Il miglioramento dei rapporti tra fisco e contribuente è un obiettivo da perseguire, anche per favorire la crescita del paese. Ne fa parte anche il nuovo regime di interpello, che consente al contribuente di porre domande impegnative e obbliga l’amministrazione a rispondere in tempi certi.
Rapporti migliori tra contribuente e fisco
I meriti del regime dell’“adempimento collaborativo”, varato nei decreti attuativi della riforma tributaria sono stati lodati, pur con significative riserve, su lavoce.info da Giuseppe Marino. L’obiettivo generale, infatti, è migliorare il rapporto fisco-contribuente; quello più specifico è rendere la vita meno difficile al contribuente-impresa, specie se medio-grande.
Obiettivo sano perché le attività imprenditoriali che stanno sul mercato sono la linfa della vita del paese e un conto è contrastarne l’evasione (o l’elusione) fiscale; altro conto è esagerare con l’eccesso di difficoltà sistemiche.
Difficoltà che non sono rappresentate solo dal puro dimensionamento delle aliquote applicabili, ma in misura ben maggiore dalla difficoltà nell’interlocuzione e dalla professionale comprensione delle problematiche in campo. E, poi, dalla capacità di giungere rapidamente a conclusioni impegnative che consentano di valutare se una certa operazione è fattibile o meno. Quando si devono fare scelte importanti (dove localizzare un nuovo investimento, quale tipologia di attività privilegiare, se e come coinvolgere il tessuto locale, come riorganizzare e modernizzare un business obsoleto), la chiara e tempestiva individuazione del regime fiscale applicabile diventa decisiva. Se, per esempio, il fisco di altri paesi dà risposte rapide e certe, migliora la competitività della allocazione sul suo territorio di iniziative di rilievo e si riducono le chance del nostro. Su questo terreno, il fisco italiano non ha mai brillato e, anzi, ci ha spesso penalizzato ben al di là delle aliquote nominali applicabili. E qui non si tratta di inseguire Luxleaks quanto di partecipare, senza handicap, a una sana competizione internazionale.
Il nuovo regime dell’interpello
Per questo oggi si spinge l’acceleratore su strumenti che migliorino il dialogo contribuente-fisco e lo rendano più proficuo. Nasce così il nuovo e più ordinato regime dell’interpello che consente al contribuente di porre domande impegnative e obbliga l’amministrazione a rispondere in tempi certi. L’interpello, che può essere esercitato in varie forme, consegue l’obiettivo di far conoscere la posizione dell’amministrazione sia riguardo a incertezze interpretative (interpello “ordinario”), sia sulla consistenza di prove idonee a legittimare un regime di favore (interpello “probatorio”) o su contestabili manovre elusive (interpello “antiabuso”), sia per quanto attiene ai benefici dei nuovi investimenti (interpello “nuovi investimenti”). Si tratta di interpelli diversi, ma caratterizzati tutti da un meccanismo certo (la non risposta vale condivisione della tesi del contribuente) e relativamente rapido (150 giorni nei primi tre casi; 210 nel quarto). Tempi ancora molto lunghi, ma migliori rispetto alla situazione originaria.
A queste quattro tipologie di interpelli se ne aggiungono altre due di grande rilievo: l’interpello “disapplicativo” e quello “internazionale”.
L’interpello “disapplicativo”, in verità, esisteva anche in precedenza, ma mancava del suo risultato più importante: il silenzio-assenso. Era, insomma, un diritto vuoto: il contribuente poteva domandare, ma l’amministrazione poteva impunemente fare orecchie da mercante. Situazione aberrante perché lo strumento ha lo scopo di rendere non applicabili norme concepite per evitare elusioni quando il contribuente può dimostrare che, nel suo caso specifico, elusione non vi può essere.
L’interpello “internazionale”, anch’esso preesistente, è stato radicalmente modificato estendendone la portata e mettendolo in sintonia con procedure amichevoli perfezionate con altri Stati. Si tratta, quindi, di uno strumento duttile ed efficace, mirato a rendere meno incerto il regime dei rapporti (fiscali) internazionali essenzialmente all’interno di gruppi multinazionali e adeguato ai nuovi tempi che vedono anche un certo numero di imprese italiane nella veste di multinazionali (sia pure tascabili). Ma anche qui il difetto sta nel tempo: non c’è nessun obbligo di chiudere la procedura entro un periodo limite. La giustificazione rimanda al fatto che questo, ancorché denominato “interpello”, spesso non è visto come tale, perché si tratta di trovare un accordo fra amministrazione e contribuente su valori di negoziazione. Ma anche per un negoziato possono disporsi tempi limite tali da evitare che l’amministrazione fugga, come invece spesso accade, quando una problematica le appare troppo scabrosa. Su altri temi, poi, l’interpello “internazionale” non ha alcunché di negoziale: si tratta di stabilire se determinate attività danno luogo all’emersione o meno di una stabile organizzazione nel nostro territorio.
Mancano, infine, riferimenti alla struttura organizzativa (formazione, stipendi e carriere) che dovrebbe sorreggere questa inversione tolemaica del mondo tributario italiano, senza la quale le parole delle leggi sono destinate solo a ingiallirsi sulla Gazzetta ufficiale.
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