europea del giugno 2015 traccia uno scenario a dir poco inquietatnte con la denuncia di un grave deterioramento di tutti gli indicatori sociali e indicando che l’attivo delle partite correnti, che comunque si è preoccupatamente ridotto ai minimi termini, è dovuto al collasso dell’industria dele costruzioni. In tali condizioni qualche riforma, pure necessaria, non basta ci vogliono grandi investimenti pubblici, una redistribuzione del carico fiscale e una patrimoniale a la francese

  9. marcello

    Sul RU mi piacerebbe aprire un dibattito pubblico. Cameron sta smantellando lo stato sociale e al di fuori della Grande Londra non mi sembra che le cose vadano questo gran bene, nonostante le politche anticicliche della BoE e il free-riding sull’euro. La drastica riduzione dei dipendenti pubblici e il taglio alle prestazioni sociali non promettono nulla di buono. La manifattura inglese è ai minimi termini e la ventialata vendita di AstraZeneca a la Pfizer determinò una feroce opposizone di tutti i media, che paventavano la dstruzione del farmaceutico, una delle ultime industrie rimaste al RU, con buona pace dei liberisti di tutto il mondo. Chiunque si faccia un giro, non dico in Scozia o in Galles, ma anche a Manchester o Liverpool si troverà di fronte a quello che potrebbe essere il futuro del ns paese: i ragazzi lavorano nei servizi, con salari da fame, molti ultracinquantenni fanno lavori marginali o con bassa qualifica, tanto da rendere le città simili ai set dei film di Ken Loach, da Riff Raff a seguire. In compenso però i dipartimenti delle Università hanno progetti per milioni di sterline su nuovi materiali, solare di 4 generazione, decommissioning, stampanti 3D, robotica e cibernetica ecc. Non c’è che dire proprio un bel modello sociale, da seguire.

  10. Christian Caiumi

    E’ stato detto con mesi (per non dire anni…) di anticipo che in regime di cambio fisso i paesi periferici, una volta strangolata l’economia con l’austerità e ripristinata la “competitività”, oppure ritrovato potere d’acquisto grazie al deficit (vedi Spagna…) sarebbero riprecipitati nell’eccesso di import e in una nuova crisi di bilancia dei pagamenti!
    Il motivo è semplice quanto banale: non è stato rimosso lo svantaggio competitivo a favore dei paesi del Nord, per cui ci avviamo di nuovo ad una fase “Pre-Monti”, vale a dire che l’inflazione italiana strutturalmente più alta di quella del Nord-Europa porta a rendere più vantaggiosi quei prodotti, e l’unico modo per non far sprofondare la bilancia dei pagamenti trovato da Monti fu azzerare il potere d’acquisto delle famiglie. Ma una volta aumentato nuovamente, se non si rimuove lo svantaggio competitivo ovviamente riprende l’eccesso di import! Perchè lo squilibrio strutturale non è stato rimosso…
    Lo sapevano anche i sassi fin dall’inizio! Il problema è sempre il solito, che ovviamente non si vuol dire: la moneta unica non funziona.
    Da un blog così “quotato” mi sarei aspettato un po’ più di lungimiranza, sinceramente.

  11. marcello

    I dati spagnoli sono tutt’altro che entusiasmanti. Ricordo Krugman che giustamente fa una constatazione rivoluzionaria nella sua semplice evidenza: la Spagna cresce ma è ancora abbondantemente sotto il PIL del 2008, inoltre il suo tendenziale è di molto inferiore al trend pre-crisi. Quindi osservo che la bilancia delle partite correnti della Spagna negli ultimi 12 mesi fa segnare un passivo di 54 miliardi di euro, che la quota di disoccupati è del 23%, che il lavoro precario è cresciuto a dismisura e che la 5 di lavoratori poveri è al 10,25%. Tutto ciò ha prodotto una riduzione del costo del lavoro di 8 punti. Forse, ma solo forse mi viene da dire, la strada della svalutazione interna è impraticabile, a meno di non svalutare i salari reali dedi un’altro 20%, misura che potrebbe andar bene anche per l’Italia. Con un’inflazione a zero virgola, si devono ridurre i salari nominali e questa mi sembra che possa essere la strada indicata dai tedeschi? Non sarebbe meglio far crescere la produttività del lavoro e dei fattori di produzione? O meglio ancora fare investimenti pubblici degni di questo nome

    • Micheal

      Portrebbe essere una questione aggregata, o disaggregata. Ovvero come molti osservano fattori come produttività e riforme potrebbero influenzare la capacità produttiva aggregata. Non potrebbe essere invece che famiglie e imprese stanno rilanciano consumi e investimenti di cui l’Italia non è dotata nella sua struttura industriale? Insomma fattori contingenti di specializzazione produttiva

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén